Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
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Salviamo i piccoli borghi della Liguria

a cura di in data 6 Agosto 2013 – 15:03

Tramonti, dove verde e acqua sono una cosa sola”, Mostra fotografica “Verde e acqua” a cura di Artemisia Servizi Culturali, Castello di Ameglia 31 maggio-1 e 2 giugno 2013 (2010)(foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 4 Agosto 2013 – Due domeniche fa ero alla Festa del Grano a Suvero, in Val di Vara, 700 metri sul livello del mare. Il Comune di Rocchetta ha avviato un’esperienza che funziona: nel 2009 ha acquistato i semi di grano e li ha distribuiti agli agricoltori, perché riscoprissero una tradizione del luogo. Ora ci sono diciotto produttori, molti terreni sono nuovamente agricoli, il paesaggio sta tornando quello di un tempo. E si recupera la dimensione comunitaria: è stato ricostituito il Monte frumentario, antica associazione dei contadini. Ne ho già scritto in questa rubrica (“In Val di Vara sventola bandiera verde”) ma ci torno su perché l’esempio di Suvero ci dice che la crisi sta cambiando economie e stili di vita, e che ad essa non ci sono solo risposte di disperazione ma anche reazioni creative che trasformano modi di vivere e di produrre e la stoffa stessa delle relazioni sociali.

Punta Corvo, una spiaggia che è anche una piazza”, Mostra fotografica “Verde e acqua” a cura di Artemisia Servizi Culturali, Castello di Ameglia 31 maggio-1 e 2 giugno 2013 (2012)(foto Giorgio Pagano)

La Liguria ne ha un bisogno estremo: è la regione con la minore estensione di superficie agricola (16%, la media nazionale è del 46%) e che perde più velocemente questo patrimonio (meno 63% tra 1982 e 2010). A vantaggio dei boschi -siamo la regione più boscata, il 75% della superficie- ma anche delle edificazioni che avanzano in campagna. Mentre i nostri borghi interni sono sempre meno popolati. Far conoscere le realtà che vanno in controtendenza e forniscono indicazioni di valore generale per una nuova prospettiva è quindi un compito culturale e politico di prim’ordine. Tra queste, oltre a Suvero, le più note -a noi spezzini, frequentatori dell’Appennino emiliano- sono quelle di Succiso e Cerreto Alpi, nel reggiano. A Succiso, nel 1990, chiusero la bottega di alimentari e il bar. I cittadini reagirono: “Mettiamoci tutti assieme, in una cooperativa. L’iniziativa privata non regge più. Se vogliamo trovare un caffè, il pane fresco e soprattutto un posto dove trovarci assieme, dobbiamo costruirlo da soli”. Non sapevano di aver creato la prima “cooperativa di comunità”. Così hanno salvato il loro paese: nell’ex scuola elementare ci sono la bottega di alimentari, il bar, il ristorante, l’agriturismo, la sala convegni, sono tornati l’allevamento delle pecore e la produzione di pecorino e ricotta, è nata la “scuola di montagna” per gli escursionisti… Anche Cerreto Alpi, nel 2003, stava semplicemente chiudendo: e anche lì nacque una cooperativa, dedita alla pulizia del bosco, al raccolto delle castagne, alla gestione del circolo, alla guida degli escursionisti, con un “patto” con l’hotel e il ristorante del paese.
Se guardiamo ad altre regioni, colpisce il recupero delle case di pietra del borgo di Paraloup, nel cuneese. Da qui partì la Resistenza, con protagonisti come Duccio Galimberti e Nuto Revelli. Poi il borgo cadde nell’abbandono, fino al recente recupero voluto da Marco Revelli, figlio di Nuto: rifugi con posti letto, sale per mostre, un ristorante, un archivio dedicato alle donne di questi posti, e soprattutto il progetto in cantiere di riportare a Paraloup attività agricole e pastorizie. Ma soprattutto colpisce l’esperienza dell’Agenzia dei borghi solidali nei Comuni dell’area grecanica calabrese, Pentedattilo, Roghudi e Montebello. L’Agenzia, aggregazione di numerose associazioni, ha sede in un edificio di Pentedattilo sottratto alla mafia. Tra le tante iniziative, organizza campi di lavoro estivi nazionali e internazionali, il che porta centinaia di ragazzi negli ostelli realizzati negli edifici pubblici e privati abbandonati. In questi spazi si vanno aprendo anche botteghe artigiane che riscoprono le antiche tradizioni manifatturiere grecaniche. Sono tutte esperienze che ci mostrano che il tracollo culturale dei partiti non esaurisce e non trascina con sé la dimensione dell’agire politico collettivo; e che ci spiegano che non ci sono solo lo Stato e il mercato: c’è anche la gestione comune dei beni, che produce nuove reti sociali.
Che fare, allora, nella nostra Liguria? Certamente occorre un progetto nazionale per le aree interne, che avviò Fabrizio Barca quando era ministro: un disegno di riequilibrio demografico, sociale, ambientale che può offrire nel tempo vaste prospettive al lavoro giovanile e alla valorizzazione di immense risorse naturali. Ma serve anche un grande progetto della Regione, con l’obbiettivo di una Liguria “che torni a riequilibrarsi tra costa e entroterra”, come ha detto nei giorni scorsi Claudio Burlando a Repubblica-Il Lavoro. Il disegno di legge che istituisce una “banca regionale della terra” per gestire le terre incolte è un primo passo. Ma pone l’attenzione solo sull’agricoltura grande e media e sulla costituzione di unità produttive più ampie, quando da noi il recupero consiste soprattutto in piccoli interventi. E poi va integrato con altre azioni, che facciano massa critica in un grande progetto di rinascita della Liguria rurale, che connetta agricoltura, allevamento, turismo, cultura degli antichi saperi e mestieri, fattorie didattiche, produzione di energia su piccola scala, artigianato… Insomma, la Liguria interna può diventare il laboratorio di un nuovo umanesimo. Burlando ha concluso a Rondanina, piccolo borgo montano del genovese, quello che ha definito “un viaggio nella bellezza”. Ora la sfida è quella di porci nel mondo globale con la forza di una Liguria che crei un nuovo sguardo sul passato e conservi la bellezza portandola nel futuro.

lucidellacitta2011@gmail.com

 

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