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Franco Bernardi e quel vento da non disperdere

a cura di in data 4 Maggio 2019 – 09:00
Calice, Beneduse, Franco Bernardi con altri partigiani del Battaglione Val di Vara al Monumento alla Resistenza di Beneduse (2017) (foto archivio Egidio Banti)

Calice, Beneduse, Franco Bernardi con altri partigiani del Battaglione Val di Vara al Monumento alla Resistenza di Beneduse
(2017) (foto archivio Egidio Banti)

Città della Spezia, 28 aprile 2019 – La grande maggioranza dei cittadini ha festeggiato il 25 aprile perché non vuole cancellare la memoria. Quello che ci ha detto questa giornata, in tutta Italia, è molto chiaro: la Resistenza è stata una battaglia per liberare il nostro Paese dal nazifascismo e consegnarlo alla democrazia; non esiste nessun derby -infelice definizione usata pochi giorni fa dal Ministro dell’Interno-, l’unica contrapposizione è tra i democratici che credono nella Costituzione e nella democrazia e chi crede in altri valori.
Anche dalle nostre parti è andata così. Il 25 aprile mattina ero a Moneglia, per la Festa della Liberazione: tante persone, associazioni, partiti. Ho parlato dopo i saluti del Presidente della locale Sezione dell’Anpi e del Sindaco, che è di centrodestra e ha la tessera dell’Anpi. La sera del 24 ero a Migliarina, dove la partecipazione è stata ancora più ampia che nel recente passato: molti dopo anni di assenza hanno voluto esserci di nuovo. Anche in questo caso ho parlato dopo il Sindaco, che è di centrodestra. Non ha ancora la tessera dell’Anpi, gli consiglio di prenderla: nel vuoto politico dell’Italia contemporanea l’associazionismo partigiano -quello dell’Anpi, ma non solo- ha davvero un ruolo cruciale. A Migliarina avrebbe dovuto esserci anche il Presidente della Regione, che all’ultimo momento non ha potuto partecipare: ma ha parlato il 25 mattina a Genova e, come il Sindaco di Genova, pure lui di centrodestra, ha detto cose apprezzate. Il pomeriggio del 25 ho parlato a Montaretto, qualche giorno prima alla Fincantieri di Riva Trigoso: ambienti più “rossi”, direbbe qualcuno. Ma tutti i presenti concepivano il 25 aprile non come una Festa di parte, ma come l’appuntamento in cui tutti i democratici possono ritrovarsi, il simbolo di una cornice di valori in cui la nostra democrazia è nata, si è sviluppata e può ritrovare se stessa nei momenti di difficoltà.
Insomma: è stata una Festa, la nostra Festa civile. Un comune riconoscersi. Una Festa attenta a combattere ogni revisionismo, a discutere su come evitare che il fascismo possa tornare, incarnato in forme nuove, perché in quelle antiche è morto il 25 aprile. Attenta a non barattare libertà e ordine, perché come ha detto il Presidente della Repubblica: “La storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva”.

Accanto a Mattarella, a Vittorio Veneto, c’era Luca Zaia, Presidente della Regione Veneto e leghista, che ha parlato chiaro, dicendosi orgoglioso di essere conterraneo della partigiana Tina Anselmi e condannando ogni negazionismo sulle leggi razziali, “che prolifera su internet e confonde i nostri ragazzi suggerendogli che i campi di concentramento non sono mai esistiti”. Altro che derby.

Migliarina, Franco Bernardi con Giorgio Pagano alla presentazione di "Eppur bisogna ardir" (2016) (foto archivio Giorgio Pagano)

Migliarina, Franco Bernardi con Giorgio Pagano alla presentazione di “Eppur bisogna ardir”
(2016) (foto archivio Giorgio Pagano)

