Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
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Ambiente e salute, possiamo sconfiggere il passato

a cura di in data 17 Marzo 2014 – 16:11
Cadimare nascosta, presentazione fotografica multimediale del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia, Cadimare - Sagra dell'Anciua, 13 agosto 2013 (2013) (foto Giorgio Pagano)

Cadimare nascosta, presentazione fotografica multimediale del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia, Cadimare – Sagra dell’Anciua, 13 agosto 2013 (2013) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 16 Marzo 2014 – Ha ragione il giornalista di Città della Spezia Thomas De Luca quando, commentando la manifestazione dei comitati di sabato scorso e il Consiglio Comunale di lunedì sulla vicenda di Pitelli e sui problemi dell’inquinamento del Golfo, afferma che “il ritornello si ripete: Spezia si presenta divisa anche quando in ballo c’è un bene del quale tutti si riempiono la bocca, la salute dei cittadini”. Anche perché, continua, “la questione è complessa e ingarbugliata, il piano politico, quello giudiziario e quello tecnico si accavallano, in un dibattito reso incandescente dalla sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni”. Non c’è dubbio: le divisioni andrebbero superate, ma per avvicinare società e istituzioni è fondamentale creare più fiducia. E’ difficile, ma c’è un unico modo: saper dialogare, da parte di tutti. Innanzitutto da parte di chi governa, che ha il dovere dell’ascolto. Chi governa ha bisogno del confronto, altrimenti esercita un’azione “dall’alto”, destinata a fallire. Sono stato un uomo delle istituzioni, e conosco bene la loro importanza. Ma, prima da uomo di partito, poi da Sindaco, oggi da cittadino impegnato nella società civile, ho sempre cercato di combattere una politica elitaria, che non si interessa delle energie popolari, che non si fida più di chiunque muova una critica, che considera il conflitto come qualcosa da cui liberarsi e non invece come una necessità, fisiologica e utile alla democrazia. Certo, quando amministravo ero orgoglioso dei risultati della mia azione, e li difendevo. Ma nel contempo capivo che i cittadini volevano, giustamente, di più. Che ciò era il frutto della “effervescenza” della nostra società: la democrazia non è un patto del silenzio, ma l’evoluzione alla ricerca di cose sempre migliori. E la politica non deve vivere in una sfera separata, ma connettersi con i cittadini critici e partecipi, che ricercano appunto cose sempre migliori. Naturalmente anche la società civile deve saper ascoltare, senza rinserrarsi in un movimentismo contrario a tutto, “a prescindere”, per dirla con Totò: deve essere esigente, molto esigente, ma anche responsabile e dialogante, con la volontà di contribuire alla ricerca della convivenza sociale sulla base di soluzioni condivise.

IMG_1097elOggi dalla fiducia e dal dialogo sociale, a Spezia, siamo lontani. Come avvicinare posizioni così distanti? Intanto con un lavoro di approfondimento e di precisazione degli obbiettivi, costruito nella e con la discussione pubblica. Cito ancora, questa volta il direttore di Città della Spezia Fabio Lugarini: “Soltanto una determinazione netta e incontrovertibile su vicende spesse volte ancora in sospeso e per le quali la magistratura non ha comunque cancellato i dubbi della gente può togliere la polvere dalle spalle”. Provo a dare un contributo affrontando le principali questioni sul tappeto: le bonifiche a terra, quelle a mare, le indagini epidemiologiche sulle cause delle malattie.

