Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
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Le tante incognite del porto – seconda parte

a cura di in data 19 Novembre 2016 – 16:03
La Spezia, veduta dal monte Santa Croce    (2016)    (foto Giorgio Pagano)

La Spezia, veduta dal monte Santa Croce
(2016) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 13 novembre 2016

UN PORTO IN FLESSIONE
I dati diffusi nei giorni scorsi dalla Banca d’Italia sul porto spezzino confermano la giustezza del titolo di questo articolo in due puntate: perché non sono per nulla rassicuranti. Il nostro è un porto in flessione, con un calo importante in tutti i settori. Leggiamo su “Città della Spezia” di venerdì 11 novembre: “Nel primo semestre del 2016 il traffico mercantile complessivo presso i porti della Liguria ha registrato un decremento del 3.9 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2015. Un calo che ha riguardato tutte le tipologie di merci (rinfuse liquide e solide e merci varie). Il calo spezzino – siamo su poco più di 7 milioni di tonnellate – è del 6.5 per cento, dati dell’Autorità Portuale. Il traffico mercantile della nostra provincia era già calato di 4.2 punti percentuali dal 2014 al 2015. La movimentazione di container negli scali liguri ha fatto segnare una nuova diminuzione (-3 per cento) dopo quella del semestre precedente. L’evoluzione negativa riflette l’andamento di Savona e La Spezia (-6 per cento, 625mila Teu da gennaio a giugno 2016), a fronte di una stazionarietà genovese. L’andamento del traffico di container in Liguria si pone in controtendenza rispetto all’incremento verificatosi presso i porti spagnoli del Mediterraneo (più 6.7 per cento) e alla stabilità dei principali porti del Nord Europa (più 0.4 per cento).
Il numero dei passeggeri è rimasto stabile, e ha fatto registrare una crescita dei passeggeri sui traghetti che ha compensato il calo dei crocieristi, che nel primo semestre 2016, rispetto al medesimo intervallo 2015, alla Spezia sono calati di 27.5 punti percentuali. Mentre l’intero 2015 aveva visto un incremento del 38 per cento rispetto al 2014. Da gennaio a giugno 2016, come crocieristi, invece, Genova è cresciuta del 10 per cento. Calo del 4 per Savona”. In una città ormai disabituata a discutere sul futuro, questi dati rischiano di scorrere come acqua sul marmo. Invece bisogna farne tesoro. Così come non va archiviato l’atto di accusa della Corte dei Conti europea nei confronti della portualità europea e italiana, e anche dei porti del Tirreno, che ho citato nella parte finale dell’articolo di domenica scorsa. Questa, in estrema sintesi, la denuncia: “Non sono attesi significativi incrementi nei traffici negli anni a venire, serve un coordinamento per evitare opere e investimenti inutili”.

LA TEMPESTA PERFETTA: IL FALLIMENTO DELLA HANJIN
Tra le cose da non archiviare c’è anche il fallimento della settima compagnia marittima mondiale, la coreana Hanjin, specializzata nel traffico container. Gravata da 4,5 miliardi di dollari di debiti non è riuscita a convincere le banche a tenerla ancora in piedi. Una flotta di navi porta container con 14 miliardi di merci nelle stive è alla deriva. Perché è successo, perché doveva succedere? Leggiamo quanto scrive Sergio Bologna, uno degli analisti più lucidi in materia di porti e logistica: “Da anni le compagnie marittime viaggiano in perdita, hanno messo in servizio troppe navi, hanno continuato a ordinarle ai cantieri sempre più grandi, i cantieri si sono fatti concorrenza spietata e le hanno costruite, malgrado siano dei gioielli tecnologici, a prezzi stracciati, i noli sono andati a picco, i volumi crescevano ma il guadagno per unità di carico trasportata diminuiva. Poi la Cina ha rallentato l’export ed è arrivato il perfect storm. E adesso? Quante delle 10-15 compagnie che contano rimaste sul mercato sono dei zombie carrier? Così vengono chiamate quelle che stanno in piedi solo perché le banche decidono di non fallire… Si preferisce andare avanti, quasi sempre a spese della forza lavoro. E di riflesso si comportano alla stessa maniera i manager portuali, che in questi ultimi anni, con un mercato sempre più fuori controllo, hanno continuato a costruire porti sempre più grandi, in un delirio infrastrutturale favorito e incentivato dalle politiche insane dell’Unione europea. Solo di recente, nel 2015, si sono avvertiti i primi segnali di un ripensamento, si sono denunciati i rischi del gigantismo navale, si è messo il dito, in Europa, su porti costruiti ex novo e rimasti vuoti” (“Il Manifesto”, 20 settembre 2016).

