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Home » Il Secolo XIX locale, Rubrica Lontano&Vicino di Giorgio Pagano

Hera offre ad Acam possibilità di crescita

a cura di in data 20 Dicembre 2010 – 10:24

Il Secolo XIX – 20 dicembre 2010 – Il memorandum tra Acam e Hera, che delinea il percorso industriale e finanziario per arrivare entro il 2012 all’integrazione delle due aziende, è un fatto molto positivo. Si chiude, grazie ai Comuni e ai nuovi vertici dell’azienda, la fase più difficile, e se ne apre una nuova. Al centro dell’impegno ci sarà ancora il risanamento, ma anche lo sviluppo. Hera offre infatti a Acam tante possibilità di crescita industriale, gestionale, professionale, ed ha interesse che Acam le colga, cambiando i suoi connotati operativi e migliorando i suoi conti. Capisco i timori, ma l’occupazione dei lavoratori si salva solo così.
Ci sono quindi le condizioni per una svolta radicale. Essa ha bisogno, però, di un’autocritica altrettanto radicale. Perché la chiarezza sul passato è indispensabile a costruire un futuro migliore. L’on. Orlando ha dichiarato a questo giornale che molti “hanno ricostruito in modo fantasioso la vicenda Acam”. Proprio per questo io ho provato a raccontarla, in un Diario appena pubblicato, basandomi esclusivamente sugli atti: i bilanci, le deliberazioni, soprattutto i documenti, finora riservati, della società e dell’advisor di Acam e, da un certo punto in poi, anche dell’advisor di cui il Comune di Spezia, isolato rispetto alle spinte prevalenti, fu costretto a dotarsi. Potremmo dire che per Acam non c’è bisogno di WikiLeaks, perché tutta la documentazione è ora disponibile.
Il Diario va dal 1997 al 2007, ed è soprattutto la storia del tentativo fallito, tra la metà del 2001 e l’inizio del 2004, di dar vita a un’alleanza tra Acam e altre multiutilities, che era necessaria per ricapitalizzare l’azienda e assicurarle più efficienza dentro una “casa più grande”, mantenendo radici nel territorio. E di come prevalse invece il localismo con la “veduta corta”, la scelta di “stare da soli” e di coltivare un isolamento fuori dai tempi. Contro la volontà del mio Comune, il che non ci assolve affatto, perché chi è sconfitto ha il demerito di non avercela fatta a far passare le proprie idee. La strada allora interrotta è stata finalmente ripresa. Ma le tentazioni localistiche sono sempre in agguato: la guardia, quindi, non va mai abbassata.
Non è vero -ecco un punto chiave- che tutte le responsabilità vanno addebitate all’amministratore delegato, che pure aveva un potere e un’autonomia molto forti, nella gestione (non così efficiente come sembrava) e in particolare negli investimenti (troppi). La scelta di dire no alle aggregazioni, infatti, fu voluta anche dal Consiglio di Amministrazione e dalla maggioranza dei Comuni, ed ebbe un forte consenso nel mondo politico. Non è vero che la colpa della politica  fu “non porsi il tema dell’indirizzo e del controllo di Acam”: è una visione in cui “tutte le vacche sono nere” (e l’ipocrisia nerissima). Una parte della politica indirizzò Acam in un certo modo, mentre un’altra parte fu sconfitta. Tutta la politica fu unita, invece, in un altro errore: nella scelta degli uomini chiamati ad amministrare l’azienda, che i Comuni indicarono mediando tra loro e con i partiti. Usando cioè il metodo dello “Stato dei partiti”, che premia più l’appartenenza che la competenza. Con esiti, pur tra qualche eccezione, negativi. Anche questa è una tentazione sempre presente, che va combattuta.

lontanoevicino@gmail.com

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