Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
10 Aprile 2024 – 20:59

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L’odio contro Mimmo e il buono del mondo

a cura di in data 26 Ottobre 2018 – 23:17
Marocco, Marrakech, piazza Jemaa el Fna, incantatore di serpenti (2018) (foto Giorgio Pagano)

Marocco, Marrakech, piazza Jemaa el Fna, incantatore di serpenti
(2018) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 21 ottobre 2014 – Sull’accoglienza ai migranti si svolge spesso un immondo business della speculazione, soprattutto nei grandi centri gestiti dai privati per conto dello Stato, o anche in quelli gestiti direttamente dallo Stato. Un altro scandalo è quello dell’abbandono a cui i migranti sono condannati quando non viene concessa loro alcuna protezione internazionale, e quindi il diritto di soggiorno. I migranti diventano dei disperati dediti all’accattonaggio o alla delinquenza, alla prostituzione o, nella migliore delle ipotesi, a un lavoro nero sottopagato.
In entrambi i casi -accoglienza nei grandi centri e abbandono- la popolazione italiana non ha modo di conoscere i migranti e di condividere con loro esperienze e progetti. E’ chiaro, allora, che subentra la paura per il diverso.
Sono, questi, modelli di disintegrazione sociale, a cui è possibile opporre un modello alternativo: microstrutture diffuse sul territorio, umane, più attente ai bisogni dei migranti e soprattutto capaci di fare incontrare migranti e popolazione locale. E’ quello che è successo a Riace e in molte altre esperienze che hanno puntato sull’inclusione dello “straniero”.

I MIGRANTI OCCASIONE DI RINASCITA
Il cambiamento di Riace iniziò grazie a uno sbarco. Era il 1998. Sulla marina di Riace si arenò una nave con a bordo 66 uomini, 46 donne e 72 bambini. Erano tutti curdi, fuggiti dalla Siria, dall’Iraq e dalla Turchia. Mimmo Lucano, all’epoca non ancora Sindaco, capì che il suo paese aveva un’occasione: quella, ha scritto Roberto Saviano, di “unire due disperazioni”, l’abbandono delle aree interne calabresi e la ricerca di una vita diversa da parte dei migranti. Lucano diventò Sindaco, chiese ai familiari dei riacesi emigranti che avevano abbandonato il paese negli ultimi centocinquant’anni la disponibilità a usare le loro case abbandonate e ottenne il loro assenso. Le case furono ristrutturate, migranti e riacesi tornarono a coltivare le terre, a lavorare e a prosperare assieme. Gli anziani di Riace sono diventati i nonni, oltre che dei loro nipoti lontani, anche dei bambini arabi e africani che ormai parlano tutti il dialetto calabrese. Un paese desertificato è stato rivitalizzato. Tutti i luoghi comuni contrari all’accoglienza a Riace si sono rivelati falsi.
Ma ci sono altre esperienze virtuose. In Sannio e Irpinia, per esempio, c’è la rete dei “Comuni Welcome”, un gruppo di dodici Comuni che, accogliendo i migranti con il sistema Sprar, come a Riace, hanno restituito vita a borghi spopolati e dimenticati. Angelo Moretti, coordinatore della Caritas di Benevento, racconta: “I paesi sono rinati. Abbiamo aperto cooperative tra italiani e stranieri, i bambini hanno ripopolato le scuole deserte”.

