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Bene il waterfront, ma se ne discuta molto

a cura di in data 20 Giugno 2010 – 09:03

Il  Secolo  XIX – 20 giugno 2010 – I lettori mi hanno chiesto la mia opinione sul masterplan del waterfront. I contenuti sono noti: stazione crocieristica, alberghi con centri congressi, aree verdi, percorsi pedonali e ciclabili, zone per sport e divertimento, piscine, attività commerciali, darsena, museo del mare, anfiteatro, residenze, parcheggi, interramento di viale Italia. Il disegno dell’architetto Llavador, vincitore del concorso di idee nel 2007, comincia a prendere corpo. Penso che sia un’occasione unica per esaltare la vocazione turistica e l’identità marittima della città.
Siamo nella fase preliminare alla progettazione architettonica; c’è quindi spazio, come hanno assicurato Comune e Autorità Portuale, per la partecipazione. Vanno coinvolti, come nel Piano strategico, non solo le associazioni ma anche i singoli cittadini (assemblee, uso del web e del call center). A tal fine serve una conoscenza non superficiale. E stato proposto un plastico a grande scala. Nella discussione sul Piano regolatore del porto inviammo a casa degli spezzini un depliant con il disegno della proposta. Insomma, gli strumenti ci sono. Federici e Forcieri hanno scritto: “ogni contributo sarà benvenuto, ma respingiamo opposizioni pregiudiziali e preconcette, tese solo a non fare”. E’ giusto: ricordo che l’impresa che ha realizzato il porto Mirabello presentò, da noi sollecitata, un progetto migliorativo di quello autorizzato molti anni prima; ma che, spaventata da possibili ricorsi giudiziari, optò poi per la conferma del vecchio progetto. Così come è giusto che il coinvolgimento non sia di facciata. Il dibattito è essenziale per capire cosa è meglio fare. Per dirla con Norberto Bobbio, “c’è di meglio che passare la vita  a persuadere gli altri”.
Lo conferma l’esperienza fatta a Torino da Renzo Piano con il progetto del grattacielo Intesa-San  Paolo, approvato dopo un dibattito che Piano ha giudicato così: “Devo molto a chi ha contestato il mio progetto. Le critiche mi hanno aiutato a migliorarlo.” Poiché anche da noi la critica si è concentrata sugli edifici più alti, vale la pena riportare altre sue parole: “La costruzione dei grattacieli è accompagnata da pregiudizi spesso giusti. Sono edifici alti, egoistici, concepiti come simbolo di potere e per fare quattrini. Talvolta sono inaccessibili, escludono i cittadini. La sfida è un edificio che restituisca ciò che toglie: spazio, luce, panorama”. Ed ecco le soluzioni concrete: nel grattacielo ci sarà un auditorium a disposizione della città; sulla cima ci saranno tre piani con una serra, una sala mostre, un ristorante, un belvedere aperto a tutti. Insomma, spazi pubblici per i torinesi. E poi qualità architettonica, tecnologica, energetica. Anche noi dobbiamo esigere il massimo di “pubblico” e il massimo di “qualità”.
Ricordo, infine, un’indicazione presente fin dal Piano d’area del 1997: tener conto della specificità del tessuto urbano in cui si inserisce il rinnovamento urbanistico e quindi pensare Calata Paita come luogo di estensione della città novecentesca. Che si saldi al contesto esistente e insieme lo reinventi. Come ha detto il grande architetto Alvaro Siza, “l’architettura è arte, ma ciò non vuol dire dominio: significa giustezza della scala, nel rapporto con l’intorno e con la memoria del luogo”.

lontanoevicino@gmail.com

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