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Dalla Resistenza alla Costituzione fino al revisionismo attuale

a cura di in data 26 Settembre 2018 – 16:28

LA DEMOCRAZIA E’ FIGLIA DELLA RESISTENZA:
DALL’ANTIFASCISMO ALLA LOTTA PARTIGIANA

Biennale sulla Resistenza

Tavola rotonda

DALLA RESISTENZA ALLA COSTITUZIONE FINO AL REVISIONISMO ATTUALE

Intervento di
GIORGIO PAGANO
Copresidente del Comitato Unitario della Resistenza

Cari amici,
il mio impegno di cooperante mi ha portato in questi giorni in Palestina -dove sto seguendo un progetto che cerca di risolvere il problema dell’acqua in questa terra martoriata- in anticipo rispetto alla data prevista. Con grande rincrescimento non posso quindi partecipare alla vostra importante iniziativa. Ho però voluto inviarvi un breve testo scritto, che spero possa dare un piccolo contributo alla riflessione di cui abbiamo bisogno.
Il “revisionismo” di cui parla il titolo non nasce certo oggi, ma già negli anni Ottanta del secolo scorso. Fu innanzitutto Bettino Craxi, eletto segretario del Psi nel 1976, a sferrare un attacco strategico alla Resistenza. Emblematica, per esempio, fu la decisione di Craxi, diventato Presidente del Consiglio nel 1983, di rimettere in libertà nel 1985 il criminale nazista Walter Reder, responsabile della strage di Marzabotto. Il Governo ricorse spesso ai voti del Msi, un partito che secondo Craxi non doveva più essere “ghettizzato”. Dopo un incontro tra Craxi e il segretario del Msi Gianfranco Fini, lo storico Renzo De Felice rilasciò sul “Corriere della Sera” un’intervista a Giuliano Ferrara, nel 1987, in cui liquidava la “retorica antifascista” e una pregiudiziale, quella antifascista, “che perde sempre più significato e valore anche di fronte all’opinione pubblica”. Lo storico Mario G. Rossi replicò su “Passato e presente” con parole incisive: “Il tentativo di trasformare la motivazione antifascista dell’edificio costituzionale in un’appendice secondaria, asportabile tranquillamente, maschera in realtà un obbiettivo di ben altra portata: quello, cioè, di rimettere in discussione fondamenti e criteri della Costituzione repubblicana, proprio in quanto il suo legame con la Resistenza e la sua pregiudiziale antifascista limitano i margini di manovra di chi, sotto l’etichetta di una ‘nuova repubblica’, basata sulla modernizzazione delle istituzioni e sull’efficienza dei processi decisionali affidati ai vertici di un ceto di politici professionisti, vorrebbe recuperare i connotati autoritari e antipopolari delle vecchie classi dirigenti”.

La crisi dell’antifascismo, cominciata alla fine degli anni Settanta e proseguita negli anni Ottanta, si aggravò ancora negli anni Novanta. Dopo Tangentopoli i partiti antifascisti, fondatori della prima Repubblica, si dissolsero. Il nuovo Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nominato nel 1994, proseguì l’attacco alla Costituzione, nell’intento di cambiarla in senso presidenzialista.
Nel 2006, dopo un ventennio di tambureggiante revisionismo, galvanizzato dalla stagione politica berlusconiana, lo storico Giovanni De Luna affidava a un articolo pubblicato su “La Stampa” l’ammissione di una sconfitta: “Resistenza, hanno vinto i revisionisti”.
Eppure non andò così. Nel 2015 lo stesso De Luna, in un’intervista a “La Repubblica”, riconobbe come la memoria della Resistenza avesse retto all’urto della “furia revisionista”. Fu merito di una forte reazione dal basso a difesa della Costituzione e del baluardo rappresentato dal Quirinale, sia con Carlo Azeglio Ciampi che con Giorgio Napolitano.
Ma oggi la crisi dell’antifascismo conosce una nuova fase. Al governo nazionale ci sono forze che non nascondono la loro indulgenza verso il fascismo. E c’è un ritorno al fascismo che si innesta sul terreno dell’atteggiamento verso gli immigrati: sono tornati a diffondersi intolleranze, discriminazioni, violenze, troppo spesso accettate con indifferenza se non addirittura apertamente approvate.

Serve ancora la reazione dal basso. Così come serve il baluardo del Quirinale, oggi ben presidiato da Sergio Mattarella.
Come hanno indicato i due referendum popolari del 2006 e del 2016 la Costituzione repubblicana continua a rappresentare nella coscienza comune il punto di riferimento unitario più alto. Il nostro compito più importante, di fronte ai pericoli dell’oggi, è dunque quello di batterci per ribadire l’attualità della Costituzione. E soprattutto di batterci per attuarla.
La memoria storica deve essere cioè una riflessione sul tempo nostro. Un esame di coscienza sul presente. La memoria va cioè connessa alla vita e darci indicazioni utili per il mondo di oggi. Solo così possiamo dare forza al ricordo.
L’indicazione più utile è certamente quella della giustizia sociale e della lotta alle diseguaglianze.
La memoria della Resistenza ci convoca quindi, di fronte a una distanza crescente tra chi ha e chi non ha, all’impegno per un’Italia più giusta e meno diseguale.
Così come, di fronte al razzismo, ci convoca all’impegno per la convivenza e la solidarietà.
Così come, di fronte alle guerre e al militarismo, ci convoca all’impegno per la pace e per la salvezza dell’umanità e alla scelta della nonviolenza.
Così come, di fronte al maschilismo, ci convoca all’impegno contro tutte le oppressioni e per la liberazione delle donne.
In una parola, la memoria della Resistenza ci convoca ad attuare la Costituzione nata dalla Resistenza.

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