Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
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Piazza Verdi e la democrazia malata

a cura di in data 26 Giugno 2013 – 15:37

Portovenere, Chiesa di San Pietro (2012) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 23 Giugno 2013 – Come si uscirà dal “pasticciaccio” della nuova piazza Verdi? Il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali Massimo Bray ha incontrato il Sindaco e gli ha richiesto “di procedere a un ulteriore approfondimento sul progetto, auspicando di raggiungere nel più breve tempo possibile una soluzione condivisa”. Che di una soluzione condivisa ci sia bisogno non ci sono dubbi. Sia perché il Comune non può contrapporsi al Ministero, ma solo collaborare con esso. Sia perché una ricomposizione del conflitto esistente in città tra punti di vista diversi è indispensabile: il bello della democrazia è proprio il raggiungimento di una sintesi dopo il conflitto. Il problema è il tempo a disposizione: ne occorrerebbe non poco per ascoltare, riordinare e portare a sintesi le diverse domande in un processo partecipativo che finora è mancato, ma il Comune ha fretta di far partire il cantiere, perché teme la perdita dei finanziamenti europei. E tuttavia altre strade non ce ne sono. Tantomeno scorciatoie decisioniste. Certo, la soluzione apparentemente più semplice è il mantenimento degli alberi storici e la rinuncia agli archi progettati da Daniel Buren. Ma probabilmente si porta dietro qualche complicazione. In attesa di capire se sarà questo il “cuore” della soluzione condivisa, la vicenda stimola molte riflessioni. Eccone, di seguito, alcune. 

La Spezia, Chiesa di San Michele Arcangelo a Pegazzano (2012)(foto Giorgio Pagano)

