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La brigata dei sarzanesi – seconda parte

a cura di in data 5 Maggio 2015 – 10:20
Fosdinovo, Canepari, "I Fiati Sprecati" nella piazza dove ebbe sede il comando della Brigata "Muccini", "Percorsi della Resistenza" 21 aprile 2013 (foto Giorgio  Pagano)

Fosdinovo, Canepari, “I Fiati Sprecati” nella piazza
dove ebbe sede il comando della Brigata “Muccini”,
“Percorsi della Resistenza” 21 aprile 2013
(foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 26 aprile 2015 – La costituzione della Brigata “Muccini” lasciò alle singole formazioni un’ampia autonomia. Le azioni furono frequenti, importanti e a volte clamorose. Il 24 settembre 1944 una pattuglia del distaccamento “Signanini”, composto da uomini di “Tullio”, uccise un tedesco a Ressora di Arcola, mentre altri due vennero fatti prigionieri. Dieci giovani vennero fucilati da tedeschi e fascisti per rappresaglia. Tra di essi c’era Renato Grifoglio, vecchio antifascista di Migliarina, che era stato, insieme a un gruppo di altri migliarinesi, in contatto con i sarzanesi fin dai tempi della banda “Betti”. In mezzo alla popolazione arcolana, pur fortemente antifascista, l’uccisione del tedesco non venne generalmente approvata.

Un’altra azione contro le brigate nere, effettuata da altri distaccamenti intorno al 20 settembre, conclusasi con la cattura di alcune di esse, indusse i fascisti a prelevare quattordici ostaggi tra la cittadinanza sarzanese, tra i quali i padri di Piero Galantini “Federico”, di Guglielmo Vesco “Gino” e del partigiano cattolico Franco Franchini. Nella notte tra il 25 e il 26 cinquanta partigiani della “Muccini” entrarono in Sarzana e penetrarono nel carcere per liberare gli ostaggi, ma essi erano stati trasferiti altrove. La notte successiva duecento partigiani, guidati da “Federico”, bloccarono completamente da ogni parte Sarzana. Fu una grande azione di efficienza e di forza, che servì anche a rincuorare la popolazione civile. Gli ostaggi furono poi liberati grazie a uno scambio con i fascisti catturati il 9 novembre dalla Brigata “Carrara” della Divisione “Lunense”. Il 3 novembre il capitano tedesco Rudolf Jacobs, che aveva disertato e aderito alla ”Muccini”, organizzò un eroico e sfortunato attacco contro la caserma delle brigate nere sita nell’albergo “Laurina”: Jacobs cadde crivellato di colpi (si vedano: “La lezione di Jacobs l’ufficiale partigiano”, in “il Secolo XIX”, 3 novembre 2014, ora in www.associazioneculturalemediterraneo.com; e, in questa rubrica, “Rudolf Jacobs e l’altra Germania”, 9 novembre 2014). Il 28 novembre, durante un attacco ai tedeschi in Garfagnana, condotto dalla “Muccini” assieme alla Divisione “Lunense” e agli Alleati, che però all’ultimo momento rinunciarono a intervenire, morì eroicamente Miro Luperi “Reno”, per proteggere la ritirata dei compagni.

Veduta della Val di Magra dalle "Colline del sole", nel sentiero tra Castelnuovo e Vallecchia  (2015)   (foto Giorgio Pagano)

Veduta della Val di Magra dalle “Colline del sole”,
nel sentiero tra Castelnuovo e Vallecchia
(2015) (foto Giorgio Pagano)

I nazifascisti reagirono a queste azioni con il grande rastrellamento del 29 novembre. Stretta nella morsa di circa 10.000 nazifascisti, cannoneggiata dalla Palmaria, da Punta Bianca e da altre postazioni, la “Muccini” affrontò furiosi combattimenti fino a sera. Il nemico ebbe 54 vittime, i partigiani 18. Fallì il tentativo di annientare la Brigata, ma venne al pettine il nodo di fondo: la “Muccini” era ammassata in uno spazio ristretto privo di risorse naturali, mancante di zone di protezione e di vie d’uscita, chiuso da un anello stradale che per i nazifascisti era un invito a nozze. Il grosso della Brigata si diresse, sotto la guida di Galantini, verso le Alpi Apuane per passare le linee e giungere nelle zone già in mano agli Alleati. La decisione suscitò la critica del Partito comunista. “Federico” passò le linee con l’intenzione di chiedere armi e ritornare in zona, ma trovò il diniego degli Alleati. Solo il 5 aprile 1945 ottenne di essere impegnato con i suoi uomini: si creò la così detta Brigata “Muccini di linea”, che partecipò alla fase finale della lotta. Flavio Bertone “Walter” e Paolino Ranieri “Andrea” rimasero invece nascosti nei boschi della zona per occuparsi dei feriti. “Andrea” cadde in un’imboscata il 14 dicembre proprio mentre era in cerca di medicinali, fu ferito, arrestato e incarcerato al XXI Reggimento a Spezia, dove rimase prigioniero, nonostante i tanti tentativi di liberarlo, fino al 23 aprile 1945. “Walter” riuscì, il 16 dicembre, a ricostituire formalmente la “Muccini”, con sei distaccamenti. Con lui, eletto comandante, c’erano Dario Montarese “Brichè”, Mario Portonato “Claudio” e Goliardo Luciani “Wladimiro” (sul rastrellamento del 29 novembre si vedano: il racconto di Piero Guelfi “Danilo”, raccolto in “Dai monti di Sarzana”, in questa rubrica – 9 dicembre 2012; e “A settant’anni dai grandi rastrellamenti del novembre 1944”, in “La Nazione”, 29 novembre 2014, ora in www.associazioneculturalemediterraneo.com).

