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I giovani sono una generazione “monca” senza un lavoro stabile, senza spazi, senza ruoli

a cura di in data 5 Febbraio 2009 – 10:31

Il  Secolo  XIX – 5 febbraio 2009 – Le inchieste ci raccontano un paradosso: i giovani sono numericamente sempre più rari ma hanno poche possibilità di affermarsi nella società. Sono una generazione “senza”: senza un lavoro stabile  e prospettive certe, senza spazi e ruoli capaci di offrire sicurezza.
Il Rapporto Giovani 2007 redatto dalla Sapienza per il Ministero della Gioventù rivela  che la popolazione di 15-34 anni nei 27 Paesi dell’Unione europea ammonta al 34% del totale e che l’Italia è penultima, con il 24% dei giovani (la Liguria è l’ultima regione italiana, con il 19%). Il tasso di occupazione dei giovani italiani è del 24,5% (siamo al 22° posto in Europa). I giovani che vivono in famiglie che dichiarano di non riuscire a risparmiare sono il 74,9%, quelli che hanno problemi con il pagamento delle bollette sono il 12,9%. L’abitazione è in proprietà per il 74,8% nelle famiglie di origine,  per il 48,6% nelle nuove famiglie. E la partecipazione alle attività sociali e politiche? Il 9,8%, spiega il Rapporto, si impegna in associazioni di volontariato, l’1,3% nei partiti, lo 0,8% nei sindacati.
La politica è bocciata: “è una  marea di carte e parole, un gioco di poltrone e incarichi, solo esibizione”. Ce lo dice anche l’indagine “Minori, mass media e cultura politica” dell’Università di Firenze, che ha coinvolto gli studenti tra i 14 e i 20 anni. Il 60% dei ragazzi si interessa poco o niente di politica, a fronte di un 6% che se ne interessa molto. Ma attenzione, non immaginiamo giovani apatici o superficiali: il 61% vede un telegiornale, il 15% legge un quotidiano. Soprattutto, sono ragazzi che hanno le loro opinioni: il 46,5% è sfiduciato, solo il 2,6% è fiducioso. “Più che disinteresse per la politica in sé -afferma Isabella Poli, direttrice scientifica della ricerca- questi ragazzi esprimono una profonda delusione nei confronti dell’agire concreto dei politici”.
E’ comunque il Comune, l’ente più vicino ai cittadini, il luogo ideale della partecipazione dei giovani, rileva l’indagine dell’Anci “I giovani di fronte alla politica “. Il 68% degli under 35 è interessato a partecipare direttamente alla vita del proprio Comune. E, in effetti, i politici che hanno meno di 35 anni si concentrano principalmente nei Comuni, dove rappresentano il 20% degli amministratori locali. Sono invece il 4,6% alla Camera, il 4,2% nei Consigli Regionali, il 7,2% nei Consigli Provinciali.
A vincere, si diceva, è la sfiducia. L’Istituto Pareto, nello studio “I giovani e l’Europa”, ci dice che i giovani hanno maggiore fiducia per le associazioni di volontariato, seguite da Carabinieri e Polizia. I partiti sono all’ultimo posto, battuti anche dalle banche. Alle elezioni europee di giugno andrà a votare sicuramente il 47% dei giovani, probabilmente sì il 15%, probabilmente no il 16%, sicuramente no il 22%.
Il quadro, allarmante, è la conseguenza di un assetto sociale che penalizza  i giovani. Spetta a loro riscoprire l’importanza del protagonismo personale  e sociale. Lo hanno fatto con l’”Onda”: un movimento che ha intuito la condanna a una eterna e indesiderata gioventù, a una precarietà ad oltranza. Un movimento “difensivo”, contro il furto di futuro. Ma il protagonismo dei giovani, per incidere, deve incontrarsi con il pensiero della politica. Invece c’è stato il vuoto del pensiero. Quello del governo, che non sa fare un discorso riformatore e parla solo di tagli e di voti in condotta. Ma anche quello dell’opposizione, a cui manca la forza di una visione del futuro. La politica sta fallendo il suo compito principale: far sì che la società investa sui suoi figli. E i ragazzi sono sempre meno convinti che possa essere la politica a risolvere i loro problemi.
Una riflessione, infine, sulla sinistra: ora che il liberismo è fallito, le spetta la sfida di promuovere le opportunità, contrastare le disuguaglianze, assicurare istruzione di qualità a tutti. Ma senza tornare allo statalismo: serve Keynes ma anche la critica agli effetti del keynesismo. Ridistribuire il reddito e fare investimenti pubblici, ma anche riqualificare, senza il “brunettismo”, spesa e amministrazione pubblica. La sinistra è lenta  a capire Obama, ma è lì che bisogna guardare. Non a caso i giovani americani, dopo anni di apatia, si sono mobilitati e hanno votato in massa. Ho letto che quel che piace loro in Obama è il ragionamento difficile, non la semplificazione. E’ una novità su cui riflettere.
Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche)

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