BONIFICHE A TERRA. PITELLI: DISCARICA, AREA EX IPODEC, FORNO DI INCENERIMENTO
Innanzitutto un po’ di storia. La discarica di Pitelli fu attivata a partire dal 1979 come impianto di smaltimento dei rifiuti industriali, quando non c’era ancora una normativa in materia. Gli abbancamenti iniziarono direttamente sul terreno. L’impianto fu ampliato con un progetto approvato dalla Regione nel 1989: la finalità era risanare la vecchia discarica non impermeabilizzata costruendone una sopra, dotata di vasche impermeabilizzate. In realtà ciò avvenne solo parzialmente, per cui ad oggi sussistono ampie superfici della vecchia discarica non sormontate dalla nuova. Ci furono, nei primi anni Novanta, svariati problemi ambientali, fino a quando, nel 1995, la Regione autorizzò un impianto con la volumetria precedente, ma trasformato in discarica per rifiuti speciali (provenienti da attività produttive). Nel 1996 iniziò il procedimento penale, volto ad accertare la presenza nel sito di rifiuti non conformi alle autorizzazioni rilasciate, e l’eventuale disastro ambientale. Fu quindi disposto dalla magistratura l’incidente probatorio: nel corso della perizia furono effettuati scavi e carotaggi sia nel corpo della discarica approvata nel 1989 e nel 1995, sia nella porzione esterna alle vasche impermeabilizzate (la vecchia discarica). Quali furono le conclusioni della perizia? Nella parte impermeabilizzata furono riscontrate alcune tipologie di rifiuti non consentite dall’autorizzazione, e nella parte vecchia, mai sottoposta a bonifica, molte tipologie di rifiuti tossico nocivi. Fui eletto Sindaco nel novembre 1997, e Pitelli diventò subito una delle mie prime preoccupazioni. Non c’era stato solo un gravissimo fenomeno di dissipazione del territorio, consumato pervicacemente fino al ’95, con la realizzazione di una discarica per rifiuti industriali e speciali in una collina sul mare, vicina all’abitato; c’era stato anche un utilizzo sciaguratamente illegale di un impianto già di per sé sciagurato. Per questo volli tenere per me, all’inizio della consigliatura, la delega all’ambiente. Ricevuti gli esiti della perizia, nel luglio del ’98 ordinammo la bonifica alle due imprese che avevano utilizzato la discarica. Nel contempo ci impegnammo per inserire l’area vasta di Pitelli tra i siti di bonifica di interesse nazionale, previsti da una legge appena approvata. Pensavamo, in questo modo, che se il privato non fosse intervenuto avremmo potuto farlo noi, “in danno”, anticipando soldi dello Stato, che il Comune avrebbe avuto difficoltà a stanziare. Per un certo periodo, in effetti, gestimmo noi l’impianto, di fronte all’inadempienza degli inquinatori, “in danno”. Successivamente la proprietà riassunse la responsabilità dell’impianto, lo mise parzialmente in sicurezza, realizzò la caratterizzazione e presentò al Ministero dell’Ambiente un progetto di bonifica, tramite la messa in sicurezza definitiva: terre sopra la discarica, senza asportare nulla, fino ad arrivare in quota. In questo caso è decisivo che la discarica sia inserita in una sorta di “sarcofago” impermeabilizzato, dal quale non possa fuoriuscire più nulla. Il progetto fu approvato solo molti anni dopo, e l’avvio dei lavori fu autorizzato, con decreto ministeriale, nel 2010. Di fatto i lavori sono iniziati solo pochi mesi fa, e dovrebbero terminare entro quattro anni.
Ma Pitelli non è solo la discarica “ufficiale”. Accanto c’era, e c’è, una discarica abusiva di rifiuti speciali: l’area ex Ipodec, che godeva di autorizzazione regionale per il solo stoccaggio degli automezzi per il trasporto dei rifiuti, e che fu usata abusivamente tra il 1976 e il 1996 per lo smaltimento, innanzitutto, dei rifiuti dei cantieri di demolizione navale della zona (come certificò la perizia). Anche in questo caso ordinammo la bonifica ai privati, che in questi anni hanno eseguito la messa in sicurezza, fatto la caratterizzazione e presentato il progetto di bonifica, attualmente all’esame della Regione (subentrata al Ministero dell’Ambiente nel 2013, con il passaggio dell’area di Pitelli da sito di interesse nazionale a sito di interesse regionale). Nell’area della discarica c’era inoltre un forno di incenerimento per rifiuti industriali. Al momento del sequestro della discarica l’Asl dispose anche la sospensione dell’autorizzazione del forno, che nel frattempo è definitivamente scaduta. Lo smantellamento del forno, compreso nel progetto di bonifica della discarica, è già stato attuato.

IL PROCEDIMENTO PENALE
Discarica, area ex Ipodec e forno furono interessati dal procedimento penale e dal relativo incidente probatorio. Furono eseguiti moltissimi sondaggi con campionamenti. Ho prima ricordato, in estrema sintesi, le conclusioni dei periti. Non trovarono quindi conferma le testimonianze che avevano indicato la discarica di Pitelli come sito di conferimento di materiali contaminati con la diossina, provenienti da Seveso. Al termine del dibattimento la sentenza di primo grado (marzo 2011) assolse i titolari degli impianti dal reato di disastro ambientale, “perché il fatto non sussiste”. Il che significa che, secondo la magistratura, non c’è pericolo per la incolumità pubblica. Nel processo, durato 15 anni, Comune, Regione e Legambiente si costituirono parte civile, facendo la loro parte fino alla fine. Furono chiamati periti di chiara fama, e le indagini furono costosissime. Fino alla fine del mio mandato da Sindaco (2007) fui costantemente informato dagli avvocati del Comune, Sergio Busoni e il compianto Tomaso Acordon, che conoscevano molto bene tutto quello che è depositato nei 140 faldoni dell’incidente probatorio. Il rispetto per la magistratura mi porta a dire: c’è stata una sentenza, ma il fatto che non ci sia disastro ambientale non significa ovviamente che non ci siano state nefandezze e che non ci sia inquinamento; i privati vadano dunque avanti con le bonifiche, e il pubblico affronti il problema cruciale del controllo, affinché le bonifiche siano eseguite conferendo i materiali previsti dalle leggi.