Con il Ministro dell’Interno, che ha comunque fatto una mezza marcia indietro rispetto a quella dichiarazione, sono rimasti in pochi. Tra questi, purtroppo, il Sindaco di Portovenere, che oggi non sarà alle Grazie alla manifestazione indetta dal Comitato Unitario della Resistenza in ricordo dei tanti partigiani del Portovenerese, in primo luogo Otello Braccini “Avio”, che combatté nel Battaglione Internazionale al comando di Gordon Lett, poi fece per tutta la vita il militare in Aeronautica e di certo comunista non era. Tanti partigiani, certamente, lo furono: comunisti e patrioti. Ebbene sì, la Resistenza fu questo: fu la Resistenza dei comunisti, dei socialisti, degli azionisti, dei democristiani, dei liberali, degli anarchici, dei monarchici, dei senza partito… Degli operai, dei deportati, dei militari internati nei campi di sterminio, dei contadini, delle donne, dei sacerdoti… Un fatto popolare e di massa, come mai nella storia d’Italia.

Al Sindaco di Portovenere vorrei dire: rifletti, non dobbiamo, non possiamo dividerci pro o contro il 25 aprile.

Se lo facciamo, lo sforzo di costruire una identità nazionale partendo da un punto di vista comune nella valutazione di un passato che ci ha lasciato in eredità solo rovine e macerie rischia di venire totalmente vanificato. Se lo facciamo, rischiamo di consegnare alle giovani generazioni un passato senza alcun punto di riferimento, un passato al buio, senza orizzonti.
Tutto questo lo spiegò Francesco Bernardi nel discorso che tenne il 25 aprile 2016 al Monumento della Resistenza ai Giardini. Franco -tutti lo chiamavamo così- scomparso qualche settimana fa, era copresidente, con me e Paolo Galantini, del Comitato Unitario della Resistenza. E’ stato un partigiano e un democristiano, fieramente anticomunista. Ma l’unità dei democratici e degli antifascisti fu sempre il suo faro: un vento che non va disperso, una speranza per il futuro. Potete leggere di seguito quel bel discorso di allora. E’ una piccola storia dell’Italia: quella di un ragazzo di diciott’anni che si ribella alla X Mas quando entra a scuola a fare propaganda, e che, sfollato ai monti, per sfuggire ai bombardamenti si unisce ai partigiani. Una piccola storia dell’Italia che seppe riscoprire un’idea di patria che il fascismo aveva disonorato e costruire le basi di una Costituzione democratica.

lucidellacitta2011@gmail.com


1945 – 2016
FESTA DELLA LIBERAZIONE

Monumento alla Resistenza
La Spezia – Giardini Pubblici
Intervento di Franco Bernardi
Copresidente del Comitato Provinciale Unitario della Resistenza

