Rete Pace e Disarmo consegna le oltre 1600 firme ai Sindaci del golfo – 14 Dicembre 2024
12 Dicembre 2024 – 21:18

Rete spezzina Pace e Disarmo consegnerà oltre 1600 firme ai Sindaci del golfo
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Storie operaie del marzo 1944 – Seconda parte

a cura di in data 4 Novembre 2024 – 14:57

Manifestino ritrovato dalle forze dell’ordine nel febbraio 1944 – ASSP

Città della Spezia, 10 marzo 2024

L’OPERAIO SENZA NOME DEL MUGGIANO
Anche in questa seconda parte dell’articolo dedicato allo sciopero del marzo 1944 darò voce agli operai in carne ed ossa, pubblicando testimonianze inedite di due lavoratori del Cantiere Muggiano.
La prima è di un operaio che fu tra gli organizzatori dello sciopero: un operaio senza nome, allo stato attuale della mia ricerca. La testimonianza fu scritta “in diretta” il 2 marzo, a penna su carta intestata di una ditta che presumibilmente lavorava per il Muggiano, utilizzata alla bisogna. Ovviamente non fu firmata. La testimonianza è negli archivi del Partito comunista. Molto probabilmente quell’operaio senza nome si salvò, come poi spiegherò. Riporto questa testimonianza nella sua interezza:
“Preparate le masse dalla diffusione dei nostri manifestini e verbalmente da tutti i compagni di cellula siamo arrivati alla vigilia del primo marzo in un’atmosfera decisamente spinta verso l’azione, gente fino ad oggi estranea ad ogni movimento parlava apertamente di sciopero generale, in gran parte la massa sperava in un buon risultato, come vantaggi in campo economico e alimentare, ma erano pochi coloro che non vedessero in questo sciopero un momento prettamente politico. All’entrata il mattino del 1° marzo troviamo all’interno del cantiere due carabinieri messi lì con l’intenzione di raffreddare la spinta operaia, ma in realtà non destano che compassione, e se c’è qualcuno qui dentro di impaurito abbiamo l’impressione che questi siano proprio i degni rappresentanti dell’arma. Più tardi questi sono avvicinati da alcuni compagni che gli chiedono cosa stanno a fare, essi rispondono che in verità nemmeno loro lo sanno e che avrebbero un gran desiderio di andarsene.
Al suono della campana che dà l’avviso dell’inizio del lavoro chi si muove sono i pochi ‘repubblichini’ che abbiamo dentro e qualcuno dei soliti crumiri, ma insultati dai vicini e anche minacciati, hanno ben presto desistito dai loro propositi, ai ‘repubblichini’ non resta che domandare il permesso di uscire dallo stabilimento, gli altri si decidono ad andarsene.
Gli altri fascisti cercano di distribuire un manifestino firmato dal commissario federale, che dice di non dar retta a pochi sobillatori al soldo del nemico e invita gli operai a riprendere il lavoro, garantendo tutto l’appoggio delle autorità. E’ da notare che questo manifestino era datato 29 febbraio.
La distribuzione non ha esito perché chi li accetta sono soltanto pochi ragazzi, e dei compagni che si offrono di distribuirli e poi avutili si fanno il dovere di distruggerli. Qualche compagno avuto il manifestino lo straccia in faccia ai fascisti senza che questi abbiano il coraggio di reagire. Uno dei distributori è riconosciuto da un operaio che lo riveste con ogni sorta di ingiurie, il fascista, spalleggiato da altri tre o quattro complici, estrae la rivoltella. Fermano un operaio e cercano di trascinarlo fuori, ma tutti gli operai che nelle vicinanze hanno assistito alla scena si stringono sotto al gruppo con contegno tanto minaccioso, tanto che i baldi repubblichini pensano bene di lasciare l’arrestato. Verso le due e trenta una nostra delegazione composta da cinque persone, precedentemente preparata, informata che in direzione non c’è né autorità fasciste né tedeschi, sale dal direttore per presentare le seguenti rivendicazioni:
1) Effettivo aumento degli stipendi e dei salari adeguati al costo della vita
2) Effettivo aumento dei generi alimentari per tutta la popolazione
3) Tre mesi di anticipo
4) La chiusura delle buche praticate dai tedeschi per distruggere il cantiere.
Il direttore risponde invitando gli operai a riprendere il lavoro, e che poi dopo si potrà trattare, in quanto alle buche egli dice vi autorizzo subito a chiuderle. La delegazione risponde che fino a tanto che le richieste avanzate non saranno accordate gli operai non riprenderanno il lavoro, e con questo si ritira. Subito dopo il direttore accompagnato dal capo cantiere si reca in prefettura e dal comando tedesco, con quale risultato non sappiamo; la massa subito informata dell’esito del colloquio si dichiara disposta a resistere fino a concessioni ottenute. E così la giornata passa senza altro fatto degno di nota.
