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Da Carispe-Cariparma spinta verso il Nord

a cura di in data 13 Settembre 2010 – 14:37
Il Secolo XIX – 13 settembre 2010 – Alcuni lettori, dopo l’articolo sull’ingresso di Carispe in Cariparma, mi hanno chiesto “se il sogno di Lunezia è più vicino”. Non c’è dubbio che tra le prospettive aperte dall’operazione ci sia, oltre a quella di far riacquisire alla nostra Cassa la funzione di banca del territorio, anche quella dello sviluppo dell’economia provinciale in una direzione, l’Emilia, coerente con la nostra  storia e la nostra vocazione.
Non è un caso che l’immagine più bella di Spezia e del territorio provinciale la si goda da una montagna, il Gottero, che è al confine tra Liguria, Toscana ed Emilia. Le carte topografiche romane ci  parlano di  “Boron”, la zona dove oggi sorge la Pieve di San Venerio: era lambita dal mare, e i pastori di Compiano, nell’Appennino Parmense, vi portavano le pecore a svernare. Da lì parte una lunga storia, che arriva fino alla Resistenza: i “ribelli” diedero vita alla bande partigiane sulle montagne dell’Appennino ligure-tosco-emiliano e delle Apuane. Montagne che, mai come allora, unirono le nostre genti.
Eppure Lunezia è ormai una dimensione limitativa. L’orizzonte che valorizza la posizione strategica di Spezia, crocevia tra Mediterraneo, Nord Italia e Europa, è infatti quello dell’asse Tirreno-Brennero. Il nostro ambito territoriale vasto in cui integrare infrastrutture, economie, conoscenze va oltre Lunezia: è quel comprensorio ricco di valori produttivi, ambientali, culturali che comprende anche Cremona, Mantova, Verona. Il sociologo Aldo Bonomi ci invita  a rafforzare le alleanze con queste città  per costruire la “Geocomunità Padana-Tirrenica”.
Oggi Spezia deve stare in Liguria con la capacità di fare partnership con questi territori. E’ un ruolo che arricchisce la Liguria -una Regione che (forse) ha senso solo se compone in un disegno unitario tutte le potenzialità e risorse esistenti sul suo territorio- e che assicura a Spezia una proiezione nazionale e internazionale.
Ma, con l’aiuto di quella componente “utopistica” che in  politica non va mai smarrita, dobbiamo cominciare a vedere oltre. Il federalismo in salsa leghista non è oggi all’ordine del giorno, checché ne dica Bossi, perché mancano le risorse: con il nostro debito pubblico non possiamo trasferire imposte agli enti decentrati. Ma, se si realizzasse, rischierebbe di dar vita a un separatismo regionale -lo “spezzatino” delle venti Regioni- e alla divisione tra Nord e Sud. Forse la grande riforma federalista di cui c’è bisogno deve basarsi su altri pilastri: l’istituzione delle tre macroregioni del Nord, del Centro e del Sud; il patto nazionale tra esse; la centralità delle città, che sono il fondamento della vita del Paese e il luogo dove si è formata la nostra identità collettiva.
Noi saremmo l’affaccio a mare di una parte della macroregione del Nord. Spezia deve preparare il futuro con un patto strategico di cooperazione tra tutti i territori della “Geocomunità Padana-Tirrenica”, che riguardi le infrastrutture -ferrovia Pontremolese e asse autostradale per Verona- ma anche l’industria, la logistica, il credito, il turismo, l’Università, la ricerca, la cultura, i grandi eventi. La Festa della Marineria, per esempio, dovrebbe diventare la Festa di tutto un vasto  territorio che ci riconosca il ruolo di sua capitale marittima.
lontanoevicino@gmail.com

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