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MPS e Acam, due storie che si intrecciano

a cura di in data 3 Febbraio 2013 – 13:01

Il Secolo XIX – 3 Febbraio 2013 – Le vicende del Monte dei Paschi di Siena e di Acam, pur così diverse tra loro, hanno qualche analogia. Non si tratta tanto dell’utilizzo dei derivati da parte dei manager per coprire il debito, in realtà per procurare altre perdite: in quel periodo, il 2008, il male era diffuso. Il trait d’union è piuttosto il cattivo localismo.

Il sociologo Aldo Bonomi fa un’analisi interessante della dialettica tra i flussi globali e i luoghi. Secondo lui ci sono tre concezioni del territorio. La prima è quella del cattivo localismo: l’ideologia che teorizza il rinchiudersi nel campanile. La seconda è quella mercatista: il territorio scompare, è un mero spazio di atterraggio dei grandi gruppi transnazionali, che spesso ripartono senza nulla lasciare. La terza è quella che riconosce il territorio e la dimensione locale come fattori identitari e parte da qui per andare nel mondo, senza chiusure.
A Siena tutte le cartucce sono state sparate per difendere la “senesità” della banca: un arroccamento di fronte alle sfide poste dalle trasformazioni, un’incomprensione di ciò che in una plurisecolare istituzione bisognava fare per preservare i valori della tradizione e di un localismo buono, correttamente inteso, innovando apertamente in tutto il resto. La politica locale ne porta le responsabilità. Non solo il Comune e la Provincia amministrate dal centrosinistra, ma anche la Curia, l’Università, i sindacati, le associazioni più o meno segrete, fino alle contrade: un mondo bipartisan che considerava la banca “cosa sua” ed era ben rappresentato nella Fondazione o nella banca.
Anche a Spezia, come ho raccontato nel mio “Diario 1997-2007” su Acam, prevalsero tra 2001 e 2004 il cattivo localismo e il provincialismo dalla veduta corta, che rifiutarono le aggregazioni con altre aziende pubbliche nel nome di un isolamento fuori dai tempi. Contro la mia volontà, il che non mi assolve affatto: perché chi è sconfitto ha il demerito di non avercela fatta a far passare le proprie idee. Le radici nel territorio dovevano essere intese come base per aprirsi e fare alleanze: Spezia, se le avesse fatte, avrebbe comunque mantenuto un ruolo. Vinse, invece, la scelta del rinserramento nel territorio, che finì con lo stremare l’azienda. Le motivazioni furono le stesse ascoltate a Siena in questi anni: la “paura di perdere la più grossa azienda locale” e di “trasferire la sua testa altrove”. Che questa concezione fosse sbagliata e finisse con il produrre risultati opposti rispetto ai desideri ce lo dicono i risultati: a Siena, anche nel caso in cui il nuovo corso della banca avesse successo, gli attori che prenderanno le decisioni non si ritroveranno più nelle stanze senesi; a Spezia, fallito il tentativo di riprendere, con Hera, la strada delle alleanze, ci si ritrova con un’azienda di fatto in mano alle banche. Acam si può e si deve ancora salvare, e la città, per raggiungere l’obbiettivo, ora deve remare tutta da una parte. Ma il tema dell’apertura andrà ripreso: non è possibile, per fare un esempio, che il piano dei rifiuti abbia una dimensione solo provinciale.
La nuova classe dirigente della città può sorgere innanzitutto su questo: la fuoriuscita definitiva dalla dimensione del cattivo localismo, dei partiti personali, del trasformismo, delle oligarchie trasversali e dello strapaese.

Giorgio Pagano
Presidente dell’Associazione Culturale Mediterraneo

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