Due marzo: troviamo nelle adiacenze della porta del cantiere nuclei di uomini della X Flottiglia armati di mitra, con il caricatore innestato, nell’interno altro forte schieramento di armati; notiamo negli operai un contegno calmo e la ferma decisione di continuare la lotta. I marinai comandati da un ufficiale che vomita veleno dalla bocca e inquadrati da diversi sottufficiali girano per il cantiere con l’arma in pugno e impongono agli operai di levarsi da torno e di prendere il lavoro ma questi si portano nelle varie officine o a bordo delle varie unità senza lavorare. Lo scrivente riesce a fare un giro per vedere lo stato d’animo delle masse e dare le necessarie istruzioni ai compagni; è qui che vengo a sapere che è stato arrestato e condotto alla X un compagno, segnalato da un fascista ben noto al Muggiano, altri due o tre compagni sono stati segnalati dal solito individuo.
Gli armati spronati dai superiori impediscono quasi del tutto la circolazione, di modo che siamo costretti a rientrare nelle officine, cerchiamo di calmare qualche timoroso, adesso i marinai entrano nelle officine gridando di prendere lavoro, ma dai rapporti che giungono si sa che tutti resistono, già in un’officina hanno fermato una trentina di operai
Col capo officina li hanno portarti vicino all’ingresso. Anche nella nostra officina entrano gli uomini gridando e minacciando. Riesco aiutato da un compagno a parlamentare con questi; e a far loro comprendere come veramente stanno le cose, quali sono le nostre condizioni; essi si scusano dicendo che sono comandati e che temono i loro ufficiali e ne sono quasi vergognati; questi fatti rincuorano tutti gli operai dell’officina.
Ma non siamo ancora alla fine, non passano dieci minuti che si precipita nell’officina un giovane sottufficiale intimando di riprendere il lavoro, mettendo un po’ di paura a qualcuno che accenna a riprendere di lavorare; io, rimasto solo perché il compagno era uscito per avere informazioni, cerco di affrontare decisamente la situazione e rimango fermo con le braccia incrociate, il sottufficiale si rivolge a me e grida, e voi non lavorate! Ed io: non lavoro, o meglio non lavoriamo perché abbiamo fame, allora se avete fame, replica lui, venite con me, mi appoggia un mitra al petto, sono costretto a muovermi e quello dietro con un fucile alla mia schiena.
I colleghi di officina non hanno il coraggio di muoversi, e io tiro avanti fino a che non mi trovo solo con il mio guardiano, qui riesco a intavolare discorso con lui e riesco ad ammansirlo, tanto che dice di non farmi vedere dall’ufficiale e letteralmente fugge via. Ritorno in officina tra la sorpresa e la gioia dei compagni operai, e posso notare che il mio contegno rincuora tutti.
Poi la situazione precipita, giunge notizia dell’arresto di un … [parola cancellata], che è stato trasportato fuori a calci e pugni. Sono le 11 circa, mi si avvisa che mi stanno cercando e con me altri compagni tra i quali … [parola cancellata]; li faccio avvisare di quanto succede, poi riesco uscendo dalla porta a uscire dallo stabilimento, fuori sono seguito da due altri compagni come me ricercati che sono riusciti a salire il muro di cinta. Prima di uscire ho potuto osservare che gli operai nonostante gli arresti e le minacce continuano in gran parte a non lavorare, neppure una macchina si sente battere in tutto il cantiere.
Mi trattengo nelle alture sopra il cantiere fin verso le tre e di qui riesco a vedere che il lavoro non è ancora ripreso in pieno, che un compagno uscito è riuscito a sapere che sono stati fermati tre [parola cancellata], quattro sono ricercati [ [parola cancellata], e anche qui due del [parola cancellata], notizie di come sia la giornata non ho potuto avere, mi riprometto di farlo appena sarò possesso di altri elementi.
E’ mia impressione che la massa, rincuorata e ben preparata dai compagni, possa dare grandi soddisfazioni, perché non solo ha risposto come un sol uomo allo sciopero, ma ha resistito alle minacce di fucilazione e non si è fatta impressionare dagli arresti”.

