Presentazione alla Spezia di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Venerdì 5 aprile ore 17 alla Biblioteca Civica Arzelà di Ponzano Magra
28 Marzo 2024 – 08:58

Presentazione alla Spezia di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiVenerdì 5 aprile ore 17Biblioteca Civica Arzelà – PONZANO MAGRA
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Il comandante Dani e il rastrellamento del 3 agosto 1944

a cura di in data 29 Luglio 2012 – 11:14

La Spezia, Chiesa di San Michele Arcangelo a Pegazzano (2012) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 29 Luglio 2012 – Sessantotto anni fa, il 3 agosto del 1944, i tedeschi, con il sostegno dei fascisti, organizzarono un massiccio rastrellamento per colpire i partigiani che operavano nei monti dello spezzino, accerchiando con 5000 uomini il Monte Gottero e il Monte Picchiara. Sulla base delle testimonianze, lo storico Maurizio Fiorillo scrive che il rastrellamento “fu per i partigiani poco meno che un disastro e per i tedeschi, come scrisse lo stesso maresciallo Kesserling, un successo”. La spiegazione migliore dello sbandamento e della scarsa capacità di reazione dei partigiani è quella presente in una relazione successiva di alcuni mesi del segretario del Pci spezzino Antonio Borgatti: “La disciplina di tutti i reparti non esisteva affatto, nessuno riusciva a farsi obbedire, i quadri capaci e ben accetti mancavano, il numero di patrioti era decuplicato in un mese e se aveva portato qualche buon combattente aveva portato anche molta zavorra”. Insomma, la crescita delle bande dei ribelli era stata troppo caotica. Ci furono però delle eccezioni, cioè bande che reagirono con efficacia e rimasero coese: la brigata “Vecchia Cento Croci” guidata da Federico Salvestri, “Richetto”, operante a nord del Monte Gottero, e la brigata “Val di Vara” guidata da Daniele Bucchioni, “Dani”, operante nella zona di Calice. “Dani” ricorda il 3 agosto in ogni dettaglio. “Avevamo il terreno favorevole e duecento uomini abituati a combattere, decisi quindi di affrontare il nemico”, racconta, “e quando dissi ai miei uomini ‘se qualcuno non condivide è libero di andare’, tutti i partigiani mi risposero in coro ‘ti dimostreremo che abbiamo imparato’ dandomi piena fiducia”. Quando vide i tedeschi salire, Bucchioni aspettò che arrivassero nei prati allo scoperto, lanciò una bomba a mano all’urlo “Deutschland a noi!” e diede ordine ai suoi uomini di sparare: “chi non morì fuggì verso le basi di partenza”. Qui i tedeschi rastrellarono Calice e fecero dei prigionieri. Provarono a risalire ma furono ricacciati, e riscesero in basso verso le piane. “Ma non sparammo perché il rischio era quello di uccidere anche le mucche al pascolo”, spiega “Dani”, “aspettammo che arrivassero ai Casoni per sparare e inseguirli fino a disperderli”. Nella notte, mentre i partigiani riposavano, “fummo avvisati che i tedeschi stavano risalendo, con i prigionieri fatti in gran parte durante il rastrellamento di Calice”. “Dani” decise di liberarli: l’operazione riuscì, i prigionieri furono tutti liberati, “la voce arrivò nei monti e in città, e in quel momento difficile, quando altre formazioni erano sbandate, diede fiducia agli antifascisti e demoralizzò i tedeschi, che misero una grossa taglia sulla mia testa”. L’8 ottobre 2000 SS e 1000 fascisti delle Brigate Nere circondarono il fosso di Calice, ma “Dani” usò il solito schema e i nemici persero oltre 100 uomini. “Purtroppo, accanto a me, morì Piero Spezia, mio fedele caposquadra, poi Medaglia d’Oro. I tedeschi lanciarono una cortina fumogena per impedirci di vederli e di colpirli, ma in questo modo salvarono anche me, perché riuscii a fuggire e a raggiungere i miei compagni”. Dopo il durissimo inverno 1944-45 la Resistenza ebbe il sopravvento: la brigata “Val di Vara” conquistò Podenzana e poi Aulla, di cui “Dani” è cittadino onorario.