PRIMA DI TUTTO LA COSCIENZA
L’arresto di Mimmo Lucano ha fatto esultare i nemici dell’accoglienza. E pensare che erano state le relazioni dei Prefetti a esaltare l’esperienza di Riace. Ma l’inchiesta era prevedibile, doveva partire. Il martellamento mediatico era cominciato con il passato Governo. Ha avuto inizio con la guerra alle Ong e ai salvataggi in mare. Soccorsi fatti passare come il frutto di accordi con i trafficanti. L’obbiettivo successivo non poteva non essere Riace, cioè il modello di accoglienza diffusa. Il sistema dei grandi centri, dove si fanno gli affari veri, resta invece intatto.
Vedremo le conclusioni dell’inchiesta della magistratura. Ma ha ragione Giovanni Tizian sull’Espresso:
“A Mimmo Lucano non si perdonano molte cose. Ma, forse, la colpa più grave che gli si imputa è avere travalicato il concetto rigido e autoritario della legalità, applicando un principio ben più rivoluzionario: la giustizia sociale… La magistratura è giusto che verifichi se siano stati commessi reati. L’azione di disobbedienza civile si può processare. Ma l’idea da cui trae la spinta no”.
Così come ha ragione monsignor Giacomo Martino, direttore dell’ufficio pastorale Migrantes a Genova, anima del campo di Coronata, in un’intervista a Repubblica Liguria:
“E’ proprio a Riace che avrei voluto arrivare. Quanti paesini abbandonati, nel nostro territorio, potrebbero rivivere grazie ai migranti, che vivrebbero volentieri in un contesto rurale?… Io per primo, di forzature ne ho fatte mille. E poi, la questione è limpida: io non obbedisco a leggi che non seguono la mia coscienza. E sono pronto anche a pagare per questo”.
Che siano spesso i parroci a “condurci sulla retta via” non è poi così strano. Si sventola il Vangelo a fini elettorali, ma non si sa, o si fa finta di non sapere, che cosa contenga: che i migranti sono nostri fratelli, come Abramo il migrante e Gesù l’espulso.

Sao Tomé, Neves, bambini (2015) (foto Giorgio Pagano).

Sao Tomé, Neves, bambini
(2015) (foto Giorgio Pagano)

UN DECRETO DISUMANO
Dal 5 ottobre, data dell’entrata in vigore del decreto sicurezza, la protezione umanitaria in Italia di fatto non esiste più. Un vulnus che, oltre a rendere non più pienamente applicata la Costituzione, mette a rischio la vita di migliaia di richiedenti asilo in Italia. La protezione umanitaria è stata rimpiazzata solo parzialmente da alcuni permessi definiti come “casi speciali”: condizioni di salute di “eccezionale gravità” e calamità naturali. E in entrambi i casi i permessi non sono convertibili in permesso per lavoro. Il sistema Sprar, l’intervento dei Comuni che crea integrazione e quindi sicurezza, è smantellato in nome della sicurezza. Ma così ci saranno migliaia di persone per strada, in balia della malavita. O di nuovo tutti stipati nei grandi centri di accoglienza, alla mercé, nel Sud, del peggior caporalato.

RIAPRIRE CANALI REGOLARI DI ACCESSO
La verità, negata dai nostri sovranisti ma inoppugnabile, è che abbiamo bisogno di lavoratori stranieri -la manodopera in Italia cala di 300.000 persone l’anno- e che entrare per via legale in Italia è praticamente impossibile. Così come gli americani con il protezionismo consegnarono il mercato degli alcoolici ai bootleggers, così noi sbarrando gli accessi al nostro mercato del lavoro abbiamo consegnato le migrazioni agli scafisti e ai contrabbandieri libici. Il sociologo Stefano Allevi nel suo libro “Immigrazione, cambiare tutto” sostiene a ragione che vanno riaperti i canali regolari di accesso, tramite accordi con i Paesi di partenza. Dopo di che, come accade con i nostri emigranti, se chi entra non riuscirà a trovare lavoro dopo un po’ tornerà indietro. Oggi invece chi non ce la fa rimane, e finisce ai margini della società. Perché tornare indietro significherebbe rischiare di dover passare di nuovo per i lager libici, per il deserto, per le torture.

IN PIAZZA IL 27 OTTOBRE
“Nonostante le difficoltà politiche, nonostante i dubbi, nonostante le divisioni, tanti italiani sono disposti a fare argine al drammatico dilagare di comportamenti ‘cattivi’, che non avevamo ancora mai visto prima verso i più indifesi”: sono parole dei promotori dell’appello “In piazza il 27 ottobre, con i migranti per fermare la barbarie”. E’ così. Come sostiene il filosofo Roberto Escobar nel suo libro “Il buono del mondo. Le ragioni della solidarietà”, non ci deve stupire se qualcuno aiuta un altro. Ci si deve stupire se non lo fa. Perché dentro di noi c’è qualcosa che ci spinge ad andare verso l’altro. E’ lo slancio che ha consentito all’umanità di non scomparire. Questo slancio è oggi negato dalla cultura dominante. Ma è insopprimibile.

lucidellacitta2011@gmail.com

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