Storia di Ottavio “Speza”, del “Diavolo Nero” e del rastrellamento di Mommio

Mommio, monumento ai martiri dell’eccidio del 4-5 maggio 1944
(foto archivio Sezione ANPI Casola-Fivizzano)
Città della Spezia, 19 maggio 2025
Ho trascorso l’infanzia tra Lerici e il Felettino. Qui, vicino a dove abitavo, c’era – c’è ancora – una lapide dedicata a Ottavio Manfroni. Mio nonno Amintore detto Aldo, socialista, mi raccontava che era un partigiano caduto per la libertà. Amintore era uno degli undici figli di Narciso Baldini, anarchico: tutti i figli avevano il nome che cominciava con la A, e pure il soprannome. Uno di loro, Aurelio detto Arrigo, comunista, aveva un noleggio di biciclette a Migliarina che era uno dei punti di incontro dei ribelli, una via di passaggio verso i monti dei ragazzi della zona. Gli altri punti di incontro erano la “Baracca” del Favaro, la casa di Renato Grifoglio alla Lobbia, il bar “Caval Bianco”.
Ottavio Manfroni abitava al Felettino: era uno dei ragazzi inviati ai monti. Era il gennaio 1944, andò a fare il partigiano in una banda nel Fivizzanese, con nome di battaglia “Speza”, dal termine dialettale con cui veniva indicata la città.
Ho già dedicato alcuni articoli della rubrica alle prime bande che si formarono nell’autunno-inverno 1943-1944 nelle colline santostefanesi e sarzanesi – ad opera dei comunisti – e nello Zignago – ad opera degli azionisti. A poco a poco nacquero altri gruppi: quello attorno a Daniele Bucchioni, un militare moderato che aderì al gruppo azionista, a Calice; quelli guidati dai fratelli Gino e Guglielmo Cacchioli “Beretta” e da Federico Salvestri “Richetto”, badogliani moderati operanti tra la Val Taro e Varese Ligure, che si rafforzarono con l’arrivo di giovani comunisti dalla città; il gruppo del Picelli – legato al PCI parmense – che si spostò nel Pontremolese; e vari gruppi nell’alta Lunigiana. Tra questi il gruppo di Massiciana, vicino a Mommio, guidato da Angelo Marini e dal cognato Domenico Azzari “Candiani”, un radiotelegrafista nato a Casola, paracadutato dagli Alleati in Lunigiana il 22 ottobre 1943, che ad aprile fece arrivare numerosi lanci nella zona, e a Massiciana in particolare. L’altro gruppo aveva come base Sassalbo: il suo comandante era Francesco Ferrari “Renzo” “Diavolo Nero”, spezzino residente alla Serra di Lerici. Al di là dei capi, che avevano una connotazione politica, gran parte dei ribelli erano ex militari sbandati, anche stranieri, e giovani renitenti alla leva della repubblica di Mussolini. Il loro era un antifascismo istintivo ed esistenziale, molto approssimativamente politico. A marzo i vari gruppi cominciarono a fare azioni significative.
La prima azione del gruppo di Sassalbo fu il 17 marzo 1944: una quindicina di giovani assalì il posto di avvistamento del valico del Cerreto, disarmando i militari presenti.
In seguito la banda condusse una strenua lotta contro gli ammassi obbligatori dei generi alimentari, fino alla morte del “Diavolo Nero” per mano di altri partigiani, il 22 aprile. Una vicenda su cui non è mai stata fatta chiarezza. Le tesi sono più d’una: una reazione dei comunisti di Carrara Almo Bertolini “Oriol” e Amerigo Puccini “Nuvolon”, facenti parte del gruppo, contro il capobanda considerato troppo brutale e intransigente; una manovra ordita dall’azionista Alfredo Contri per conquistare il controllo della banda… Forse la tesi più convincente è quella secondo cui i partigiani locali furono mossi dallo spavento per l’attivismo guerrigliero del “Diavolo Nero”, che avrebbe potuto provocare rappresaglie. Certamente non fu facile, soprattutto all’inizio, il rapporto tra partigiani locali e foresti, tra contadini e cittadini.
Tuttavia dal marzo 1944 la guerriglia partigiana in alta Lunigiana fu tutto un crescendo: in aprile ci furono attacchi a Filattiera e nel Bagnonese condotti dalla “banda di Giovanni”, un gruppo creato da “Ebio” Bassignani per sostituire quello distrutto sul Monte Barca. “Giovanni” era Ernesto Parducci, il solo che era riuscito a fuggire.
