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La carta ha 60 anni: battiamoci ancora per i diritti

a cura di in data 10 Dicembre 2008 – 10:24

Il  Secolo  XIX – 10 dicembre 2008 – “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Con queste parole esordisce la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, una delle più importanti Carte che l’umanità si sia mai data: il primo documento a sancire universalmente i diritti che spettano all’essere umano.
La Dichiarazione compie 60 anni: fu approvata dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 a Parigi, nella città in cui, nel 1789, fu approvata la Declaration des Droits de l’Homme et du Citoyen. La scelta della città simboleggiava l’emersione, in sede internazionale, di quanto maturato e  conquistato lungo i secoli, a partire dalla Dichiarazione francese e dal successivo riconoscimento giuridico dei diritti della persona avvenuto all’interno dei singoli Stati.
La Dichiarazione, sull’onda del rigetto della tragedia della seconda guerra mondiale, voleva segnare il primo passo di un nuovo ordine internazionale, in cui l’uomo e la sua condizione dovevano occupare il centro della prospettiva. Per la prima volta nella storia, la comunità internazionale si dotava di uno strumento di portata universale, che attribuisce pari importanza e dignità sia ai diritti economici, sociali e culturali sia ai diritti civili e alle libertà politiche. L’obbiettivo era promuovere il progresso sociale in una più ampia libertà.
Da allora la Carta del ‘48 ha ispirato tutte le convenzioni e le dichiarazioni per promuovere e proteggere i diritti umani, è stata incorporata nelle costituzioni e nei sistemi normativi di molti Paesi, ha legittimato l’attività dei difensori dei diritti umani che operano in tutto il mondo.
La Dichiarazione, sebbene rappresenti la base di molte delle conquiste civili della seconda metà del secolo scorso, ha ancora bisogno di espandere la sua eco oltre l’indifferenza e l’arroganza di chi, nel mondo, continua  a violare i diritti della persona e dei popoli.
Ma oggi, diversamente da ieri, è possibile denunciare questi comportamenti appellandosi al diritto internazionale. Il monitoraggio sopranazionale, sia quello “ufficiale” degli organismi appositi sia quello delle Ong, si fa sempre più stringente. E ci rivela anche la malconcia condizione dei diritti umani in Italia.
I problemi principali del nostro Paese sono la lunghezza eccessiva dei processi, che comprime il diritto al giusto e rapido processo; il sovraffollamento carcerario; la condizione di tanti immigrati. E poi, limitatamente ad alcuni casi come quelli avvenuti nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto durante il G8 a Genova, il ricorso delle forze dell’ordine a maltrattamenti e torture.
Riforma della giustizia; sanzioni non detentive per i reati minori (forti pene pecuniarie e lavori obbligatori di pubblica utilità); strategia di ampio respiro per l’immigrazione, basata sulla regolazione  degli ingressi e sull’ accoglienza e l’ integrazione; una legislazione che preveda e punisca il delitto di tortura: sono queste le cose che si dovrebbero fare.
L’Italia, inoltre, dovrebbe fare molto di più per l’affermazione dei diritti umani nel campo internazionale. Il nostro Paese ha promosso meritoriamente la risoluzione sulla moratoria della pena di morte, ma fa ben poco per lo sviluppo dei Paesi del Sud del mondo (il che contribuirebbe, tra l’altro, ad alleviare i problemi dell’immigrazione clandestina). Da questo punto di vista desta allarme la drastica decurtazione delle risorse per la cooperazione internazionale operata con l’ultima legge finanziaria: un taglio di oltre il 50% per il triennio 2009-2011 di un capitolo già fortemente inadeguato. Rischiamo così di far precipitare nuovamente l’Italia all’ultimo posto tra i Paesi dell’Ocse nell’impegno per la lotta alla povertà.
Il messaggio che la Dichiarazione lancia oggi al mondo è quello della mobilitazione per il riconoscimento dei diritti, della “responsabilità dell’individuo, dei gruppi e degli organi della società” perché si attivino per la promozione  e la protezione dei diritti umani. Il verbo usato, in inglese, è “to strive”, che significa “sforzarsi, lottare, battersi”. La Dichiarazione, con un’investitura giuridica, morale e politica, chiama tutti noi a non avere paura delle nostre incoerenze e all’impegno per superarle.

Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).

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