“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi, Venerdì 21 novembre ore 17 a Borgotaro
15 Novembre 2025 – 16:30

“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”
di Dino Grassi
Venerdì 21 novembre ore 17
Borgotaro
Il libro di Dino Grassi “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” sarà presentato …

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Giugno-luglio 1944. Barbarie in Lunigiana

a cura di in data 12 Agosto 2025 – 21:29

Spicciano di Fivizzano, monumento ai partigiani uccisi il 23 giugno
1944 (archivio sezione ANPI Fivizzano-Casola)

Città della Spezia, 7 luglio 2024

Nel giugno 1944, con la liberazione di Roma e lo sbarco in Normandia, l’occupazione nazista dell’Italia si indebolì, aumentarono le diserzioni nella Repubblica di Salò – soprattutto tra i carabinieri, l’arma più antifascista – e si moltiplicò il numero dei “ribelli”. Fu un crescendo di entusiasmo, e anche di illusione sull’insurrezione finale, considerata assai vicina. Tra la primavera e l’estate del 1944 i partigiani dell’area spezzina passarono da 200 a 1.800, quelli della Lunigiana orientale e delle Alpi Apuane da 100 a 1.400.
Anche nel Fivizzanese, dove operavano molti partigiani spezzini, i gruppi ribelli, dopo il rastrellamento di Mommio del 4-5 maggio – l’ho raccontato nell’articolo di questa rubrica “Storia di Ottavio ‘Speza’, del ‘Diavolo Nero’ e del rastrellamento di Mommio”, 19 maggio 2024 – si erano ricostituiti. Alla fine di maggio disarmarono il presidio della milizia forestale a Comano, saccheggiarono la Casa del Fascio e prelevarono beni alimentari dai negozi, pagando regolarmente. Nella zona di Casola la banda di Angiolino Marini si ricostituì assumendo il nome “Spezia”, in onore di Ottavio Manfroni “Speza”, ucciso a Mommio. Il 15 giugno un gruppo di partigiani della banda di Marini, al comando di Maggiorino Folegnani, disarmò e catturò il presidio fascista di Monzone, il 22 ci fu un altro attacco. Ecco come lo ha ricostruito Daniele Rossi, presidente della Sezione Anpi di Fivizzano-Casola, studioso di storia della Resistenza:
“Il 22 giugno il gruppo partigiano di Marini attaccò una colonna della X° Flottiglia Mas nei pressi di Posara. Il 23 giugno iniziò il rastrellamento voluto e comandato dal tenente Umberto Bertozzi comandante del battaglione operativo della X° Flottiglia Mas. I militi della IV compagnia del Battaglione Lupo iniziarono il rastrellamento nel crinale destro e sinistro di Fivizzano. All’altezza di Spicciano vennero arrestati i tre partigiani Bruno Mezzani, della Spezia, Rino Battolini e Pierino Cozzani, entrambi di Vezzano Ligure. I tre vennero fucilati sul posto da un plotone comandato dal tenente di corvetta Stefano Marengo. Il gruppo fascista oltraggiò i cadaveri aprendo con una baionetta il petto dei tre. Una testimone di Spicciano ha raccontato: ‘Un milite di Carrara voleva mangiargli il cuore e gli ha aperto il petto come se fossero degli animali!’. I corpi dei tre partigiani vennero caricati su un barroccio e trasportati a Fivizzano come delle prede di caccia. Qui, alcuni abitanti sputarono e inveirono contro le salme dei tre; li presero a calci. I fascisti gettarono i corpi in Piazza Medicea dove rimasero per alcune ore”.
Un altro partigiano partecipe dell’azione del 22 giugno fu ucciso qualche giorno dopo. Le carte fasciste raccontano la triste fine di “Rinaldo Tronconi, di Giovanni e di Giannarelli Palmira, nato a Fivizzano e domiciliato a Monte dei Bianchi, appartenente a bande armate di ribelli colpevole di aver attaccato il 22 giugno con altri numerosi partigiani, un nostro piccolo reparto in località Posara di Fivizzano”. Lo scritto prosegue precisando che “alle 5 del 4 luglio ’44 il condannato è trasportato nei pressi del cimitero di Fivizzano dove il plotone d’esecuzione esegue la fucilazione mediante lo sparo di una salva di fucileria”.
Nella prima decade di luglio ci fu un altro scontro tra una pattuglia della banda di Marini e un reparto del Battaglione Lupo della X Mas che partecipava a un’azione di rastrellamento. Come reazione allo scontro, una colonna della X Mas occupò Gragnola, il paese di Folegnani, e prese in ostaggio una cinquantina di persone. Per fortuna intervenne un’altra banda, quella guidata da Francesco Tosi “Mario”, che costrinse i fascisti decimini a ripiegare e a liberare gli ostaggi.
Fu uno degli episodi della prima grande azione di rastrellamento: l’operazione “Wallenstein I”, attuata all’inizio di luglio nella zona montagnosa a est della statale della Cisa, sia sul versante parmense e reggiano sia su quello lunigianese. Furono impiegati reparti tedeschi – della Lutwaffe e della Flack (contraerea) e la 135a Brigata da fortezza, che aveva sede a Carozzo, sulle colline spezzine – e il Battaglione Lupo, anch’esso proveniente dalla Spezia. Altri rastrellamenti c’erano stati, come quelli in cui erano caduti i ragazzi del Monte Barca e Piero Borrotzu, ma non ancora con così tanta forza e violenza.