I PORTI LIGURI RISCHIANO DI FERMARSI
Ho conosciuto Bologna nel 2013, al Port&ShippingTech tenutosi a Genova: eravamo entrambi relatori, e sostenemmo tesi identiche (la mia relazione, “Aree di sviluppo del cluster marittimo nazionale: le potenzialità del bacino del Mediterraneo”, è leggibile su www.associazioneculturalemediterraneo.com). Questa le mie parole di allora: “Il problema principale è che in Italia manca una sede nazionale di discussione sulle riforme da fare, e che i Governi hanno fatto ben poco per rendere efficiente il sistema. Servono investimenti, infrastrutture di collegamento con l’Europa, alleanze nel retroterra della logistica, ferrovie che funzionino, procedure doganali semplificate, autonomia finanziaria dei singoli porti. E servono coordinamento e programmazione: non ha senso proporsi di espandere tutti i porti e di dragare tutti i fondali per poter ospitare le grandi navi… Non saremmo in grado di fare gli investimenti necessari, in mare e soprattutto a terra. Bisogna dunque scegliere i pochi porti su cui puntare, e concentrarci su come essere più efficienti nelle tecnologie e nell’organizzazione. Se molte aziende della pianura padana si appoggiano sui porti del Nord Europa, vuol dire che i nostri porti pagano la frammentazione e la minore efficienza”.
In Liguria la questione è ormai chiara: nell’arco di pochi anni, se tutte le opere previste nei porti della regione verranno realizzate, esploderanno nuove conflittualità tra i terminal privati degli scali, ma anche all’interno del mondo del lavoro, perché a pagare le conseguenze di questo eccesso di offerta saranno i lavoratori. Giuseppe Danesi, Amministratore delegato del terminal Vte di Prà-Voltri, ha detto: “La conseguenza sulla portualità ligure sarà devastante… La colpa è di chi non ha capito niente di quello che stava accadendo… Se in trecento metri di strada apro cinque negozi di frutta e verdura, il primo campa, il secondo sopravvive e gli altri tre chiudono. Con tutti i riempimenti che stiamo realizzando in Liguria avremo una sovraccapacità enorme. E questo perché a un’offerta che raddoppierà risponderemo con una domanda sostanzialmente ferma” (“Repubblica Liguria”, 26 ottobre 2016).
Ancora: secondo uno studio di Fedespedi del 2015, il totale dei contenitori relativi al mercato domestico che vengono instradati attraverso i porti del Nord Europa è di 900.000 pezzi. E l’apertura del tunnel del Gottardo faciliterà questa deviazione dei container italiani verso il Nord Europa. Il Presidente degli spedizionieri genovesi Alessandro Pitto ha così commentato: “La concentrazione tra compagnie armatoriali e l’aumento delle dimensioni delle navi farà sì che sarà sempre più ridotto il numero dei porti. Si sceglieranno solo quelli che potranno mettere a disposizione spazi retrostanti adeguati” (“Repubblica Liguria”, 28 ottobre 2016).
Quindi i rischi sono enormi. Se ne può uscire solo in due modi: o rinunciando a parte dei progetti di sviluppo o allargando i propri mercati. Ma la seconda ipotesi presuppone che si realizzino le infrastrutture ferroviarie e i retroporti. Per il porto spezzino si pongono quindi domande chiave: “A che punto è il raddoppio della Ferrovia Pontremolese?” e “Quali sono le aree retroportuali, gli interporti e le piattaforme logistiche su cui puntare?”. E soprattutto: “Sono progetti realistici? Quali sono i loro tempi di attuazione?”