A nome del Comitato Unitario della Resistenza saluto il Signor Prefetto, il Signor Sindaco, l’Ammiraglio, Mons. Vescovo e autorità tutte. Saluto con particolare affetto i partigiani, i membri del Comitato, tutti i cittadini e i giovani presenti. La data che oggi ricordiamo è ricca di eventi: la fine del regime fascista, la fine dell’occupazione nazista, quindi la fine della guerra in Italia; il recupero dell’unità nazionale e l’avvio di un nuovo percorso democratico nel nostro paese. E’ stata simbolicamente indicata al 25 Aprile, giorno in cui nel 1945 Sandro Pertini presidente del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamava via “Radio Milano Libera l’insurrezione generale. Milano e Torino furono liberate dai partigiani il 25 Aprile; Genova il 27. Bologna era stata già conquistata dai partigiani il 19 e definitivamente liberata con l’arrivo degli alleati il 21 Aprile.
A Sarzana, quindi alla Spezia le truppe americane della V Armata arrivarono il 25 aprile ma la città era già stata liberata dai partigiani, non si fermarono e proseguirono per Genova. La strada tenuta libera e senza alcun intralcio di distruzioni permise di percorrere i 120 Km fra Spezia e Genova, in soli due giorni al posto dei 10-15 previsti.
Con il passare degli anni si è iniziata a ricordare la ricorrenza del 25 Aprile come “Festa della Liberazione”. Effettivamente quel giorno, la discesa festante dei partigiani dai monti alle città, l’arrivo delle truppe alleate, con la pace e la ritrovata libertà crearono un clima di festa. La libertà che permetteva di muoverti, di pensare, la tranquillità per la fine dei pericoli a cui la guerra ci aveva condizionati, tutto ciò fece nascere nelle persone adulte la voglia di ricostruire. ln noi che non avevamo potuto godere le gioie della giovinezza a causa della guerra, una gran voglia di uscire, di stare insieme, programmare gite, balli, senza trascurare gli studi, dal momento che le scuole furono subito riaperte.
Se questa aria di festa era logica e giustificata dopo gli anni di guerra vissuta anche sul suolo nazionale, con tutte le conseguenze che il popolo aveva dovuto subire: bombardamenti, rastrellamenti, deportazioni, rappresaglie, fame e tanto altro; purtroppo in non poche famiglie questa festa non era potuta arrivare: c’erano madri, spose, figli che piangevano i loro cari caduti combattendo in Russia, in Africa, fucilati, impiccati, torturati, morti nei campi di sterminio, sui monti, in mare, per le strade di Genova, di Firenze, c’erano i famigliari ancora confusi per gli eccidi compiuti nei loro paesi; c’era chi aspettava il ritorno dei prigionieri di guerra ancora in terre lontane.
lo non ho avuto la gioia di essere presente quel giorno, quando le formazioni partigiane della IV Zona scesero in città. Mi trovavo a Lucca, prima tappa del mio viaggio di rientro a casa, con un salvacondotto rilasciatomi dal Comando Militare Alleato di Firenze: “Il partigiano Francesco Bernardi è autorizzato a viaggiare da Firenze a Lucca per raggiungere la famiglia – data 21 Aprile 1945, valido per tre giorni.” Dalla radio ascoltammo le notizie sulla resa dei tedeschi e lo sfascio della Repubblica Sociale, la guerra era finita. Le campane delle chiese suonavano a festa, e la gente scesa in strada organizzava cortei ma quello che più mi interessava era di trovare un mezzo che mi portasse a Massa, già liberata dopo furiosi combattimenti, per poi proseguire a piedi sino a Fivizzano ove la mia famiglia era sfollata.

Tutti gli anni il Comitato Unitario organizza la Festa della Liberazione qui di fronte al Monumento alla Resistenza per tenere viva la memoria del 25 Aprile, giorno nel quale le formazioni partigiane inquadrate militarmente sotto il comando unico del Colonnello Fontana, sfilarono in città tra la popolazione festante.
Qui hanno parlato: Comandanti partigiani, valorosi combattenti, uomini politici; ma con il passare degli anni la loro presenza si è fatta sempre più debole. Rimangono a testimonianza di quei giorni quelli che all’ora erano i più giovani, dei ragazzi. Oggi a rappresentare il Comitato Unitario della Resistenza c’è un semplice partigiano senza gradi che allora non aveva ancora compiuto 18 anni. Tutto si svolse durante l’anno 1944: frequentavo la lV Liceo Scientifico, la città era piena di truppe tedesche e della San Marco; nei paesi dove eravamo sfollati, raggiungibili sempre con più fatica, i gruppi partigiani incominciavano ad uscire allo scoperto, qui i primi rastrellamenti, i primi caduti
Ricordo una mattina di quel Febbraio 1944, quando, durante una lezione, entrarono nell’aula dei militari della X Mas. Noi, tutti in piedi nei banchi; loro incominciarono a distribuire materiale di propaganda fascista della Repubblica Sociale, quando un nostro compagno, avuti in mano quei fogli con determinazione li strappò. Due schiaffoni e mentre lo conducevano dal Preside tutti noi facemmo palle di carta degli stessi volantini, e le lanciammo sulla cattedra. Fu il mio primo atto di RESISTENZA.
Intanto alla Spezia in città la situazione si stava facendo pesante; con allarmi aerei sempre più frequenti; il fronte si stava avvicinando dopo gli sbarchi di Anzio e di Nettuno, Roma stava per essere liberata dalle truppe alleate. Per questi motivi le scuole chiusero anticipatamente in Maggio ed io raggiunsi la mia famiglia sfollata a Fivizzano. Fu proprio il bombardamento di Fivizzano che costrinse gli abitanti a rifugiarsi nei paesini che mi mise in contatto diretto con i partigiani. All’inizio svolsi mansioni di staffetta ma, con la creazione della Divisione Garibaldi Lunense in Agosto, entrai in maniera definitiva nella squadra Comando della Terza Brigata “La Spezia”. Quindi varie attività con continui spostamenti che eseguivo con determinazione. Poi il grande rastrellamento del 23 Novembre 1944 quando i tedeschi occuparono il paese di Regnano, sede del comando della Terza Brigata. I Comandanti Marini ed Azzarri riuscirono a mettersi in salvo ma i tedeschi trovarono l’archivio della Brigata, ricco di dati sulla organizzazione della formazione. La situazione era disperata; lo stesso Jacopini che nel frattempo aveva preso il comando della intera Zona scriveva: “i tedeschi hanno tutti inomi dei garibaldini della Terza Brigata, dei rifornitori e degli informatori, non c’è quindi più possibilità di ricovero e di vettovagliamento”.