Manifesto del commissario federale del Partito Fascista Repubblicano
Augusto Bertozzi – primo marzo 1944 – ASSP

I FASCISTI COLPIRONO SENZA PIETA’
Questi erano gli uomini che organizzarono lo sciopero del 1944. L’operaio senza nome doveva avere tra i trenta e i quarant’anni.
Con lo sviluppo dell’industria bellica si era venuto aggregando – in Italia, non solo a Spezia – un consistente gruppo operaio con caratteristiche proprie, formato da giovani, talora giovanissimi, apprendisti in via di professionalizzazione, orgogliosi del lavoro di fabbrica, portatori di una identità operaia forte. Dino Grassi – di cui ho curato “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” – partecipò agli scioperi del 1944 giovanissimo: aveva 18 anni. Gli organizzatori dello sciopero furono i suoi “maestri di vita”. Con l’aiuto di Dino ho ricostruito le loro biografie: avevano tutti trenta-quarant’anni.
Una peculiarità spezzina era che molti operai venivano dalle campagne: avevano l’orto, magari la casetta.
Non avevano mai del tutto perduto la coscienza di classe nel corso del ventennio fascista. La ricostruirono a poco a poco a partire dal 1942-1943. Si capisce, leggendo questa testimonianza, che avevano un’influenza nella società, che non erano isolati. In quelle ore drammatiche anche i carabinieri e alcuni giovani marinai arruolati nella X Mas arrivarono a percepire qual era la parte giusta da cui sarebbero dovuti stare.
Ma i fascisti conoscevano gli organizzatori ed erano pronti a colpire senza pietà. Nella notte del primo marzo il Prefetto Franz Turchi fece stampare un manifesto, affisso all’alba del 2: se lo sciopero non fosse cessato il Prefetto avrebbe chiuso gli stabilimenti, licenziato gli operai e sorteggiato chi inviare in “campi italiani di concentramento, come elementi sediziosi e nemici della Patria”. In realtà il campo, come ha raccontato nell’articolo di domenica scorsa Ioriche Natali, operaio dell’OTO Melara, fu Mauthausen. Nella stessa notte iniziò una catena di arresti presso le abitazioni. I primi ad essere incarcerati furono tre operai e un tecnico dell’OTO Melara e nove operaie dello Jutificio. Al Muggiano gli arresti furono effettuati nella giornata del 2 marzo.
Due documenti della Prefettura senza data – ma dei giorni immediatamente successivi – senza intestazione e senza firma custoditi nell’Archivio di Stato della Spezia spiegano quanto accadde: i lavoratori fermati e tradotti in carcere furono 23, quelli arrestati e “messi a disposizione del comando germanico” furono 15. Tre furono rilasciati, 12 deportati a Mauthausen. Solo in tre riuscirono a tornare, come ho scritto domenica scorsa: oltre a Ioriche, Dora Fidolfi dello Jutificio e Mario Pistelli del Muggiano.