Ponticello di Filattiera, lapide ai civili uccisi il 3 luglio 1944
(archivio Giorgio Pagano)

Nell’articolo di questa rubrica “I ribelli della Lunigiana e Aurelio Gallo, il torturatore” (27 aprile 2019) ho raccontato, basandomi sul libro di Luigi Leonardi “Umili e ribelli”, la spietata durezza dei nazifascisti verso la popolazione civile. In particolare quella di Ponticello di Filattiera: cinque sfollati estranei alle bande partigiane furono uccisi e appesi alle fronde degli alberi. Domenica prossima racconterò altre storie, alcune delle quali inedite, di quel terribile fine giugno-inizio luglio del 1944. E mi soffermerò sulle vicende di uno dei principali responsabili di molti di quegli eccidi, grazie alla lettura della sentenza di condanna della Corte d’assise di Vicenza, emessa contro di lui il 4 aprile 1947: il tenente della X Mas Umberto Bertozzi.
Nei giorni scorsi, le associazioni partigiane, i cittadini democratici hanno ricordato i caduti di Spicciano, di Ponticello, dei luoghi degli eccidi. Perché i partigiani e i civili caduti sono la storia, la nostra storia. Una storia che va continuamente rievocata perché non sia dimenticata. Sono ancora attualissime le parole pronunciate da Piero Calamandrei il 17 gennaio 1954, nel decennale della morte dei sette fratelli Cervi. Basta sostituire “dieci anni fa” con “ottant’anni fa”. La scelta da fare è la stessa, allora come sempre:
“Il perdono non si nega ai pentiti; ma occorre il pentimento, l’umiltà del pentimento. Quando gli autori di quelle catastrofi non solo tornano indisturbati in libertà, ma invece di starsene in disparte cauti e discreti osano riprendere l’antica tracotanza per gettar fango sulla guerra partigiana, allora noi abbiamo il dovere di rievocare qui i nostri morti, e di rinnovare qui, dopo dieci anni, il giuramento di non tradirli. E’ vero che la storia insegna come il progresso umano si svolga attraverso continui urti di forze contrapposte, e spiega quali furono in quella dialettica i moventi degli uni e degli altri. Ma non rinuncia a giudicare da che parte furono i valori umani e sociali, e da che parte furono gli istinti bestiali della cieca barbarie. La storia è fatta di una serie continua di scelte: anche l’Italia, dieci anni fa, fece una scelta. Tra la libertà e la servitù, tra il privilegio e la giustizia, tra l’umanità e la ferocia, il popolo italiano fece la sua scelta; e questa si chiamò Resistenza. Questa è ancora la nostra scelta, questa sarà la scelta del nostro avvenire”.

Postscriptum
Le fotografie sono state scattate a Spicciano di Fivizzano e a Ponticello di Filattiera.
Per approfondimenti su persone e vicende citate nell’articolo si può consultare il Dizionario della Resistenza spezzina e lunigianese, su www.associazioneculturalemediterraneo.com

lucidellacitta2011@gmail.com

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