La fuga di mio padre subito avvisato ricercato quale ufficiale partigiano, comandante del SIM della Divisione, l’arresto di mia madre, lo sfascio della Brigata, causarono un momento di grande sconforto; eravamo soli, io e mio fratello a decidere della nostra vita. Eravamo ricercati personalmente e le parole del Comandante lacopini non lasciavano dubbi: dovevamo nasconderci. Ma dove? A casa non potevamo tornare, in zona non avevamo né parenti né conoscenze sicure.
Con i pochi compagni rimasti decidemmo che l’unica soluzione era quella di tentare il passaggio del fronte che da un mese si era attestato lungo la linea gotica sulle Alpi Apuane a confine con la nostra zona di operazione. Ci fecero da guida dei pastori della zona che conoscevano i sentieri più difficili, praticati solo da loro, liberi dalla mine antiuomo. Arrivati sulla cresta del monte, incominciava ad albeggiare, la guida ci lascio e noi iniziammo da soli a scendere un canalone ripidissimo aggrappati agli arbusti della parete, sfiniti anche per il timore di non riuscire ad arrivare alla fine. Era l’alba del 5 Dicembre quando incontrammo una pattuglia di soldati americani che ci veniva in contro, i neri della Divisione Bufalo. Eravamo salvi nell’ltalia liberata. Ci abbracciammo, alcuni pregavano in silenzio. Da Azzano, primo avamposto delle truppe alleate, per Serravezza raggiungemmo, sotto un continuo cannoneggiamento tra i due fronti, Pietrasanta; da qui con automezzi militari – erano tre giorni che camminavamo – raggiungemmo Viareggio ove ritrovammo molti compagni e dopo un interrogatorio molto serrato ci presero in forza alloggiandoci nelle pensioni vuote. Quindi dopo alcuni giorni di riposo, raggiungemmo Lucca, tappa fissa ove trovammo migliore organizzazione e, sempre con salvacondotto alleato, ultima tappa Firenze. ln noi e nell’ambiente in cui vivevamo c’era molto sconcerto anche perché non conoscevamo nulla del nostro futuro. Avremmo voluto organizzarci per riprendere la lotta a fianco dei compagni che avevamo dovuto lasciare e che sapevamo, da notizie pervenute con i nuovi arrivati, impegnati in azioni di vera guerriglia in attesa dello scontro finale.
ln questo clima di libertà si incominciò a parlare di politica, di partecipazione, di partiti, a seconda dell’età e della preparazione. Finalmente il fronte si mosse e con mezzi di fortuna raggiugemmo Lucca il 25 aprile. Il rientro a casa non fu facile, arrivati a Massa c’era da attraversare la zona ove si era combattuto aspramente pochi giorni prima ma il desiderio di raggiungere la famiglia non ci fermò e in due giorni raggiungemmo Fivizzano. Dopo la fine della guerra, le scuole riaprirono subito ed io mi ritrovai sugli stessi banchi e con gli stessi compagni che avevo lasciato 12 mesi prima; non era passato nemmeno un anno da quel primo atto di resistenza sui banchi di scuola.

