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No alla secessione dei ricchi

a cura di in data 10 Marzo 2019 – 11:22
Napoli, veduta dalla Certosa di San Martino (2004) (foto Giorgio Pagano)

Napoli, veduta dalla Certosa di San Martino
(2004) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 3 marzo 2019 – Può darsi che abbia ragione Luigi Di Maio a invitare gli avversari politici a non vendere la pelle dell’orso (il Movimento Cinque Stelle) prima di averlo ucciso. Non c’è dubbio: alle elezioni amministrative un partito di opinione come il M5S non può non entrare in difficoltà. E tuttavia il risultato delle regionali in Abruzzo e in Sardegna è impietoso, tanto da vedere i grillini al terzo posto. Ma è soprattutto la disamina della situazione politica nazionale che rivela un vero e proprio calvario dei Cinque Stelle. E’ un indebolimento drammatico, uno sgretolamento in essere, che porterà molto probabilmente a un risultato: Matteo Salvini, l’uomo per il quale i grillini si sono immolati, finirà per abbandonarli al proprio destino quando il momento lo consentirà. Il Governo gialloverde rimane per ora in piedi, ma solo perché non ha alternative. Ma dopo le elezioni europee, in base ai nuovi rapporti di forza, lo scenario cambierà.

PERCHE’ LA LEGA STA DIVORANDO IL M5S
Andare al governo fa sempre perdere l’innocenza. Ma non era scontato che il M5S la perdesse con così tanta rapidità. Perché si è fatto divorare dalla Lega, cioè da quello che era pur sempre il socio di minoranza? Perché quando un partito senza ideologia incontra un partito che l’ideologia ce l’ha, quello senza ideologia è sconfitto in partenza. Si può ritenere che Salvini abbia dell’Italia un’idea indesiderabile (io sono tra quelli che lo pensano) e magari anche irrealizzabile (io penso pure questo), ma è difficile negare che quell’idea ci sia, e che sia molto chiara. Mentre è molto più difficile capire che idea di Paese abbiano in mente i Cinque Stelle.
Guardiamo, per esempio, all’immigrazione. Il M5S, dalla fondazione, non era mai stato xenofobo e non aveva posto la questione dell’immigrazione al centro del suo programma. Aveva posizioni ambigue. Nel Contratto di governo la questione era solo al tredicesimo punto, il terzultimo. Ma poi Salvini è stato abilissimo a imporre la questione dell’immigrazione come centrale (il democratico Minniti gli aveva del resto preparato il terreno…), e il M5S gli è andato dietro. Perché non aveva proposte proprie, e quindi alla fine è diventato inseguitore e complice. La stessa cosa che è successa negli scorsi trent’anni in materia economico-sociale al Pd e alla sinistra, emulatori subalterni del neoliberismo della destra.

L’ERRORE CAPITALE DEL PD
La situazione politica è quindi veramente complicata. Il Governo Conte non è all’altezza, non ha una rotta chiara, tutti aspettano le elezioni europee. Il cortocircuito è completo dal momento che non esiste un’opposizione credibile. E’ passato un anno dalla sconfitta del 4 marzo, ma anche l’ago della bussola del Pd continua a non indicare una rotta chiara. Emerge con sempre maggiore evidenza l’errore capitale fatto dal Pd dopo le elezioni. Le aveva vinte il M5S: non un partito di sinistra, ma comunque un movimento che si era presentato alle elezioni avendo come parole d’ordine la lotta alla povertà e ai privilegi e l’ambientalismo, e che aveva raccolto molti voti provenienti dalla sinistra. Il M5S doveva essere messo alla prova, incalzato, spinto a sinistra dal Pd: magari con un appoggio esterno su pochi, chiari, punti programmatici. Invece una dirigenza incapace l’ha gettato nelle braccia della Lega. Il partito che era arrivato terzo è quello che probabilmente arriverà primo la prossima volta. Un’ascesa di cui è certamente responsabile il M5S, ma anche il Pd.

IL POSSIBILE COLPO DI CODA DEL M5S
I Cinque Stelle sono dunque all’affannosa ricerca di un’identità. Potrebbero scivolare a sinistra: spinti dal loro orientamento originario, che comunque qualcosa dalla sinistra raccoglieva; e dal fatto che a destra c’è già la Lega, mentre a sinistra c’è il vuoto. Il problema, naturalmente, è capire che cosa voglia dire sinistra oggi. Può darsi che sia il reddito di cittadinanza a dare al M5S questo volto di sinistra e a farlo uscire dall’angolo. Un colpo di coda per riprendere l’iniziativa potrebbe essere quello del no al progetto di autonomia voluto dalla Lega. E’ un progetto che aumenta le diseguaglianze e favorisce i ricchi. Contestarlo è sicuramente di sinistra.

Torino nel centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia (2011) (foto Giorgio Pagano)

Torino nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia
(2011) (foto Giorgio Pagano)

L’AUTONOMIA ALLE REGIONI VA FERMATA
Vediamo di capire come stanno le cose. La modifica costituzionale del 2001 ha previsto, all’articolo 116, “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” alle Regioni. Queste possono essere attribuite, con legge statale, su iniziativa della Regione interessata. La legge va approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di un’intesa tra lo Stato e la Regione interessata. Lombardia e Veneto hanno promosso il 22 ottobre 2017 referendum consultivi per chiedere allo Stato “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse”. Nel novembre successivo i due Consigli regionali, a cui si è aggiunto quello dell’Emilia Romagna, hanno richiesto al Governo di aprire il negoziato per l’intesa. Il negoziato è stato aperto dal Governo Gentiloni, e proseguito dal Governo Conte. Sembrerebbe fatta, visto che sembrano quasi tutti d’accordo. Ma il M5S è dubbioso, e le intese stanno slittando. Anche nel Pd ci sono posizioni opposte. Per fortuna: perché l’autonomia così concepita rischia di consegnarci, tra qualche anno, un altro Paese, ancora più ingiusto dell’attuale. E di mettere in serio pericolo l’unità nazionale.
Le Regioni che vogliono più autonomia chiedono infatti di gestire più competenze ma anche di avere più risorse. E se alcune Regioni avessero più risorse, altre sarebbero penalizzate. In particolar modo quelle del Sud. Avremmo così regole diverse e servizi -dalla sanità all’istruzione- di qualità diversa da Regione a Regione. Sarebbe la “secessione dei ricchi”. Inoltre sarebbero penalizzati i Comuni. Ci sarebbe uno squilibrio del disegno costituzionale formato dalla triade Stato, Regioni e Comuni, a vantaggio delle seconde. Ma le Regioni ci sono dal 1970 e non hanno dato grande prova. La molla dello sviluppo e del buon vivere può essere solo il Comune, non la Regione.
Stanno cambiando l’Italia nel silenzio generale. Informiamoci e domandiamoci: ma che modello è quello in cui si sfasciano la solidarietà e l’unità nazionale e si penalizzano i baluardi della democrazia, cioè i Comuni, al solo scopo di arricchire chi già adesso è più ricco?

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