MARIO DEPORTATO A MAUTHAUSEN
Ora darò la parola a Mario. Il testo, di grande intensità narrativa come quello di Ioriche pubblicato domenica scorsa, è una sorta di “diario” del periodo che va dal primo marzo all’8 aprile 1944. Scritto alla fine degli anni Quaranta, è stato messo a disposizione dai familiari per una mia ricerca.
Pistelli, racconta lo sciopero al Muggiano, “clandestinamente preparato da un Comitato di agitazione […] di cui era responsabile l’indimenticabile compagno Giuseppe Tonelli”, e in ogni dettaglio l’arresto, avvenuto il 2 marzo, e il trattamento ricevuto nella caserma Fiastri sede della Xª Mas. Leggiamo alcuni brani:
“Per cinque giornate e altrettante notti io e Tonelli fummo sottoposti a estenuanti interrogatori fatti con pugni e calci e non ottenendo alcun risultato passarono alle torture, con spille ficcate nelle unghie delle mani e dei piedi; il cerchio che stringe la testa finché sembra che scoppi e anche con il fuoco sotto i piedi.
Le torture sono indescrivibili e non c’è da meravigliarsi se qualcuno possa parlare e fare così il delatore, ma sono altrettanto convinto che se uno non parla subito non parla più, io posso dire che dopo la prima notte di torture sul mio corpo potevano fare quello che volevano che io non sentivo più niente, mi sembrava di essere diventato un fachiro. Ma più che le torture, gli urli che echeggiavano in quel triste luogo, mi faceva impressione vedere il compagno Tonelli rientrare in cella tumefatto e sanguinante quanto me, che alle mie domande rispondeva con stoicismo ‘niente, niente’ e questo mi dava forza e mi teneva alto il morale”
Tonelli e Pistelli furono condannati a morte tramite fucilazione, ma poi portati insieme agli altri nel carcere della Spezia, quindi in quello di Genova, poi nel campo di Fossoli e infine a Bergamo per il viaggio in treno verso la Germania. Tonelli riuscì a prendere contatti con il CLN di Bergamo per un attacco partigiano al treno, ma purtroppo l’azione non andò a buon fine. Il diario di Pistelli si conclude così:
“Nella mattina dell’8 aprile, vigilia di Pasqua, arrivammo al famigerato campo di Mauthausen e a toglierci ogni illusione, appena varcata la soglia del campo, vedemmo per anteprima un deportato russo vestito a zebre, impiccato alla porta del Lager e la brezza mattutina lo dondolava dolcemente”.

LA CENTRALITA’ DEL LAVORO E DEL CONFLITTO SOCIALE
Gli operai avevano inflitto ai nazisti e ai fascisti un colpo davvero pesante. Adolf Hitler decretò esplicitamente la deportazione del 20% degli scioperanti. Ma il nazista plenipotenziario in Italia, Rudolf Rahn, riuscì a ottenere l’esplicito ritiro di questo ordine. Furono deportati “solo” 1200 operai, i capi: Rahn convinse Hitler che la reazione operaia sarebbe stata sconvolgente per il nazifascismo, e che era preferibile una reazione “moderata”.
Certo è che anche la classe operaia italiana e spezzina subì un colpo pesante. In prospettiva lo sciopero di marzo fu una vittoria: la protesta presentava sulla scena gli attori di una nuova generazione operaia – di lì a poco i protagonisti della Resistenza – e delineava i valori della centralità del lavoro e la funzione positiva del conflitto sociale. Se si leggono i documenti del CLN e dei partiti antifascisti nati o rinati nel corso della Resistenza si vede con chiarezza la centralità di questi valori, che saranno poi i valori della Costituzione: il lavoro umano si propone come fondamento della realizzazione di sé; il conflitto sociale si propone come lo strumento principale per difendere il lavoro umano e affermarne la centralità.

