Presentazione alla Spezia di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Venerdì 5 aprile ore 17 alla Biblioteca Civica Arzelà di Ponzano Magra
28 Marzo 2024 – 08:58

Presentazione alla Spezia di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiVenerdì 5 aprile ore 17Biblioteca Civica Arzelà – PONZANO MAGRA
Il libro di Dino Grassi “Io sono un operaio. Memoria di …

Leggi articolo intero »
Crisi climatica e nuove politiche energetiche

Economia, società, politica: anticorpi alla crisi

Quale scuola per l’Italia

Religioni e politica

Ripensare il Mediterraneo un compito dell’Europa

Home » Rubrica Luci della città di Giorgio Pagano

Rudolf Jacobs e l’altra Germania

a cura di in data 14 Novembre 2014 – 12:19
Varsavia, monumento a Willy Brandt (2009) (foto Giorgio Pagano)

Varsavia, monumento a Willy Brandt
(2009)
(foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 9 novembre 2014 – Nel 1998 mi recai a Bayreuth, in Germania, per avviare il processo che avrebbe portato al gemellaggio tra la nostra città e quella tedesca. Dopo la cena, il Sindaco socialdemocratico Dieter Mronz volle restare solo con me: per chiedere perdono, a nome del popolo tedesco, delle atrocità del nazismo, in generale e in particolare nei confronti del popolo italiano. Era, per lui, l’atto preliminare indispensabile al gemellaggio. A Mronz dissi che apprezzavo molto il suo gesto, ma che tutto era già cambiato grazie a un grande uomo politico tedesco, il Cancelliere socialdemocratico Willy Brandt: quando, il 7 dicembre 1970, si inginocchiò chinando il capo davanti al Monumento agli Eroi del Ghetto di Varsavia, egli si assunse agli occhi del mondo intero la responsabilità del passato, in quanto rappresentante del popolo tedesco. Non certo in quanto persona, perché Brandt era stato fin da subito un oppositore clandestino al nazismo. Non a caso volle che al suo funerale venisse intonato il vecchio canto dei volontari democratici tedeschi nella guerra di Spagna, contro il regime fascista di Francisco Franco. Ma al Sindaco di Bayreuth aggiunsi che La Spezia aveva conosciuto personalmente l’”altra Germania” già durante il nazifascismo. E gli narrai la storia straordinaria di Rudolf Jacobs, l’ufficiale tedesco che disertò, si unì ai partigiani e morì in un assalto all’ hotel Laurina, sede sarzanese delle Brigate nere, il 3 novembre 1944 (si veda, su “Città della Spezia”, il mio “Rudolf Jacobs, l’ufficiale partigiano che ha fatto storia”, 3 novembre 2014).

Sant'Anna di Stazzema, lapide con Ode a Kesserling di Piero Calamandrei  (2010)    (foto Giorgio Pagano)

Sant’Anna di Stazzema,
lapide con Ode a Kesserling di Piero Calamandrei
(2010) (foto Giorgio Pagano)

