Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
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Crisi climatica e nuove politiche energetiche

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Green economy, la grande occasione di creare lavoro

a cura di in data 18 Marzo 2009 – 10:39

Il Secolo  XIX – 18 marzo 2009 – La green economy serve a contrastare la crisi climatica ma anche a rilanciare lo sviluppo. E’ uno dei più ampi bacini di nuove professionalità e posti di lavoro: il rapporto “Green Jobs” dell’Onu stima in 12 milioni nel mondo, 300.000 in Italia, i lavoratori che troveranno spazio nel business verde. E’ la linea di Obama: uscire dalla crisi costruendo un mondo più pulito, creare 5 milioni di posti di lavoro nei prossimi 10 anni e tagliare dell’80% le emissioni di anidride carbonica entro il 2050.
Da noi ci provano, con un piano comune, Legambiente e Cgil. Le loro stime vanno oltre quelle dell’Onu, perché prevedono 350.000 posti di lavoro, concentrati nei settori delle fonti rinnovabili, della bioedilizia, del trasporto pubblico, dei depuratori, degli acquedotti, del riciclo dei rifiuti. La  proposta è seria  perché individua i costi e  i modi per trovare le risorse necessarie: lotta all’evasione fiscale e agli sprechi della spesa pubblica  e fiscalità ambientale.
Ma la sua validità sta soprattutto nel puntare su quello che il presidente del Censis Giuseppe De Rita chiama il “localismo che fa bene”. I grandi piani sovranazionali e nazionali sono indispensabili ma non bastano, serve fare riferimento anche al modo in cui i territori si attivano contro la crisi.
Ciò è evidente se si guarda a come già si stanno sviluppando nei territori le fonti rinnovabili. Ce lo spiega il “Rapporto Comuni Rinnovabili 2009” di Legambiente. Sono migliaia gli impianti installati, piccoli, grandi e di fonti diverse, e centinaia i progetti in corso di realizzazione. I Comuni dove è già installato almeno un impianto sono 5911 (il 79%), appena un anno fa erano 3190. E’ la spinta dal basso dei territori che si sta rivelando vincente, da tutti i punti di vista. Da quello del fabbisogno energetico: sono centinaia i Comuni che producono più energia elettrica di quanta ne consumano. Dal punto di vista della creazione di posti di lavoro e delle nuove prospettive per la ricerca applicata, con tutto un tessuto di piccole e medie imprese che sta scendendo in campo. Da quello di un maggior benessere e qualità della vita, così come da quello di bollette meno care per i cittadini.
Il dibattito pubblico sull’energia non comprende ancora l’importanza di guardare ai territori  e di superare, anche in questo campo, quell’approccio centralistico che è una chiave di lettura inadeguata rispetto a un processo nuovo, in cui sono fondamentali le risorse presenti nei territori, le domande di energia di case, uffici, aziende. Si pensi solo alle case: i consumi di energia che provengono dagli usi civili rappresentano circa il 50% dei consumi elettrici e il 33% dei consumi energetici totali. Il raggiungimento degli obbiettivi sovranazionali e nazionali oggi può venire solo da tante diffuse politiche locali.
Vanno in questa direzione, per esempio, il “Patto delle città europee contro i cambiamenti climatici”, firmato a Bruxelles da 400 Comuni, di cui 30 italiani, per raggiungere, nella propria città, gli obbiettivi europei al 2020; e il progetto italiano “Gli Enti locali per Kyoto” del Kyoto Club. La centralità dei territori nella sfida che l’Italia ha di fronte è, insomma, ineludibile.
Bisogna, allora, intervenire a livello nazionale per spingere questo scenario. Tutto il contrario di quello che sta facendo il governo Berlusconi, che sta lavorando  a uno stravolgimento delle regole della nostra cultura edilizia che rischia di compromettere in maniera definitiva il territorio senza essere nemmeno utile all’economia. Il rilancio del settore delle costruzioni è necessario ma non passa da più cemento bensì da una riconversione basata sul risparmio energetico e sull’integrazione delle fonti rinnovabili nell’edilizia, il che richiede nuove -e più semplici- regole, ma certamente non deregulation selvaggia. Il “localismo che fa bene” va promosso e sostenuto da un “centro che fa bene”, di cui purtroppo non si vede traccia. E deve diventare sempre più virtuoso con un impegno ancora più forte e ambizioso degli Enti locali, a ognuno dei quali spetta la redazione di un Piano energetico-climatico capace di coinvolgere in un’azione comune istituzioni, imprese  e cittadini.

Giorgio Pagano
L’autore, già sindaco della Spezia, si occupa di cooperazione internazionale nell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di politiche urbane nella Recs (Rete città strategiche).

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