Per questo il 25 Aprile è un giorno fondamentale per la storia del nostro Paese ed assume un particolare significato politico e militare in quanto simbolo della vittoriosa lotta di resistenza attuata dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale a partire dall’ 8 settembre 1943 contro l’occupazione nazista e il governo fascista della RSI. Mettendo da parte le divisioni, oggi tutto il popolo italiano celebra la festa della libertà che è diventata pietra angolare della nostra storia e della nostra identità. Dopo gli anni della dittatura l’Italia intera riuscita a riscattarsi, unendosi alle forze che in Europa si sono battute contro il nazifascismo. Di questo ne dobbiamo essere orgogliosi.
La “Guerra di Liberazione” è stata combattuta dalle formazioni partigiane che per 20 mesi logorarono le grandi unità tedesche e della Rep. Sociale a fronte di grandi sacrifici come dimostrano i 44.OOO caduti, i 21.000 invalidi e i 10.000 civili uccisi nelle rappresaglie; senza dimenticare l’apporto dei militari dell’Esercito Italiano che a Cefalonia e Lero si opposero dopo l’8 Settembre all’esercito tedesco fino al totale sacrificio ed alle rinate Forze Armate che hanno combattuto contro i tedeschi a fianco degli Alleati.
Ma non bisogna dimenticare la “Lotta di Liberazione”, espressione con un significato più ampio della “Guerra di Liberazione”, perché affianca ai partigiani combattenti, altri settori del popolo italiano che, anche col sacrificio della vita, hanno contribuito in maniere diverse a manifestare il loro reale desiderio di libertà come per esempio i 650.000 militari che dopo l’armistizio non riuscirono a tornare a casa da tutti i fronti di guerra in cui si trovarono e, tradotti in Germania nei campi di prigionia per i militari, rifiutarono con coraggio eroico ogni proposta di arruolamento nelle milizie di Salò che avrebbe permesso loro di ritornare in Italia. Alla Spezia ricordiamo l’Ammiraglio Carlo Bergamini che valorosamente insieme ai suoi 1.393 uomini affondò con la corazzata Roma colpita da armi tedesche mentre viaggiava verso gli alleati per consegnare la flotta italiana.

Un’altra forma di Resistenza fu la straordinaria prova che dettero gli operai del Nord con l’organizzazione dei grandi scioperi del Marzo 1944. Questi scioperi, per la loro grande e quasi totale adesione degli operai, per il numero delle fabbriche impegnate a Torino, Milano e Genova, per la perfetta clandestina organizzazione preparatoria, hanno costituito un capitolo molto importante nella Guerra di Liberazione, non solo per le conseguenze tecniche di approvvigionamento bellico ma soprattutto di carattere psicologico perché i nazifascisti si resero conto che la Resistenza non era solo in montagna con i partigiani ma stava coinvolgendo tutti gli italiani ancora attivi. Era la “Resistenza non armata”: ma chi aderiva agli scioperi sapeva di mettere a repentaglio la propria vita. La nostra città, con le presenza di numerose fabbriche tutte legate alla produzione bellica, fu tra quelle più impegnate e la reazione tedesca fu rabbiosa e immediata; dodici operai dovettero pagare con la deportazione nei campi di sterminio nazisti il loro impegno nell’organizzazione. Di essi solo tre tornarono vivi dall’inferno dei lager.
Un ruolo importante nella Lotta di Liberazione Io ebbe anche il mondo contadino. Nella nostra IV Zona operativa, in Alta Val di Vara, per la morfologia del territorio, la maggior parte delle formazioni partigiane viveva in montagna e l’aiuto della popolazione montana fu prezioso. Essi dividevano il loro scarso cibo e le loro povere case, nelle quali il partigiano trovava sempre un fienile, un alpeggio o una casa di contadini o pastori in cui nascondersi e rifocillarsi. Pratici dei più nascosti sentieri, gli uomini e le donne dei monti aiutarono i partigiani a muoversi nelle valli, nei boschi e li nascondeva durante i rastrellamenti. Ciò facendo essi si esponevano a tragiche rappresaglie personali e collettive. Numerose case furono bruciate e la popolazione subì arresti ed anche la perdita della vita.