Firenze, Piazza Santa Croce, concerto di Leonard Cohen    (2010)    (foto Giorgio Pagano)

Firenze, Piazza Santa Croce,
concerto di Leonard Cohen
(2010) (foto Giorgio Pagano)

LA RIFORMA DELRIO DELLE AUTORITA’ PORTUALI: IL RITORNO DEL CENTRALISMO E IL MITO DEI TECNICI
La legge 84/94 creò le Autorità Portuali: si intendeva favorire l’ingresso dei privati nelle banchine e per certi versi sottrarre allo Stato il controllo diretto dei porti. La legge ha favorito, in una prima fase, lo sviluppo dei nostri terminal. Ma poi ha portato a un’involuzione, a quella “guerra dei porti” di cui parlavo. Ecco, allora, il ritorno al passato, all’accentramento sul Ministero delle decisioni che riguardano i porti. 15 Autorità di sistema al posto delle attuali 24 Autorità Portuali; Presidente scelto dal Ministro delle Infrastrutture, sia pure d’intesa con le Regioni interessate; 3 o 5 membri nel comitato di gestione; coordinamento centralizzato. Era giusto cambiare rotta, ma si è esagerato. Come con la riforma costituzionale sulle Regioni sottoposta a referendum: contiene anche qualcosa di buono rispetto alla riforma del Titolo V del 2001, ma invece di correggerne gli errori rimanendo dentro una prospettiva regionalista -magari puntando alle macroregioni- ritorna al vecchio centralismo grazie alla “tutela dell’interesse nazionale”, che consente al Governo di esautorare le Regioni ogni volta che vuole. Nel caso dei porti la “polpetta avvelenata” è soprattutto il fatto che è assente il ruolo dei Comuni nei meccanismi di governance dei porti. Ma così si rischia di allontanare il territorio dal porto e dalle politiche sulla portualità. La partecipazione dei Comuni è indispensabile per favorire il dialogo tra città e porto, creare sinergie di sviluppo e rendere più efficiente l’amministrazione degli enti. Non è un caso se nel resto d’Europa, da Barcellona a Rotterdam, da Brema ad Amburgo, il forte legame che esiste tra città e porto sia definito e normato, dentro l’indispensabile quadro di programmazione nazionale. Critiche di segno analogo sono state espresse dall’ex Sindaco di Genova Giuseppe Pericu, che ha richiamato l’esperienza di Anversa. Ma anche Giorgio Carozzi, altro grande esperto di porti, è molto netto -sul suo “Pilotina Blog”- nella critica a una riforma varata “nel segno sempre più accentuato del centralismo e della burocratizzazione che producono immobilismo” (6 novembre 2016). Le nomine dei nuovi Presidenti effettuate da Delrio sono coerenti e funzionali a questo disegno centralistico: a Genova-Savona Paolo Emilio Signorini, che viene dal Ministero delle Infrastrutture, a Spezia-Marina di Carrara Carla Roncallo, già dirigente Anas. Persone capaci, certamente. Ma espressione di una sconfitta della politica intesa come dialogo, mediazione, rappresentanza, ricerca della partecipazione… Non a caso prima di loro i Presidenti erano politici. Ma gli esiti, si veda Spezia, non sono stati proprio brillanti. Quindi non si punta a una politica rinnovata, che sia non solo onesta ma anche capace di unire le competenze specifiche della politica con quelle tecniche, ma si punta tutto sui tecnici, depositari del sapere tecnico ma ignari di politica. Il mito dei tecnici in politica (vedi Governo Monti) ha prodotto molti guai, ma tant’è… Oggi prevale, e si capisce il perché, il disprezzo della politica. Restano però i dubbi che riescano i tecnici là dove la politica ha fallito. In ogni caso, come cittadini, facciamoci sentire e cerchiamo di creare le condizioni per poter dare una mano.

Post scriptum:
Se ne è andato Leonard Cohen, cantautore, poeta, uno degli artisti più influenti del nostro tempo. Forse se non ci fosse stato lui Fabrizio De André non sarebbe diventato tanto grande. La foto in basso è del suo leggendario concerto a Firenze, in piazza Santa Croce, il 1° settembre 2010. Una serata straordinaria, indimenticabile. Come, prima ancora, quella a Lucca, in piazza Napoleone, il 27 luglio 2008. A Firenze cantò “First we take Manhattan”: “Ricordatemi come un uomo che ha speso la sua vita per la musica”, mentre fuori “il mondo è pieno di cose terribili”. Ci mancheranno la sua voce profonda, la sua eleganza sul palco, le sue canzoni delicate e nel contempo dure sul lato oscuro della vita.

lucidellacitta2011@gmail.com

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