La Spezia, Pieve di San Venerio Mostra del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia "Segni del sacro. Testimonianze fotografiche del patrimonio storico-artistico della Spezia" Museo Diocesano 14 luglio-30 settembre 2012 (foto Giorgio Pagano)

La vicenda di Bucchioni ci spiega molte cose sulla lotta partigiana. “Dani” era un tenente dell’Esercito, che prima dell’armistizio aveva addestrato in Friuli i reparti italiani destinati a presidiare la Jugoslavia occupata. L’8 settembre, dopo un tentativo di resistenza subito sfumato, Bucchioni fu fatto prigioniero dai tedeschi, ma riuscì a fuggire dando una gomitata a un soldato e gettandosi da un camion. Tornato in bicicletta a Calice, decise di non presentarsi alle autorità fasciste e formò con i renitenti del paese quella che definisce “un’associazione per proteggersi dalla cattura”, per poi progressivamente legarsi ai partigiani, prima alla brigata “Lunigiana” guidata dal colonnello Giulio Bottari e poi alle formazioni del Partito d’Azione di Vero Del Carpio, il “Boia”. La brigata “Val di Vara” si collegò infatti a “Giustizia e Libertà”. Ma era composta da partigiani di tutte le tendenze politiche: “Dani” era cattolico, il suo vicecomandante Tino Bianchi era comunista. I partiti antifascisti diedero un contributo fondamentale alla nascita e poi alla riorganizzazione delle bande, ma non tutte le bande erano strettamente di partito, anzi. La Resistenza fu un fenomeno davvero popolare, nazionale e democratico, radicato in vaste masse di popolo, come i giovani renitenti di Calice o le donne di Borseda che li proteggevano nei monti. Certo, questo popolo che si mobilitò trovò un interlocutore nei partiti antifascisti. “Dani” nel dopoguerra, prima di essere richiamato dall’esercito, fu Sindaco democristiano di Calice, e volle come vicesindaco un comunista eletto nella lista contrapposta. Anche quando la guerra fredda provocò la rottura politica tra i partigiani comunisti, socialisti e azionisti e quelli democristiani e liberali, rimase un filo che li unì, fatto di rapporti umani e di comunanza ideale. E quando la democrazia attraversò momenti difficili, gli uomini e i partiti della Resistenza seppero ritrovarsi assieme.
Sul rapporto, decisivo, tra il popolo che si auto organizza e i partiti fa riflettere anche un altro anniversario. Ai primi di agosto del 1922, prima che si instaurasse il regime, i fascisti subirono una grande sconfitta. Durante i 5 giorni della “battaglia di Parma” (1-6 agosto) gli Arditi del popolo, guidati da Guido Picelli, costrinsero i fascisti ad abbandonare l’assedio alla città. Una debacle che, se fosse stata presa da esempio dai partiti antifascisti, avrebbe potuto fermare l’ascesa di Mussolini. Invece i partiti antifascisti, divisi tra settarismo e subalternità, chiusero la porta in faccia al movimento popolare. Fu, ha scritto lo storico Paolo Spriano, “la grande occasione mancata dell’antifascismo militante, prima della marcia su Roma”.
In un momento storico molto diverso come l’attuale, il tema comunque si ripropone. In questi anni si è levata un’ondata di spinte rinnovatrici (si pensi p.es. ai referendum), che però i partiti progressisti e di sinistra non hanno saputo incontrare. Il rischio è quello di un’altra “occasione mancata”. Per evitarla occorre superare i limiti strutturali dei partiti della Seconda Repubblica, tutti quanti sorti come partiti elettorali, senza la cultura e il radicamento popolare che avevano i partiti protagonisti della Resistenza. Servono grandi e seri partiti popolari. A sinistra serve un grande e serio partito popolare radicalmente riformista, che spezzi il cerchio di ferro che separa oggi la politica dalla vita delle persone.

lucidellacitta2011@gmail.com

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