1) Nel nostro Paese c’è chi sostiene da vent’anni che non governiamo perché non c’è sufficiente concentrazione di poteri; e chi pensa, invece, che non governiamo perché non c’è sufficiente partecipazione. Io sono da sempre per quest’ultima tesi. Penso che valga anche per Spezia: dall’impasse di piazza Verdi si può uscire non andando avanti come carri armati (per poi bloccarsi davanti a Bray e alla mobilitazione delle tante persone contrarie al progetto) ma con una sterzata che punti, sia pure con tempi ristretti, sulla partecipazione e su nuovi modi di deliberazione democratica. E’ il suggerimento, sia ai partiti che alle istituzioni, di Fabrizio Barca (si legga, su questa rubrica, l’articolo “C’è un futuro per i partiti?”).
2) I concorsi di idee impediscono una reale partecipazione. Io feci l’esperienza di piazza Cavour: è vero che prima del concorso di idee si sviluppò un processo partecipativo sugli input da dare ai progettisti (che purtroppo scartò l’idea dell’Amministrazione di interrare sia il mercato che i parcheggi per avere una grande piazza pedonale, e scelse l’idea di realizzare il mercato in superficie), ma poi l’esistenza di un progetto vincitore del concorso ci vincolò molto nel cercare di fare sintesi delle tante domande che venivano poste, e che nascevano dal fatto che si stava per realizzare sia una piazza per i cittadini che un luogo di lavoro per decine di persone e di consumo per altre migliaia.
3) A decidere i vincitori dei concorsi di idee sono i tecnici, non i politici, cioè coloro che rappresentano i cittadini e che i cittadini possono e devono “sorvegliare”. Anche il progetto di piazza Verdi è stato scelto da una commissione di tecnici. Ma il problema è proprio quello di non abbandonare le città agli specialisti. Io sono convinto che abbia ragione il filosofo Paul Ricoeur, per il quale l’architettura non può né deve rientrare tra i saperi scientifici. Essa, sostiene Ricoeur, assomiglia alla politica, la cui gestione non è delegabile ai tecnici. Vediamo perché: ”Il politico è predisposto a dei mali caratteristici per il fatto stesso che sembra capace di esistere al di sopra di noi o, al limite, contro di noi. In quanto puro fenomeno di potere può perciò corrompersi, indipendentemente dalla sua base sociale ed economica. Per questo il politico deve rimanere sotto sorveglianza”. Quando si dice l’attualità del filosofo! Sia i politici che i tecnici vanno “sorvegliati”. Obbiettivo difficile in entrambi i casi, molto di più per i tecnici. Ma decisivo.
4) La storia delle città, e di Spezia più di altre, è segnata da innovazioni architettoniche, dalla sperimentazione di nuovi linguaggi, materiali, tecnologie. E’ giusto lasciare un segno del nostro tempo: non bisogna essere “conservatori”. Ma non facciamoci abbagliare da una modernità di cartapesta, secondo cui ciò che viene dopo è sempre meglio di ciò che c’era prima, tutto ciò che è nuovo è migliore del vecchio. E evitiamo il rischio di costruire città tutte uguali tra loro: certe “archistar” ci spingono in questa direzione. Io ero alla presentazione del progetto della nuova piazza Verdi in sala Dante, tre anni fa: mi fece riflettere, pensai a un suo miglioramento con la partecipazione, ma non uscii dalla sala da detrattore. Eppure tanti cittadini vivono questo progetto come qualcosa di “luccicante”, invasivo rispetto alla piazza così com’è, inutile rispetto ai bisogni delle periferie, alle strade piene di buche… Vanno ascoltati: forse la crisi ci impone di ragionare su una modernità diversa.
5) L’Italia, e la nostra città, non sono indifferenti, stagnanti, inerti. Anzi, sono percorse nel profondo da una grande voglia di cambiamento. Le circa trentamila associazioni per la difesa del territorio e del paesaggio di cui parla Salvatore Settis in “Azione popolare” sono una realtà importante, anche a Spezia: una delle basi su cui innestare dal basso la transizione a uno sviluppo sostenibile. I Sindaci devono essere gli interlocutori decisivi di questo movimento, per dar luogo ad azioni di contrasto alla crisi e di costruzione di un nuovo modello di sviluppo: manutenzione del territorio e del patrimonio culturale, storico, abitativo, scolastico; risparmio energetico; raccolta differenziata dei rifiuti; economia solidale e nuovo welfare… La sterzata di cui c’è bisogno anche a Spezia è questa: il riconoscimento della lava che ribolle al fondo della società, e il suo coinvolgimento in un orizzonte di cambiamento.
6) La vicenda di piazza Verdi si spiega anche con l’intreccio della crisi economica con la crisi della democrazia, dei partiti e del sistema politico. Non si ha fiducia nelle basi della democrazia, e nei soggetti politici che dovrebbero garantirle: i partiti. Se non si corre ai ripari, il rischio è che i cittadini si allontanino sempre più e facciano politica al di fuori e contro il sistema politico attuale, come dimostra l’astensionismo alle ultime elezioni amministrative. Chi sta “dentro” i partiti e le istituzioni è percepito come depositario di un potere che molti di coloro che stanno “fuori” sentono di non riuscire ad influenzare. Perché “dentro” non c’è mai uno sguardo che si volga “fuori”, all’esterno delle stanze segrete del potere. Ecco la sterzata indispensabile: dare centralità alla partecipazione e trasmettere il senso vero che la voce dei cittadini arriva, ha un effetto. Altrimenti crescono senso di impotenza e rabbia. Ma una democrazia che infonde questi sentimenti è una democrazia davvero malata.
7) Conclusione provvisoria: una questione complessa come quella di piazza Verdi avrebbe avuto bisogno, come il Sindaco ha riconosciuto, di una procedura partecipativa. Siamo ancora in tempo, spero: rapidamente le argomentazioni diverse si misurino in condizioni di parità. E Comune e Ministero tirino le somme finali del dibattito pubblico, arrivando a quella “soluzione condivisa” che forse non è impossibile. Le procedure usate in tutto il mondo sono tante, basta sceglierne una. In questo modo avvicineremo istituzioni e cittadini e collegheremo capitale sociale e capitale politico, democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Cercando così di impedire il divorzio di tanti cittadini dal sistema politico democratico, che purtroppo è nell’aria.

lucidellacitta2011@gmail.com

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