Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
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Il dramma del consumo di suolo nell’epoca del cambiamento climatico

a cura di in data 26 Settembre 2022 – 07:37

Milano, la Darsena
(2017) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 14 agosto 2022

Dopo la pausa pandemica (relativa) del 2020, nel 2021 il consumo di suolo in Italia è tornato a crescere, con una media di 19 ettari al giorno -il valore più alto negli ultimi dieci anni- e una velocità che supera i due metri quadrati al secondo. Il dato è stato rivelato nei giorni scorsi dall’impietoso Rapporto dell’Ispra, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ente pubblico di ricerca sottoposto alla vigilanza del Ministero della transizione ecologica. Il consumo di suolo sfiora i 70 km2 di nuove coperture artificiali in un solo anno. Il cemento ricopre ormai 21.500 km2 di suolo nazionale, dei quali 5.400, un territorio grande quanto la Liguria, riguardano i soli edifici che rappresentano il 25% dell’intero suolo consumato.
Le conseguenze saranno purtroppo letali: come vedremo, per l’ennesima volta, quando l’energia accumulata a causa del caldo torrido si libererà sotto forma di precipitazioni che un suolo cementificato non potrà assorbire, e che dunque produrranno alluvioni e frane. Il consumo di suolo, inoltre, rendendo il suolo impermeabile, oltre all’aumento degli allagamenti e delle ondate di calore, provoca la perdita di aree verdi, di biodiversità e dei servizi ecosistemici, con un danno economico stimato in quasi otto miliardi di euro l’anno.
La situazione è dunque grave non solo per quello che rischiamo, ma anche per quello che avremmo potuto avere, e invece così non abbiamo. Spiega il Rapporto:
“Le aree perse in Italia dal 2012 avrebbero garantito la fornitura complessiva di 4 milioni e 150 mila quintali di prodotti agricoli e l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua di pioggia che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori. Nello stesso periodo, la perdita della capacità di stoccaggio del carbonio di queste aree (oltre tre milioni di tonnellate) equivale, in termini di emissione di CO2, a quanto emetterebbero più di un milione di autovetture con una percorrenza media di 11.200 km l’anno tra il 2012 e il 2020”
Il dramma ha origini lontane: tra il 2006 e il 2021 il nostro Paese ha perso 1.153 km2 di suolo naturale o seminaturale, con una media di 77 km2 all’anno a causa principalmente dell’espansione urbana e delle sue trasformazioni collaterali.
Gli incrementi maggiori sono avvenuti in Lombardia (con 883 ettari in più), Veneto (+684 ettari), Emilia-Romagna (+658), Piemonte (+630) e Puglia (+499). Come si vede, il consumo riguarda Regioni governate da entrambi gli schieramenti politici oggi prevalenti.
La Liguria ha dato abbondantemente del suo per molti anni. Nel 2021 c’è stato un contenimento, per fortuna. Ma la nostra provincia è al primo posto in regione per suolo consumato in percentuale agli abitanti e per densità. Si pensi che la copertura artificiale del suolo è ormai arrivata in Italia al 7,13% rispetto alla media Ue del 4,2%. In Liguria è al 7,26%, a Spezia al 7,98%.
Il fenomeno riguarda principalmente i suoli urbani: oltre il 70% delle trasformazioni nazionali si concentra nelle aree cittadine cancellando proprio quei suoli candidati alla rigenerazione delle città.
Gli edifici aumentano costantemente: oltre 1.120 ettari in più in un anno, distribuendosi tra aree urbane (32%), aree suburbane e produttive (40%) e aree rurali (28%). Una via alternativa è possibile: intervenire sugli oltre 310 km2 di edifici non utilizzati e degradati esistenti in Italia, una superficie pari all’estensione di Milano e Napoli.
I dati mettono in luce, in modo sempre più evidente, la grave mancanza di una legge quadro nazionale, ormai arenata dopo un decennio di inconcludenti discussioni.

Torino, il Parco del Valentino
(2011) (foto Giorgio Pagano)

A rendere ancora più problematici i dati c’è anche la prospettiva legata all’impiego dei fondi europei. “Il rischio è che le risorse del PNRR e i connessi investimenti infrastrutturali finiscano con il contribuire a una bolla espansiva del consumo di suolo, e questo sarebbe per il nostro Paese un fallimento di cui rendere conto, visto che ci siamo impegnati ad adottare e attuare, tra le riforme previste dal Piano Nazionale, anche quella relativa alla riduzione del consumo di suolo”, ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Nel panorama europeo -ha proseguito- il tema del suolo è sempre più attenzionato: da un lato ci sono le crisi internazionali degli approvvigionamenti che, insieme alla siccità, mettono in chiaro che non possiamo più sprecare terreni agricoli, e dall’altro le grandi strategie europee, tra cui la nuova strategia tematica e l’imminente nuova direttiva europea sulla protezione del suolo, che fissano sfide e obiettivi sempre più ambiziosi. L’Italia in quanto Paese maggiormente beneficiato dai fondi europei davvero non può permettersi il lusso di arrivare impreparata alle scadenze del Green Deal, la lotta al consumo di suolo deve essere tra le priorità di chi oggi si candida a governare il Paese”.
Occorre finalmente comprendere che sigillare anche un solo metro quadro di suolo è un “crimine contro l’umanità”, come ha scritto lo storico dell’arte Tomaso Montanari, e “dedicare ogni energia e finanziamento al riuso del costruito”. Vedremo se ci sarà un radicale ripensamento. L’eredità del “governo dei Migliori” non è purtroppo la migliore delle eredità.
La questione riguarda non solo i governi nazionali ma anche le Regioni e i Comuni, soprattutto quelli urbani come il nostro. La densificazione delle aree urbane causa la perdita di superfici naturali all’interno delle città, che sono preziose per l’adattamento al cambiamento climatico in atto. Dobbiamo difendere a tutti i costi queste superfici naturali, ed estenderle riportando “la natura in città”. Il cambiamento climatico impone una nuova dimensione dello spazio pubblico, un suo uso non di risulta o come puro prolungamento delle logiche di mercato. Ed è da una sua centralità che è necessario partire. Anche a Spezia, con l’obiettivo dell’aumento della dote di verde e degli spazi aperti alberati usufruibili da tutti, e dell’abbandono di dannosissimi progetti edificatori. Un nuovo Piano Urbanistico Comunale (l’ultimo risale a vent’anni fa!) è davvero indispensabile.

Gli scatti di oggi -dedicati al Parco del Valentino di Torino e alla Darsena di Milano- dimostrano che si può portare “la natura in città”.

lucidellacitta2011@gmail.com

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