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Tangentopoli due peggio della prima

a cura di in data 8 Luglio 2010 – 09:11
Il  Secolo  XIX –  8 luglio 2010 – Dopo le dimissioni da ministro di Claudio Scajola, ecco quelle di Aldo Brancher. Casi molto diversi tra loro, ma non personali e isolati. Se consideriamo tutti gli uomini di governo che sono coinvolti in inchieste della magistratura, da Bertolaso a Verdini, da Matteoli a Lunardi, emerge chiaramente che c’è un “sistema”, e che le responsabilità politiche di Berlusconi e del Pdl, al di là di quelle penali, sono evidenti.
E’ una nuova Tangentopoli, molto più grave della precedente. Non perché il “rubare per il partito” sia stato sostituito dal “rubare per sé”: questo significa che l’antipolitica è andata al potere e che i partiti stanno perdendo il loro primato, non che è mutata l’alterazione delle regole della democrazia e del mercato, che è sempre la stessa. Il vero cambiamento in peggio sta in altro: la prima Tangentopoli non intaccava infatti il fondamento di queste regole, nel nome delle quali i magistrati di Mani pulite si battevano per il ritorno della legalità. Oggi invece, osserva Stefano Rodotà, “si costruisce una <legalità speciale> che serve a far rientrare in un’area lecita quel che dovrebbe rimanerne fuori”. Il legittimo impedimento che Brancher voleva utilizzare per sottrarsi al processo ne è un chiaro esempio, e non è un’eccezione visto che ha origine in una delle più scandalose leggi varate per sottrarre Berlusconi ad ogni accertamento di responsabilità. La nuova Tangentopoli ha qui la sua cifra: in questa <legalità speciale> che vuole legittimare comportamenti illeciti, che ritroviamo attorno alla Protezione civile, alle grandi opere, alla gestione di tante materie affidata a società per azioni che regnano nell’opacità e nell’arbitrio.
Quel che accomuna la Tangentopoli di ieri e quella di oggi è il brodo di cultura: le tendenze e i valori affermatisi negli anni ’80 e incarnati all’inizio del decennio successivo dall’<idea d’Italia> di Berlusconi: privatismo individualistico, deregulation legislativa ed etica, edonismo delle tre esse, soldi, sesso e spettacolo. Mentre il prelievo fiscale, elemento centrale della democrazia, è stato ed è presentato come un “mettere le mani nelle tasche degli italiani”, molti  si sono dati da fare per “mettere le mani nelle tasche dello Stato”. Sta in questo “privatismo populistico”, nota Giorgio Ruffolo, “il terreno più adatto all’inquinamento del malaffare”. Semmai bisogna interrogarsi sul perché queste tendenze e questi valori siano oggi ancora più pervasivi di allora: il che richiama alle capacità di egemonia culturale di Berlusconi ma anche alle incapacità di contrasto e di proposta alternativa di una sinistra subalterna e senz’anima.
Oggi, forse, questa egemonia si sta incrinando, e la magia dell’identificazione tra leader e popolo sta finendo. La prima Tangentopoli portò Berlusconi a scendere in campo e a vincere nel nome dell’antipolitica. La seconda può portarlo alla sconfitta, se sarà percepito come rappresentante del ritorno alla vecchia politica. Se la campana della casta, questa volta, suonerà per lui.
Molto dipenderà dalla società civile e dalla sinistra. Nella società civile non c’è solo il privatismo, c’è anche la comunità, l’individuo che si relaziona agli altri. Qualcosa si sta muovendo e mettendo di traverso: dal movimento antibavaglio a quei ragazzi di Pomigliano che non hanno mollato, hanno tenuto la schiena dritta e hanno dato alla sinistra una grande lezione. Ora serve un pensiero che unisca questi frammenti presidiando tutto intero il fronte dei diritti, quelli civili e quelli sociali. Che mobiliti forze popolari profonde e costruisca un racconto alternativo. La sinistra, per non smarrirsi ancora, ha bisogno di radicalità intellettuale e politica e di partiti profondamente rinnovati, che siano luoghi di condivisione e di progettualità  e non di  mera competizione per il potere. Altrimenti Berlusconi declinerà, ma farà ancora molti danni al Paese.
Giorgio Pagano
L’autore si occupa di progetti di cooperazione in Palestina e in Africa ed è segretario generale della Rete delle città strategiche; alla Spezia presiede l’Associazione Culturale Mediterraneo.

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