Quale Europa
Città della Spezia, 26 maggio 2024
La campagna elettorale per le europee non scalda gli animi. Si parla più di politiche nazionali, spesso di facciata, che di politiche europee. Il vento nazionalista che sale induce a proposte di scarso respiro, proprio quando occorrerebbe il contrario: l’Italia, come le altre nazioni europee, nel mondo non conterebbe nulla se non ci fosse l’Europa. Non questa Europa, ma un’Europa con un’altra rotta. Di questo si dovrebbe discutere.
Alla Spezia stanno provando a farlo l’Associazione Culturale Mediterraneo, il Circolo Pertini e Legambiente, con un ciclo di incontri che si concluderà domani con Fabrizio Barca, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità, che presenterà il libro “Quale Europa”. L’obiettivo è offrire al dibattito pubblico alcuni tratti dell’Unione europea che servirebbe alla giustizia sociale e ambientale e alla pace: un contributo informativo e di confronto, un metro per giudicare – prima e dopo le elezioni – programmi, partiti, candidati ed eletti, una bussola per il monitoraggio civico delle azioni che l’Unione europea realizzerà nella prossima legislatura.
Giustizia sociale: dopo i miglioramenti del dopoguerra i dati sulla povertà e sulle disuguaglianze ci descrivono impietosamente un costante peggioramento da trent’anni a questa parte. La quota di ricchezza detenuta dall’1% degli individui più ricchi è aumentata considerevolmente, mentre la quota di ricchezza del 50% più povero si è ridotta vistosamente. L’Italia, in particolare, è diventata molto più ingiusta. Così come sono aumentate le disparità tra i diversi Paesi europei. Se non si invertirà questa tendenza il sostegno popolare al progetto europeo diminuirà sempre più, e cresceranno le spinte nazionalistiche ed euroscettiche. I temi non sono solamente quelli del salario minimo, del reddito di cittadinanza, delle pensioni: centrale è anche il tema del welfare, della sanità innanzitutto. E’ grazie ai nostri sistemi sanitari universalistici che noi europei viviamo ben cinque anni in più rispetto agli Stati Uniti, dove vige quella privatizzazione che noi, sconsideratamente, stiamo assumendo come modello.
Giustizia ambientale: la crisi climatica e i mutamenti ambientali colpiscono di più chi sta peggio e, al contrario, chi sta peggio rischia di essere più penalizzato dalle misure di contrasto. Ciò favorisce chi intende cavalcare la paura del cambiamento mettendo il “sociale” contro l’”ambientale”. La crisi ambientale, inoltre, sta comportando la distruzione della natura e ci interroga sulla dissennatezza delle politiche che mercificano le risorse naturali. La transizione ecologica deve essere veloce e giusta, coinvolgendo e dando risposte chiare ai bisogni di chi vive nel rancore e nella precarietà.
La pace: la terza guerra mondiale a pezzi è già cominciata, ma l’Europa non sa lavorare per la pace, né nella guerra in Ucraina né nella guerra di Gaza. Eppure l’Europa della fondazione era soprattutto un’Europa di pace. La guerra ha aggravato l’ingiustizia sociale e ambientale, perché la spesa per il riarmo distrae risorse a favore dei più deboli; e ha inasprito la crisi ambientale, spingendo per il gas e per il nucleare, ritardando l’abbandono del fossile in favore delle energie rinnovabili. Dobbiamo batterci contro il modello del turismo mordi e fuggi e rivalutare finalmente l’industria e la tecnologia, con investimenti pubblici europei. Ma l’Europa di oggi, non a caso presieduta da un ex ministro della Difesa tedesco, auspica un ritorno all’austerità – dopo il ripensamento dovuto alla pandemia – con la sola eccezione delle spese per il riarmo militare. Abbiamo bisogno di una politica industriale, non di un’Europa militarizzata.
Si discute della difesa comune di un’Europa integrata. Sono un pacifista: però ne colgo, in una fase di transizione verso il disarmo, la necessità. Ma ogni difesa presuppone la definizione di una politica estera. Una difesa comune senza politica estera europea è di fatto – e inevitabilmente – al servizio della Nato e della potenza politica americana che la guida.
Il disegno è chiaro: una nuova guerra fredda, un confronto bipolare tra Occidente e Russia e Cina, la potenza emergente. Ma questa configurazione della politica mondiale, oltre a generare il rischio di una guerra catastrofica, è incompatibile con un altro disegno: un’Europa unita e indipendente, sempre rispettosa del diritto internazionale, chiunque lo violi. Come ha scritto Giangiacomo Migone:
“La costruzione di una difesa europea consona a questa realtà non avrebbe le dimensioni e i costi di una configurazione euro-atlantica, consentendo economie di scala derivanti dall’eliminazione di duplicazioni imposte dalle regole della Nato”.