La “Muccini” di “Walter”, pur numericamente esigua e senza aiuti da nessuno, fu comunque molto attiva. Il 2 aprile morì in combattimento la prima donna: Amanda Lidia Lalli “Kira”, figlia di un esponente socialista, che era entrata nella brigata, inizialmente, come infermiera. Negli ultimi anni è diventata un simbolo della Resistenza un’altra donna della “Muccini”, la staffetta Vanda Bianchi “Sonia”, mancata pochi mesi fa (si vedano: “Sarà rosa il futuro della politica”, in “Il Secolo XIX”, 14 marzo 2011, ora in www.associazioneculturalemediterraneo.com; e, in questa rubrica, “Un berretto pieno di speranze”, 3 agosto 2014). Le brigate nere sarzanesi effettuarono una feroce rappresaglia il 10 aprile, fucilando otto antifascisti. Nella notte “Walter”, con dodici uomini, scese a Sarzana e fece saltare con la dinamite la caserma fortificata delle brigate nere: quelle superstiti, prese dal panico, abbandonarono la città. Emergevano sempre di più il coraggio, la serietà e la capacità di comando di “Walter”. La “Muccini” ebbe anche una forte capacità di stabilire buoni rapporti con la popolazione: per esempio provvide, tramite un muratore, al restauro della scuola di Canepari, già sede della Brigata, e poi alla ripresa delle lezioni con il pagamento dello stipendio all’insegnante. “Walter” e i suoi uomini furono protagonisti, infine, della liberazione di Fosdinovo e di Sarzana, il 23 aprile, prima degli Alleati. La “Muccini” fu raggiunta dalla “Muccini di linea”: nella piazza di Sarzana ci fu l’abbraccio tra Bertone e Galantini, che sanzionava l’impegno comune degli antifascisti sarzanesi.

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Per completare il quadro del contributo della Val di Magra all’antifascismo, va detto che, oltre al ruolo dei sarzanesi e a quello, molto importante, degli arcolani e dei santostefanesi, citato nella prima parte di questo articolo , ci fu anche una forte presenza dei castelnuovesi e degli ortonovesi. A Castelnuovo si formò un gruppo comandato prima da Danilo Petacco “Sigfrido” e poi da Fulvio Fregosi “Scipione”, una formazione autonoma che ondeggiò tra la Brigata “Carrara” della Divisione “Lunense” e la “Muccini”, per poi aggregarsi, poco prima del rastrellamento del 29 novembre, alla “Muccini”, assumendo la denominazione di “Rudolf Jacobs”.

Gli ortonovesi, invece, ebbero quasi tutti un legame con la Brigata “Carrara”. Furono protagonisti della battaglia del monte Sagro, negli ultimi giorni di agosto del 1944: i nazifascisti furono ricacciati ma a caro prezzo, con il calvario dello sganciamento notturno in discesa nei “ravaneti”, pieni di detriti gettati dai cavatori, che portò ad altri morti e feriti. Il 9 novembre gli ortonovesi parteciparono all’assalto di un camion delle brigate nere a Serravalle, premessa dello scambio di prigionieri a cui ho accennato. Ci fu infine, anche per loro, il feroce rastrellamento del 29 novembre: la Divisione “Lunense” fu praticamente dissolta, e i partigiani passarono le linee raggiungendo le zone già liberate. Della vecchia Brigata rimasero solo pochi uomini, che diedero vita alla Brigata “Lunense”, sotto il comando di Paolo Pagani. Tra loro c’era Giuseppe Casini “Pino” di Pugliola, che morì il 3 gennaio 1945 in un’imboscata delle brigate nere ai Pilastri di Fosdinovo, mentre tentava di proteggere il disimpegno e la salvezza dei suoi due compagni. Ortonovo fu liberata dagli Alleati, raggiunti da gruppi di partigiani del luogo che avevano passato le linee. Il tributo di sangue del rastrellamento fu doloroso. Tragico ma bellissimo nel suo significato fu l’episodio della morte degli amici fraterni Domenico Diamanti e Guido Gramolazzo: il primo fu ferito, il secondo lo prese in spalla per cercare di salvarlo, ma furono intercettati e falciati a colpi di mitraglia dai nazifascisti. Il valore dell’amicizia è rivelatore di una Resistenza con un forte tratto di umanità e moralità. Questo semplice episodio testimonia che la Resistenza fu anche un grandissimo momento di crescita dei giovani, di formazione di sé, di educazione alla vita, nel segno del superamento di una concezione individualistica e nel segno della scelta morale del bene contro il male, del coraggio contro l’opportunismo, della libertà contro la dittatura. Scrivo dopo aver visto, ieri sera, il primo spettacolo, molto bello, della “Festa della Liberazione”, che si tiene dal 25 aprile al 3 maggio ai Giardini Pubblici: “Cielo amaranto”, prodotto dalla Compagnia degli Scarti. Il protagonista è Nello, un operaio sedicenne dell’Oto Melara che sceglie di organizzare lo sciopero del marzo 1944 e, una volta fatto prigioniero, di non rivelare i nomi dei suoi compagni, anche se questo comporta per lui la deportazione. Nello simboleggia i tanti giovani che nella Resistenza si emanciparono, si liberarono dalla schiavitù dell’ignoranza e scoprirono nuovi modi di essere e di vivere.

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