La tragica morte di Jacobs mi è stata raccontata tante volte da Flavio Bertone “Walter”, allora vicecomandante della brigata garibaldina (comunista) Ugo Muccini, e dal suo amico fraterno Boris Crnica, il partigiano slavo, specialista del lancio di bombe a mano, che fece parte del gruppo di dieci uomini guidato da Jacobs all’assalto all’hotel Laurina: l’arma del tedesco inceppata dopo un colpo solo, il ferimento del suo aiutante Johann Fritz, pure lui tedesco e disertore, le bombe di Boris e il fuoco infernale dei partigiani, che protesse la loro fuga nelle campagne. Sulla vicenda ho poi riflettuto grazie al bel romanzo storico di Luigi Faccini “L’uomo che nacque morendo”, ispirato liberamente alle vicende di Jacobs ma assai fedele allo “spirito” dei fatti accaduti. Ne emerge la figura non solo di un disertore, ma di un uomo lacerato, che matura progressivamente il suo strappo radicale con il nazismo. Faccini fa dire a Jacobs queste parole, rivolte al partigiano che si fida di lui e lo porta in montagna: “Questo ufficiale si ribella al nazismo in nome della vita. In nome degli uomini liberi che verranno dopo di noi. E’ un uomo che non si sente un traditore, ma un tedesco orgoglioso di esserlo”. Ancora: “Io non mi considero un traditore del mio Paese. Il mio Paese ha negato l’umanità. Io sono diventato nemico di quel Paese. Come potrei sentirmi un traditore se considero il mondo la mia Patria, se considero l’umanità il mio popolo?”, dice Jacobs ai partigiani inizialmente diffidenti, conquistandoli. Sembra quasi che Jacobs voglia andare incontro alla sua sorte, con “un’azione disperata che ha il sapore della catarsi”, scrive Bruno Gravagnuolo nell’introduzione al libro. Non un gesto suicida, ma di liberazione e dignità. D’amore verso la nuova patria spezzina di cui si era innamorato, e d’amore verso la prima patria, per riscattarla dall’orrore.

Ma i tedeschi disertori e partigiani non furono, nella nostra IV Zona Operativa, solo Jacobs e Fritz. Il 17 marzo 1944 un rastrellamento nazifascista sorprese un gruppo di partigiani sul monte Groppo nel Comune di Maissana: si accese un combattimento, alcuni caddero. Tra questi il “Tenente Hans”, il primo dei caduti tedeschi della Resistenza spezzina, che si tolse la vita (si veda, in questa rubrica, “Il Tenente Piero e le filandine Elvira e Dora”, 4 maggio 2014). Almeno una decina, forse una quindicina, furono i partigiani tedeschi nei nostri monti. Un altro “Hans” cadde l’11 novembre 1944 a Cornice di Sesta Godano, mentre inseguiva i nazifascisti in fuga dagli attacchi delle brigate Gramsci e Matteotti, a cui avevano reagito devastando Scogna, Calabria e Godano. Il ripensamento personale era favorito dall’iniziativa della Resistenza: nella tipografia clandestina della Rocchetta di Lerici venivano stampati volantini in lingua tedesca indirizzati ai soldati tedeschi, poi diffusi in prossimità delle caserme dalle ragazze e dai ragazzi delle Sap e del Fronte della Gioventù.

Tra i vuoti da riempire nella storia della Guerra di Liberazione c’è certamente la ricostruzione del fenomeno della diserzione dei militari della Wehrmarcht, oltremodo difficile perché negata e nascosta dai loro superiori. La pagina di Jacobs fu la più rilevante, e non a caso è ora ricordata non solo nella sua Brema ma anche in tutta la Germania. Anche noi, a Spezia e in Italia, non dobbiamo dimenticarla. Anche perché Jacobs è una figura simbolo di quell’”altra Germania” di cui ancora oggi, in tempi radicalmente diversi, ci sarebbe bisogno. Non a caso in Germania in tanti dicono: “Manca il Willy Brandt dei giorni nostri”. Se facciamo un bilancio dell’unificazione tedesca a 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino e della costruzione successiva dell’”Europa tedesca” non possiamo che concordare con questa invocazione. L’ex Germania dell’Est, a parte le città-vetrine di Dresda e Lipsia, è infatti la parte povera e depressa di un Paese ricco. Mentre l’unificazione della Germania ha portato a una nuova tappa della sua egemonia in Europa, non più, questa volta, con la forza delle armi ma con la capacità di espansione del mercato. Eppure l’austerity, alla fine, non fa nemmeno l’interesse della Germania, che è entrata in recessione. Come ha scritto il Premio Nobel per l’economia Joseph E. Stiglitz, la Germania comincia a pagare le scelte scriteriate della sua Cancelliera e della Bundensbank. Se i tedeschi non cambiano non si eviterà il tracollo dell’Europa, Germania compresa. Ecco perché c’è davvero bisogno, ancora oggi, dell’”altra Germania”.

lucidellacitta2011@gmail.com

Popularity: 8%