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10 Aprile 2024 – 20:59

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Un Piano per il lavoro con la cultura al centro

a cura di in data 22 Luglio 2013 – 09:12

Nicola di Ortonovo, simbolo religioso (foto archivio Arturo Izzo)

Città della Spezia – 14 Luglio 2013 – Sono sempre stato convinto -in passato da dirigente politico e da amministratore pubblico, oggi da persona impegnata nell’Associazione Culturale Mediterraneo e in altre “avventure” culturali- che va evitata la politica culturale contrassegnata da quello che si potrebbe definire “eventismo”: l’attimo, il momento, l’iniziativa che fanno notizia e poi scompaiono. E che serve, invece, una politica culturale fondata sulla “durata nel tempo”, sulla continuità, sulla programmazione destinata ad affermarsi negli anni. E che è fondamentale, inoltre, lavorare per un nuovo rapporto tra intellettuali e popolo: con la democrazia culturale, la socializzazione della conoscenza, la diffusione del pensiero critico e riflessivo, l’educazione e la formazione anche in forme popolari e semplici, in primo luogo dei giovani.

Nicola di Ortonovo, pietra nella piazza (foto archivio Arturo Izzo)

Ecco perché è importante riflettere su esperienze come quella dell’Acit spezzina, l’Associazione culturale italo-tedesca, che ha appena festeggiato, con una bella festa di strada e un concerto al Palco della musica, i quarant’anni di vita. L’Acit è l’esempio di un’esperienza culturale capace di durare nel tempo e di avvicinare alla cultura tanti giovani e tanto popolo, diventando così componente attiva della vita e della storia della città. L’idea di un’associazione per promuovere la lingua e la cultura tedesca alla Spezia fu di due insegnanti di tedesco, le professoresse Umberta Volpi Arfaioli e Ruth Matthey Nicoletti, e di due ufficiali di Marina, Renato D’Antonio (il primo Presidente, fino all’immatura scomparsa nel 1976) e Remo Bastagli. Dal 1973 cominciarono i corsi di lingua tedesca per gli adulti e nelle scuole, e poi le conferenze, le mostre, i concerti, le rassegne cinematografiche, gli spettacoli teatrali, i viaggi. Fino alla realizzazione di una biblioteca di 5.000 volumi, inserita nel Sistema Bibliotecario Urbano. Il tutto all’insegna di una forte collaborazione con le istituzioni locali e con altre associazioni: si pensi, per fare un solo esempio, al ruolo decisivo dell’Acit per la nascita e lo sviluppo del gemellaggio tra La Spezia e Bayreuth. A studiare tedesco in questi quarant’anni sono stati oltre 2.000 spezzini. I motivi di questo interesse -mi spiega la professoressa Chiara Cozzani Fabbri, presidente dell’Associazione dal 1997, succeduta al professor Renato Caruso, che lo fu dal 1976- sono stati e sono di natura culturale, ma anche legati alla possibilità di trovare un lavoro: lo scorso anno gli italiani immigrati in Germania sono aumentati di 50.000 unità, soprattutto nel sud del Paese, privo di forza lavoro sufficiente. Del resto, aggiunge l’avvocato Fabrizio Delle Piane, componente del Direttivo, il 16% delle merci importate in Italia sono made in Germany, mentre il 13% di tutte le esportazioni italiane è diretto nella Repubblica Federale Tedesca. Tutte le iniziative dell’Acit, non solo l’impegno costante per la diffusione della lingua, hanno rappresentato uno stimolo per la crescita culturale della città: si pensi all’interesse costante per il teatro di Bertold Brecht, o alle grandi mostre, come quelle di Otto Dix, di Kathe Kollwitz e di Georg Grosz. Insomma, è davvero l’anniversario di un presidio culturale stabile e promotore di democrazia, a cui va l’apprezzamento di tutti gli spezzini.
Un presidio “controcorrente”, e proprio per questo prezioso. Negli ultimi decenni, infatti, quelli dell’egemonia del neoliberismo, abbiamo assistito ad un’omologazione culturale e ad un appiattimento di gusti e consumi: la doppia equazione: cultura=spettacolo e spettacolo=business. Cioè una visione molto riduttiva della cultura, che ha portato a fenomeni di imbarbarimento e di nuova ignoranza. Un torpore italiano dal quale è essenziale svegliarsi rapidamente. I segnali ci sono, nonostante tutto. I finanziamenti pubblici si sono dimezzati, le sponsorizzazioni sono diminuite del 40%: eppure sta nascendo un’industria culturale ragguardevole, con tanti giovani occupati, anche se precari e a basso reddito; e molte famiglie italiane cercano di salvaguardare per quanto possibile la spesa per la cultura. Le basi del risveglio ci sono: ma serve, non c’è dubbio, una svolta del pubblico, un suo nuovo impegno, a partire dal Governo centrale. Una nuova idea keynesiana di rapporto tra pubblico e privato no profit e for profit, un Piano per il lavoro con l’industria culturale al centro. La politica si deve assumere una responsabilità: svincolare gli investimenti in cultura dalle misure di contenimento della spesa, per promuovere impresa, associazionismo e lavoro nell’industria creativa. Ma la rinascita culturale deve mobilitare tutti: lavoratori, imprese, enti locali, associazionismo, volontariato, università, ricerca. Anche a Spezia c’è bisogno di un Piano per il lavoro che parli di cultura come centralità, e di nuovi strumenti operativi, più efficaci perché meno frammentati, più capaci di fare squadra tra istituzioni e di coinvolgere il privato. Associazioni come l’Acit, in questo contesto, darebbero un grande contributo e avrebbero una straordinaria occasione di ulteriore crescita.

lucidellacitta2011@gmail.com

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