Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
10 Aprile 2024 – 20:59

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Una maglietta rossa per l’umanità e la cultura

a cura di in data 12 Luglio 2018 – 22:09
Marrakech, piazza Jamaa el Fna  (2018)  (foto Giorgio Pagano)

Marrakech, piazza Jamaa el Fna
(2018) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 8 luglio 2018 – Oggi nel mondo una persona su 110 è costretta ad abbandonare il suo Paese: 44.500 al giorno, una ogni due secondi. Si scappa dalla povertà e dalle emergenze sanitarie e climatiche e dai teatri di guerra del sud del mondo e si finisce, nell’85% dei casi, non nei Paesi del nord ma in quelli in via di sviluppo. Basta seguire i flussi sul mappamondo per rendersi conto che la tanto sbandierata “invasione” dell’Europa e dell’Italia da parte dei migranti semplicemente non esiste: chi fugge va in Turchia, Uganda, Libano, Iran… E solo marginalmente in Europa e in Italia.

Ultimamente, poi, coloro che arrivano da noi sono sempre meno. La maggioranza resta in Libia, nei campi di detenzione, in realtà di concentramento. Un’altra parte, minoritaria, riesce a imbarcarsi per cercare di raggiungere l’Europa e spesso muore in mare: succede a un migrante su 7. Un anno fa era uno su 38. Solo a giugno ci sono stati dieci naufragi, con 557 vittime, quasi un terzo di tutte quelle del 2018, che hanno superato quota 1.400. L’aumento vertiginoso delle vittime delle traversate corrisponde allo stop forzato delle navi umanitarie a cui Italia e Malta hanno chiuso i porti. Ormai da diversi giorni in mare non c’è più nessuna nave umanitaria, alla Guardia Costiera italiana è stato ordinato di arretrare e di lasciare il coordinamento delle operazioni alla Guardia Costiera libica. Il risultato è uno sterminio di massa. Il 28 giugno un vecchio barcone è partito da Tripoli, ha potuto fare appena 6 miglia prima che il motore si incendiasse. A bordo i 120 migranti sono stati presi dal panico e hanno rovesciato l’imbarcazione, trascinando in fondo al mare almeno cento persone, tra cui dieci neonati e bambini. Le navi delle Ong non hanno potuto fare nulla, perché ridotte all’impotenza.

Dobbiamo trovare il coraggio e parlare di questi morti.

E parlare dell’Africa, da cui i migranti scappano e in cui vorrebbero tornare, senza poterlo fare. L’Africa che continuiamo a colonizzare, innanzitutto con il land grabbing: per le nostre provviste alimentari gli Stati europei sostengono le imprese che controllano le terre con la sostituzione delle colture tradizionali, la meccanizzazione e l’espulsione dei contadini. “Aiutarli a casa loro” significa restituire l’Africa agli africani, perché diventino davvero padroni a casa loro, dopo secoli. Smettendola di vendere loro armi e sostenendoli invece nella costruzione di un sistema formativo e nell’alimentazione della loro cultura e della loro capacità di governarsi da sé.

Parlare, ancora, di un’accoglienza -a coloro che riescono ad arrivare- che solo in pochi casi è decente, perché non è accompagnata all’integrazione e all’inclusione, cioè alla formazione e al lavoro. Di cui tutti abbiamo bisogno, italiani e migranti. Ma che a tutti mancano, perché le politiche dell’austerity neoliberista trovano i soldi per le banche ma non per gli investimenti che danno lavoro.

Marrakech, United Nations Public Service Forum, intervento della rappresentante del Governo della Repubblica Democratica di Sao Tomé e Principe (2018)  (foto Giorgio Pagano)

Marrakech, United Nations Public Service Forum, intervento della rappresentante del Governo della Repubblica Democratica di Sao Tomé e Principe
(2018) (foto Giorgio Pagano).