Il gruppo più attivo fu quello di Angiolino Marini e di Domenico Azzari, a cui si unì il gruppo di Sassalbo. Con loro c’era anche Ottavio Manfroni, non ancora ventenne. Era, ha raccontato il comunista Renato Jacopini “Marcello”, che si recò nella zona proprio in quei giorni, “la più caratteristica banda che avessi fino allora veduto […]: vestiti in tutte le fogge possibili, erano un autentico campionario delle razze umane”. Varie azioni si svolsero ad aprile tra Fivizzano, Casola e i Carpinelli. Dal punto di vista del comando le cose non erano per nulla chiare, perché era ambito sia dagli azionisti di Alfredo Contri che dai comunisti.
Un aereo chiamato da Azzari per un lancio fu avvistato dai tedeschi. Un lancio successivo non fu recuperato dai partigiani, a causa di un imprevisto, ma dagli abitanti di Mommio. Azzari ha raccontato di averli radunati in piena notte perché non tenessero il materiale, che sarebbe stato causa di rappresaglie se scoperto dai tedeschi. Così infatti fu, perché qualcosa nelle case rimase. Daniele Rossi ha raccolto a tal proposito alcune testimonianze nel libro “La giustizia negata”.
Azioni e lanci portarono tedeschi e fascisti a decidere un grande rastrellamento nella zona, che impegnò circa 2 mila uomini. La strada statale del Cerreto era troppo importante per i collegamenti, non poteva essere insicura. Il rastrellamento cominciò il 4 e durò tutto il 5 maggio, coinvolgendo anche parte della Garfagnana, in provincia di Lucca. Mommio fu completamente incendiato, tranne due case: una era l’abitazione di una spia fascista. Il paese pagò più di tutti non solo per la vicinanza al campo di lancio e per i materiali ritrovati, ma anche per l’appoggio che la popolazione aveva dato alla causa partigiana. Fu il primo eccidio efferato della tragica estate del 1944 nella Lunigiana e nella zona apuana. I morti furono 22. Due i partigiani, catturati il 4 maggio e uccisi il giorno dopo: Ottavio Manfroni “Speza” e il fivizzanese Guido Savina. Gli abitanti e i contadini della zona furono radunati nel campo di smistamento di Marinella (l’area della futura colonia Olivetti) e in molti casi avviati al lavoro forzato in Germania. Qualcuno fu impiegato alla Spezia a recuperare i morti che erano rimasti sotto i bombardamenti. In onore di Ottavio Manfroni prenderà il nome “La Spezia” la banda di Angelo Marini, che poi diventerà una brigata della Divisione Lunense.
Prima della guerra a Mommio abitavano 600-700 persone. Poi il paese non si risollevò più. Leggiamo la testimonianza di Adriano Turcolini nel libro di Rossi:
“A gente come noi che siam stati bruciati… non c’è rimasto niente… senza mangiare… c’han fatto tribolare… abbiam risistemato le case… tutto… tutto… Dopo la guerra se ne son fregati i governanti di questi lavori!… Se ne son fregati!”.
Il rastrellamento fu condotto dalla 135a Brigata da fortezza tedesca di guarnigione nello Spezzino, da altre truppe tedesche e da reparti fascisti della GNR e della Decima Mas, che aveva sede nella nostra città.
Aristide Giuseppe Alberini di Magliano ha raccontato:
“I più tremendi furono i fascisti garfagnini”.
Nel Diario Storico della IV Brigata Apuana Garibaldi si legge:
“Tra i più accaniti nell’opera di persecuzione e di saccheggio è doloroso dover segnalare gli italiani rinnegati, inquadrati nella Milizia Repubblicana”.
I criminali nazisti condannati all’ergastolo per la strage di Mommio non scontarono alcuna pena, perché la Germania non accettò la richiesta di estradizione. I fascisti di carcere ne fecero pochissimo. Le vittime di Mommio furono due volte vittime.
Post scriptum
Sulle prime bande partigiane nei nostri monti rimando a questi articoli della rubrica:
“Storie di raccolta delle armi e delle prime salite ai monti”, 24 settembre 2023,
“Autunno 1943. L’arrivo di Piero Borrotzu e di Gordon Lett, le bombe e gli attentati a Vezzano e a Sarzana”, 30 ottobre 2023;
“Storie dei ragazzi del Monte Barca”, 17 e 24 marzo 2024;
“Vita e morte del ‘Tenente Piero’, un cavaliere antico”, 7 aprile 2024.
E a questi articoli su www.patriaindipendente.it:
“L’assalto al treno in Valmozzola, pietra miliare della Resistenza”, 14 marzo 2024;
“La battaglia del Lago Santo. Tra storia e leggenda”, 29 marzo 2024.
La fotografia in alto è del monumento a Mommio ai martiri dell’eccidio; la foto è della Sezione ANPI di Casola-Fivizzano.
Quella in basso è della chiesa di San Michele Arcangelo a Sassalbo.
lucidellacitta2011@gmail.com
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