Questi immensi sacrifici sono ricordati nella motivazione della Medaglia d’oro della Resistenza concessa alla Provincia della Spezia.

Nella lotta di liberazione trovano notevole spazio, l’aiuto e la comprensione dei sacerdoti verso i partigiani. Ogni regione, ogni provincia hanno dato alla causa della Liberazione nazionale il loro contributo con sacerdoti uccisi, torturati, arrestati e deportati per avere difeso le popolazioni loro affidate; ma anche di sacerdoti combattenti e cappellani che furono a fianco dei partigiani con sentimenti di fratellanza e di amore cristiano. Nella nostra IV Zona, sparsi sui monti e nelle Valli dell’Alto Vara esistono decine di piccoli paesi con la loro Chiesa, allora sempre con la presenza del parroco, rimasto l’unico punto di riferimento. Don Bobbio parroco di Valletti fu fucilato a Chiavari dagli alpini della Monterosa perché prete partigiano, gli verrà conferita la Medaglia d’oro della Resistenza. Don Toso fucilato davanti alla sua Chiesa di Lavaggio Rosso sopra Levanto, perché non volle rivelare i nomi dei suoi parrocchiani partigiani, Medaglia d’oro al valore civile.
Nella vicenda della Resistenza ho sempre pensato – forse trascinato dall’avventura di mia madre – che le persone che hanno più sofferto sono state le donne: le madri, le spose dei partigiani, chiuse nel loro dolore per timore dei delatori, le madri dei militari prigionieri, dei dispersi in Russia in attesa del loro ritorno. Nelle famiglie gli uomini erano scomparsi. Tutto il peso dell’assistenza ai figli minori ed agli anziani gravava solo su di loro. Il terrore che venissero a scoprire il figlio renitente nascosto. Come non ricorda re le lunghe code davanti ai negozi alimentari spesso interrotte per gli allarmi aerei. Quelle file di carretti su per le salite della Cisa e del Cerreto sempre trascinati da donne.
È proprio l’unione tra i partigiani della Guerra di Liberazione e i partecipanti alla Lotta di Liberazione che ha suggellato l’ultimo capitolo della storia del Risorgimento italiano, premessa per la rinascita politica che hanno portato tutto il popolo alla Costituente e alla nostra Carta Costituzionale.
Concludendo: Il 25 Aprile è la data simbolica del risveglio della coscienza nazionale e del riscatto morale e civile italiano dopo la seconda guerra mondiale verso la fondazione di una nazione libera e democratica.

Purtroppo il nostro Paese sta vivendo un momento molto delicato, di fronte a questa situazione non possiamo non esprimere preoccupazione, soprattutto se la nostra mente va all’immediato dopoguerra quando i rappresentanti del popolo, la stragrande maggioranza dei quali proveniva dalle fila della Resistenza, sapevano privarsi di ogni agio per non gravare sul bilancio dello Stato appena risorto. E se, anche nelle aule parlamentari, deputati e senatori, si affrontavano in accesi dibattiti, quasi tutti, sia pure da posizioni politiche diverse, a volte contrastanti, pensavano al bene della Patria. Indubbiamente erano altri tempi ma i principi morali che tutti dovrebbero rispettare erano, sono e saranno sempre gli stessi.
ln questa giornata, davanti al monumento della Resistenza, con la memoria dei Caduti ci viene restituito il significato profondo del rispetto e del senso di appartenenza alle istituzioni democratiche, che i partigiani hanno amato, difeso e accompagnato perché potessimo ricostruire una società capace di garantire la convivenza civile, la pace, la libertà. Non disperdiamo quel vento che soffiò il 25 aprile, non dimenticheremo. Mai.

Viva la Resistenza. Viva la Repubblica. Viva l’Italia libera e unita.

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