Stiamo parlando anche della nostra città, sede di industrie armiere. E di un Arsenale dove la Nato – con il progetto Basi Blu – impone duplicazioni, e l’utilizzo delle aree a ponente per i moli di cui ha bisogno, senza alcuna restituzione del mare alla comunità.
Come afferma Emmanuel Todd, la guerra in Ucraina è una questione secondaria in una storia molto più grande: quella della battaglia in corso tra una potenza egemonica globale in declino, gli Stati Uniti e con loro i Paesi occidentali, e una in ascesa, la Cina e con essa l’India e gli altri Paesi emergenti. Siamo entrati nel secolo dell’Asia. La guerra ucraina doveva ridimensionare la Russia, consolidando il blocco “atlantico” attorno agli Stati Uniti, necessario per sostenere la potenza americana contro la Cina, tagliando anche legami commerciali fondamentali per l’Europa: qualunque persona di buon senso capisce che siamo interessati alla Via della Seta. Strategicamente, però, la guerra ha avvicinato la Russia alla Cina, che è il vero concorrente per l’egemonia.
Dobbiamo evitare che l’Europa commetta il tragico errore di contribuire alla nuova guerra fredda, che è già oggi molto calda. Come hanno scritto Piergiorgio Ardeni e Francesco Sylos Labini, “c’è però da dubitare che la Cina voglia davvero prendere il ruolo oggi degli Usa. La Cina sta ottenendo l’egemonia globale sul piano economico, ben più solido ed esteso di quello militare”. I dati lo confermano: la Cina spende per le armi assai meno degli Usa, ma anche dell’Europa. La Cina spende in tecnologia, ricerca, sviluppo, istruzione. L’Europa sta sbagliando: non deve spingere alla guerra, deve fare da ponte tra l’alleato americano e il mondo emergente. E’ questo il nostro futuro.
Ecco perché le elezioni europee sono importanti. Dobbiamo capire, discutere, scegliere: la mia scelta – spero sia di tanti – è per l’Europa della giustizia sociale e ambientale e della pace. E’ l’Europa che Altiero Spinelli tratteggiò nel manifesto di Ventotene, molto citato e quasi mai letto.
Le strade per costruire questa Europa ci sono. E’ arrivato il tempo di percorrerle. So bene che non ci sono partiti europei capaci di farlo. Ma è bene non rinunciare a votare: si può puntare su una “nuvola” di parlamentari progressisti e pacifisti, candidati nella sinistra, nella socialdemocrazia, nei verdi e, in Italia, nei Cinque Stelle, che può fare la differenza, producendo convergenze su un’alternativa. E accompagnare a questa pattuglia la mobilitazione e la partecipazione civile dei cittadini.
Post scriptum
Dedico l’articolo di oggi a Franco Fedi, operaio santerenzino scomparso nei giorni scorsi. Amava il mare, da ragazzo fece il mitilicoltore, il navigante, poi il carpentiere. Ho raccontato la sua storia in “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”: fu tra i protagonisti dell’occupazione della SNAM, nel 1969, per ottenere l’assunzione dei lavoratori che, come lui, l’impianto l’avevano costruito. La lotta ebbe una forte solidarietà da parte degli studenti, che raggiunsero Panigaglia in una marcia passata alla leggenda. Tra gli operai specializzati Franco fu l’unico non assunto. Ma, ostinato com’era, riuscì a rientrare in SNAM dopo qualche anno. L’impianto era pericoloso, furono innanzitutto gli operai e i tecnici a battersi per la sicurezza. Già negli anni Sessanta Franco era il segretario della Sezione del PCI di San Terenzo, il paese per il cui miglioramento si batté sempre. Operaio e comunista è rimasto fino all’ultimo. Con lui scompare uno dei rappresentanti di una generazione operaia che negli anni Sessanta conquistò la dignità e si liberò dalla soggezione. Da sudditi quegli operai si trasformarono in cittadini consapevoli. E’ un’esperienza che non va “monumentalizzata”, ma nemmeno liquidata con poche parole. Va anzi guardata con rispetto e ammirazione. Soprattutto deve farci pensare. Perché ci parla del grande problema irrisolto della politica in generale e di quella della sinistra in particolare: la rappresentanza del mondo del lavoro.
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