Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
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Porti della Liguria progetti di crescita senza un piano comune

a cura di in data 7 Febbraio 2013 – 10:10

La Repubblica – Il Lavoro – 5 Febbraio 2013 – Due interventi dello studioso Sergio Bologna -“Il crack dell’economia del mare” su “Altronovecento” e “Shipping. Zeus contro Wotan” su “Il Manifesto”- fanno riflettere su come stia cambiando il mondo dello shipping e su quanto poco se ne discuta in Italia. Bologna racconta che la Cina sta mettendo sempre più radici nel Mediterraneo: in coerenza con il suo ruolo di controllo su vasti territori dell’Africa ha infatti bisogno di entrare nell’industria delle navi e dei porti. Ecco perché il porto del Pireo è in mani cinesi, e perché gli armatori greci, con soldi cinesi, stanno acquistando le navi tedesche. Perché tedesche? Bologna lo spiega descrivendo la crisi del gigantismo navale in Europa, che ha il suo epicentro in Germania: “qualcosa che potrebbe provocare un cataclisma delle dimensioni di quello del 2008 con i mutui subprime”. Le grandi compagnie marittime hanno ordinato navi ai cantieri in misura del tutto sproporzionata alla domanda, l’eccesso di offerta ha fatto crollare i noli, le nuove navi in servizio sono sempre più grandi. Risultato: conti in rosso e precipitosa discesa del valore delle navi. Ecco allora che i greci, tramite i cinesi, comprano le navi dai tedeschi a prezzi stracciati. Non a caso l’a.d. di Maersk Line ha dichiarato: “Il business del container non è più redditizio, noi per i prossimi cinque anni non ordineremo più una sola nave ai cantieri, i soldi preferiamo metterli nell’oil and gas”. 

Le conclusioni di Bologna sono graffianti: “Abbiamo un governo che non ha la più pallida idea di quel che succede e continua a finanziare progetti di espansione dei porti che non hanno alcun senso. Dragaggi che vogliono portare i fondali a meno 16, meno 18, per poter ospitare navi che non arriveranno mai perché la nave cerca la merce, non il fondale, e va dove si concentra la merce. Come fa a concentrarsi in Italia, dove abbiamo sei porti di media grandezza nell’Adriatico e otto nel Tirreno più quelli delle isole? Dispersione degli investimenti, dispersione della merce, mercati di origine/destinazione che non superano le Alpi (tranne il porto di Trieste). L’Olanda e il Belgio servono l’Europa intera con due porti ciascuno, idem la Germania (ne hanno fatto un terzo e già si sono pentiti)”. Il gigantismo, infatti, crea problemi anche nel Nord Europa: “il tasso di utilizzazione dei loro porti già nel 2015 sarà appena del 66%”.
C’è davvero materia per una riflessione strategica. Le domande si affollano: la tendenza è a una diminuzione dei trasferimenti di merce lungo la rotta oriente-occidente? Se non fosse così e se la corsa alle grandi navi dovesse proseguire, dovremmo cercare di accogliere in tutti i nostri porti le navi oltre i 12.000-14.000 teus? Saremmo in grado di fare gli investimenti necessari, in mare e soprattutto a terra? O dovremmo scegliere due o tre porti su cui puntare? Oppure collaborare con i porti nordafricani, che questi investimenti li hanno già fatti, ospitare navi più piccole e concentrarci su come essere più efficienti nelle tecnologie e nell’organizzazione? Anche perché molte aziende della pianura padana si appoggiano sui porti del Nord Europa, il che vuol dire che paghiamo la minore efficienza, oltre che la frammentazione. Ancora, riguardo alla Liguria: il presidente dell’A.P genovese Luigi Merlo ha lanciato l’allarme sul “rischio che tra il 2017 e il 2018 il sistema dei porti liguri imploda” per “capacità eccessiva”. I nostri tre porti hanno infatti piani di sviluppo autonomi, sovradimensionati rispetto alle aspettative di traffico dei prossimi anni, nonché alle infrastrutture esistenti. Ma c’è davvero un sistema regionale? Che fa la Regione? E soprattutto che fa il governo? La “riformina” saltata non era certo all’altezza, si dovrà ripartire da zero. Con un assunto: non è sbagliato potenziare i porti, ma farlo senza una programmazione nazionale e le alleanze nel retroterra della logistica.

Giorgio Pagano

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