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La Liguria può crescere investendo sull’Africa

a cura di in data 14 Giugno 2011 – 15:22

Il  Secolo  XIX – 14 giugno 2011 – In Libia è emergenza umanitaria: c’è bisogno di aiuti alimentari e soprattutto di farmaci e di medici, per curare i tanti feriti. La Liguria è in prima fila, grazie al protocollo di collaborazione tra Ligurian Ports (l’associazione dei porti liguri) e il Comitato italo-libico “Insieme per il domani”, fondato dalla Ong Alisei, dall’associazione Funzionari senza Frontiere e da numerosi cittadini, molti appartenenti alla comunità libica in Italia. Il Comitato ha già effettuato missioni in Libia e ha siglato un accordo di partenariato con il Ministero della Sanità del nuovo Governo: è quindi un soggetto accreditato per sostenere le attività di assistenza alle popolazioni. In base al protocollo, gli armatori con navi in partenza da Genova e La Spezia e dirette a Bengasi assicureranno il trasporto degli aiuti, e sarà finanziata la permanenza in Libia di un’equipe medica. L’auspicio è che, superata l’emergenza, non ci si fermi, e che si sviluppino le attività di cooperazione tra la nostra regione e la Libia.

E’ un impegno che ci fa onore in un contesto deludente. Il vertice G8 di Deauville ha utilizzato la solita “contabilità creativa” per far vedere che qualcosa si fa. Un po’ di soldi per il Nord Africa li ha stanziati, altri ne ha promessi. Ma, al di là delle cifre, il punto vero è: come spendere bene le risorse? La risposta è questa: la cooperazione deve avere il suo asse nelle istituzioni locali, che vanno create e rafforzate. Il decentramento amministrativo è decisivo, nel Nord Africa e in tutto il continente: dappertutto la struttura statuale è fortemente centralizzata e va riorganizzata, facendo crescere l’autogoverno e lo sviluppo locale. La nascita, nei territori, di nuove relazioni democratiche sia verso l’alto, i Governi centrali, sia verso il basso, i cittadini e la società civile, comporta più efficienza, più buongoverno, più partecipazione. E anche gli aiuti allo sviluppo, come dimostrano gli studi, sono più efficaci. Ecco il ruolo dei Comuni italiani, che deriva dalla loro grande storia: accompagnare e sostenere il processo di decentramento in Africa.

In Italia si discute molto poco di questi temi. La cooperazione è la prima voce da tagliare: spendiamo lo 0,15% del Pil a fronte di un obbiettivo dello 0,51%, e abbiamo sempre meno credibilità. Mentre tutto ciò ha a che fare con una tragedia di fronte alla quale, come ha scritto il Presidente della Repubblica, “non va varcata la soglia dell’indifferenza”: le migrazioni.

Da gennaio sono morte nel Mediterraneo 1650 persone in fuga dalla Libia, prima che potessero raggiungere Lampedusa o Malta. Una su dieci non ce l’ha fatta. Chi sono? Non sono i migranti tunisini, cioè un fenomeno strettamente legato a una fase di difficoltà di un Paese, destinato a rientrare rapidamente, come già avvenuto. Sono parte di un flusso “strutturale”: 300.000 – 400.000 africani provenienti dal cuore profondo e più povero del continente si sono spostati in questi anni verso la Libia, dove sopravvivono nei campi di lavoro e cercano di raggiungere l’Europa. Lo dimostra anche il dato degli arrivi in Liguria: stiamo ospitando 228 migranti, di cui solo 25 tunisini. Tutti gli altri provengono, attraverso la Libia, dall’Africa subsahariana. Sono rifugiati non rimpatriabili, che abbiamo il dovere, anche per legge, di accogliere. Con una rete di soccorso che inizi il più possibile vicino alle coste, perché non cresca il numero delle vittime in mare. E con l’impegno dell’Italia e dell’Europa di diventare un laboratorio di nuova cittadinanza: la sfida è quella di un progetto che riconosca dignità a persone “senza Stato”, in fuga da tutto.

Ma c’è anche un’altra sfida, che è stata al centro della quarta conferenza dell’Onu sui Paesi meno sviluppati (Least Developed Countries, Ldc) appena conclusasi a Istanbul: come sostenere questi Paesi e aiutare milioni di persone a vivere meglio dove sono nate e a non fuggire. Sono 48 Paesi, di cui 33 in Africa, con il 13% della popolazione mondiale: 900 milioni di individui, che vivono con meno di un dollaro al giorno. Diventeranno il doppio entro il 2050. Nonostante qualche progresso, il divario tra i Paesi Ldc e il resto del mondo si allarga sempre più, in termini di reddito, istruzione, mortalità infantile, produttività agricola. Nel 1971 i Paesi Ldc erano 25. Mentre ci si illudeva sulle “magnifiche sorti e progressive” della globalizzazione, nel sud del mondo è cresciuta la crisi economica, climatica, alimentare. I cambiamenti climatici, in particolare, causano una riduzione delle produzioni di materie prime e generi alimentari, che innesca a sua volta carestie, instabilità, conflitti. A febbraio la conferenza annuale dell’American Association for the Advancement of Science, che raduna gli scienziati americani, aveva lanciato un messaggio chiaro: entro 10 anni 50 milioni di profughi migreranno nel nord del mondo per fuggire alle sciagure ambientali, economiche, politiche che metteranno in ginocchio i Paesi di provenienza. Il termine coniato è “environmental refugees”, rifugiati ambientali.

Il vertice di Istanbul si è concluso con un piano d’azione decennale per lottare contro la povertà e contenere il fenomeno delle grandi migrazioni. Ma subito dopo, a Deauville, il G8 ha distolto risorse dai Paesi più poveri per il doveroso sostegno alle popolazioni del Nord Africa. Anche per gli Ldc vale, comunque, quanto detto: non bastano gli aiuti, serve il decentramento amministrativo. Serve tornare alle comunità locali, anche per tornare alla produzione agricola rispettosa della biodiversità.

A partire da questo primo aiuto alla Libia, la Liguria dovrebbe uscire dall’inerzia con cui guarda da molti anni alle relazioni internazionali. Relazioni che rappresentano, invece, una chance per uscire dall’angolo. Non si tratta solo di un dono, pur preziosissimo, ma anche di convenienze economiche e di investimenti sociali. Lo spazio euro-mediterraneo e euro-africano è un punto chiave della riflessione sul futuro della Liguria. E di tutto il nord italiano, di cui siamo la porta verso un mondo con il quale dobbiamo ricongiungerci.

Giorgio Pagano

L’autore è presidente di Funzionari senza Frontiere e segretario generale della Rete delle Città Strategiche; alla Spezia presiede l’Associazione Culturale Mediterraneo.

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