GLI SCIOPERI DEL MAGGIO 1944
Nell’immediato lo sciopero fu però una sconfitta. Tuttavia non fu l’ultimo sciopero degli operai spezzini.
Ci furono altri tre brevi scioperi, su due dei quali gli studi non si sono soffermati. La documentazione è contenuta negli archivi del PCI e nell’Archivio di Stato della Spezia. Gli scioperi furono effettuati il primo maggio, il 13 maggio e il 17 (o 16) maggio.
Leggiamo un manoscritto conservato negli archivi del PCI con la scritta in alto Cantiere Muggiano, senza data e senza firma:
“Dal rapporto dei compagni di tutti i reparti avevamo concluso che se anche un po’ timorosa di rappresaglia, la massa aderiva di buon grado al nostro programma – 1° maggio fermata alle 10 e resistere finché fosse stato possibile. Invece tutte le nostre speranze di una buona riuscita sono state in parte frustrate dalla mancanza di corrente.
Dimodoché sin dalle otto non si poté iniziare il lavoro, da notare che tutti sono stati fermi, anche chi avrebbe potuto lavorare senza bisogno di energia elettrica, e questi sono circa un 30%. Così si tirò avanti per tutta la giornata e anche quando verso le 3 ritornò la corrente le masse continuano ad astenersi dal lavoro fino all’ora d’uscita”.
L’operaio non sapeva che, come risulta da un altro documento del PCI, la mancanza di corrente era dovuta a un attentato da parte di gappisti – membri dei GAP, Gruppi Azione Patriottica – del suo stesso partito.
La calligrafia sembra essere la stessa dell’operaio senza nome che ho citato all’inizio: il che significa che il 2 marzo molto probabilmente si salvò.
La notizia dello sciopero al Muggiano il primo maggio fu ripresa, in un documento con data 5 maggio, dell’ispettore regionale del PCI Raffaele Pieragostini “Lorenzo”, che aggiungeva che i lavoratori dell’OTO Melara avevano scioperato uscendo alle 16 anziché alle 16,30 e che i lavoratori della fabbrica Dall’Oglio avevano scioperato al 95%.
Il secondo sciopero fu effettuato per rivendicazioni economiche dagli operai della Società Tranviaria il 13 maggio, come risulta da un rapporto del Commissario di Polizia al Questore del 15 maggio.
Il terzo sciopero fu effettuato, secondo “Lorenzo”, il 17 maggio: per motivi economici gli operai dell’OTO Melara si astennero dal lavoro mezz’ora, quelli del Muggiano un quarto d’ora. Il Commissario di Polizia informò però il Questore dello sciopero di mezz’ora all’OTO Melara in un rapporto datato 16 maggio.
Dopo la liberazione di Roma del 4 giugno 1944 i tedeschi considerarono la possibilità dell’abbandono dei territori occupati. Iniziò la fase più difficile per gli operai. La crisi produttiva riduceva il loro protagonismo, crescevano la spoliazione degli impianti da parte dei tedeschi e la deportazione come forza lavoro. Il Muggiano fu colpito dal rastrellamento il 30 giugno
Il segretario della Federazione del PCI Antonio Borgatti “Silvio” scriveva a settembre:
“Le fabbriche sono pressoché chiuse, dove si lavora lo si fa a scartamento ridotto, gli elementi tutt’ora nelle officine sono gli elementi più refrattari e più affamati non vi è nessuna possibilità di agitazione ma anche costoro coscientemente o incoscientemente sabotano la poca produzione tutt’ora in corso. I membri dei vari comit. d’agitaz. d’officina sono quasi tutti a casa dal lavoro”.
A novembre i lavoratori del gruppo OTO furono licenziati ed ebbero la liquidazione. Nelle altre fabbriche i lavoratori furono messi in cassa integrazione. Quelli più coscienti erano partigiani ai monti o in città nelle SAP (Squadre di Azione Patriottica).
Già dopo lo sciopero di marzo molti operai erano diventati partigiani: in fabbrica erano ormai “bruciati”.
Il 12 marzo 1944 l’assalto al treno a Valmozzola segnò la svolta: la risonanza fu tale che fece di quell’avvenimento l’inizio della Resistenza armata nelle nostre montagne.

Post scriptum:
L’immagine in alto riproduce un manifestino ritrovato in città nel febbraio 1944.
L’immagine in basso riproduce il manifesto affisso il primo marzo dal commissario federale del Partito Fascista Repubblicano Augusto Bertozzi.
Mi sono soffermato sullo sciopero del marzo 1944 anche in questo articolo su Patria Indipendente:
https://www.patriaindipendente.it/servizi/gli-scioperi-del-1-marzo-1944-quando-la-storia-cambio-per-sempre/

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