UM OUTRO MUNDO E’ POSSIVEL
Sabato scorso, a un convegno sul futuro della sinistra, l’ex Ministro Andrea Orlando mi ha accusato, naturalmente, di “buonismo”: perché la sinistra deve “capire la paura dell’italiano povero di fronte allo straniero” e “forse fare proprie alcune delle idee del populismo”. Come il suo ex collega Minniti, che diceva: “La gente non guarda le statistiche, la gente ha paura”. Certamente la sinistra deve “capire la paura”. Ma la risposta sta nel combattere la campagna che avvelena da anni il cuore degli italiani raccontando l’enorme bugia dei migranti come principale problema del Paese. Sta nel denunciare che i principali problemi del Paese sono la povertà e le diseguaglianze, che sono esplose a livelli paragonabili solo ai periodi di guerra: 18,6 milioni di italiani a rischio esclusione, 5 in povertà assoluta, 9,3 relativa, mentre 12 milioni non si possono più curare e 1,2 sono bambini. Sta nel battersi per una politica economica e sociale che sostenga tutti i più deboli e non incentivi la guerra tra i poveri. Sta nel combattere quei politici di oggi che dicono “prima gli italiani” e che sono gli stessi che ci hanno impoverito tagliando i fondi alle politiche sociali, si sono rifiutati di introdurre una misura di reddito minimo, hanno tagliato la sanità e l’istruzione pubblica, hanno reso più precario il lavoro. Sta nel proporre una politica della cooperazione che renda gli africani padroni a casa loro, e una politica dell’accoglienza basata sulla formazione e il lavoro, per garantire agli immigrati il “diritto di tornare”.
La sinistra deve “capire la paura” e adoperare lo strumento della cultura per capire non solo la paura ma anche quello che sta succedendo nel mondo. La sinistra ha smesso di rappresentare il popolo quando ha smesso di offrire spiegazioni dei conflitti e delle oppressioni. I Romani, per tradurre ciò che i Greci chiamavano “paidéia”, cioè la cultura e l’educazione, usavano la parola “humanitas”, cioè “umanità”. Questa traduzione presuppone l’idea che essere “umani” ed essere “colti” e “istruiti” sia la stessa cosa. A furia di parlare di “paura” siamo tornati un po’ bambini: si vive nel presente, delle cose più grandi si occupano i grandi. Invece bisogna sforzarsi di essere adulti, indicare una rotta ideale, una prospettiva politica per il futuro. Capire che cos’ è l’Africa, perché la gente migra, quali sono le differenze e gli elementi che ci uniscono a tutta l’umanità.
So bene che non costa nulla infilare una maglia. E che ci vogliono azioni e anche scelte di vita che costino qualcosa a chi decide di battersi contro la disumanità e l’incultura. Ma oggi hanno senso tutti i gesti individuali e collettivi che facciano argine. Per questo ieri ho indossato tutto il giorno una maglietta rossa, come proposto da Libera, Arci, Anpi e Legambiente. Per dire insieme a tanti che non siamo disponibili a vedere affondare la nostra umanità e la nostra cultura su quei barconi. E’ una maglietta che comprai 16 anni fa a Porto Alegre in Brasile, al Forum Sociale Mondiale del 2002, con la scritta in portoghese “Um outro mundo è possivel”. Un messaggio allora inascoltato, che in questi anni mi ha dato forza a Sao Tomè e Principe, colonia ex portoghese, poverissima ma ricca di umanità e di cultura. E che oggi mi aiuta a costruire nuovi linguaggi e nuove idee in una società italiana ed europea avvelenata dalla povertà non solo economica e sociale ma anche umana e culturale.

Post scriptum:
Sulle migrazioni rimando ai miei ultimi scritti, leggibili su www.associazioneculturalemediterraneo.com:
l’articolo “La sinistra riparta dal modello Riace e dai braccianti” e la Postfazione alla raccolta di poesie e di racconti “Fra gli ultimi del Mondo”.
Le fotografie di oggi sono state scattate all’United Nations Public Service Forum su “Transforming Governance for Realizing the Sustainable Development Goals”, tenutosi nei giorni scorsi a Marrakech. La foto in basso ritrae l’intervento al Public Service Forum della rappresentante del Governo della Repubblica Democratica di Sao Tomé e Principe.

lucidellacitta2011@gmail.com

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