I NUOVI ALLARMI
E tuttavia: in queste settimane ci sono stati fatti nuovi. Un pentito di camorra e un investigatore privato hanno nuovamente lanciato l’allarme su Pitelli. Lo stesso rispetto per la magistratura mi porta a dire: sia essa a esprimersi in merito a queste parole, alle quali la vera risposta può venire, appunto, solo dalla magistratura. Tra le testimonianze una ha riguardato anche il tema dello sversamento di fusti radioattivi durante la realizzazione di banchine portuali: gli accertamenti chiesti dal Ministro dell’Ambiente hanno portato ad escludere la radioattività in superficie. Certamente in superficie nulla poteva trovarsi. Ci sono, però tecniche sofisticate, molto costose, capaci di accertare la presenza di corpi estranei in profondità. Che si usano, però solo in caso di indagini dell’autorità giudiziaria.

BONIFICHE A TERRA: LE ALTRE AREE DEL SITO DI PITELLI
Ma altre considerazioni vanno fatte riguardo le bonifiche a terra. Nella collina di Pitelli non ci sono state solamente le discariche. Ci sono state fabbriche che lavoravano il piombo, come la Pertusola, situata nel Comune di Lerici, e la Pbo a Pagliari. C’era, e c’è ancora, molto vicina, la centrale a carbone dell’Enel. Nel 1997 Regione, Provincia e Comune vollero approfondire la conoscenza dell’area vasta interessata dagli impianti “critici”. Commissionarono un’indagine ambientale e un’indagine sanitaria ed epidemiologica, svolte sotto il controllo dell’Università di Pisa. Furono eseguite analisi e ricerche su qualità dell’aria, suoli, falde, vegetazione, animali allevati, chiocciole, sedimenti marini e radioattività. Inoltre si procedette a uno studio epidemiologico pilota sull’effetto della residenza presso siti di discarica, incrociando i dati con quelli di un’altra area, posta all’estremo opposto della città. L’indagine concluse che l’area indagata era effettivamente contraddistinta da una compromissione ambientale, dovuta alla presenza di sostanze tossiche, soprattutto piombo e in misura minore zinco e mercurio, nei suoli di un’area ristretta, quella più vicina a Pertusola e Pbo. L’indagine escluse però la presenza di rifiuti radioattivi interrati, come ha ricordato sulla Nazione del 13 febbraio Franco Palmieri, allora responsabile del settore Asl che poi divenne Arpal. Lo studio epidemiologico riscontrò disturbi irritativi reversibili diffusi e fenomeni di anemia in un gruppo di persone, concludendo che “si è propensi ad affermare che le alterazioni sanitarie rilevate siano maggiormente attribuibili all’inquinamento proveniente da più fonti piuttosto che a quello dovuto a una sola fonte puntuale (effetto zona)”. Lo studio suggerì di continuare nel monitoraggio e di costruire un osservatorio epidemiologico: facemmo entrambe le cose, come poi dirò. Acquisite e sottoposte all’Asl le risultanze dell’indagine, nel 1999 furono emanate due ordinanze sindacali, per vietare l’uso delle acque nei pozzi della zona a scopo potabile e per il bestiame, e per regolamentare e in parte vietare l’uso di prodotti ortofrutticoli e degli animali allevati nell’area critica, identificata cartograficamente. Ma quello che mi preme qui è ricordare che, dopo l’inserimento di Pitelli nei siti di interesse nazionale, il Ministero dell’Ambiente finanziò, nel 2002, la caratterizzazione dell’intera area, con campionamenti dello strato superficiale e alla profondità di un metro e con analisi delle acque. I risultati confermarono quelli dello studio dell’Università di Pisa. La stragrande maggioranza delle aree indagate risultarono inquinate in relazione all’uso del suolo, ancorché solo nello strato superficiale, soprattutto da piombo e Pcb (poloclorobifenili, derivati dalle lavorazioni navali). Si tratta di aree pubbliche e private, in gran parte inquinate non dai proprietari. Ebbene: chi fa la bonifica di queste aree e chi la paga? Questo è un grande problema irrisolto, che riguarda non solo il Comune di Spezia ma anche quello di Lerici. E la cui soluzione non si è avvicinata con il passaggio di Pitelli da sito di interesse nazionale a regionale: è vero che lo Stato, colpevolmente, ha tagliato in questi anni i finanziamenti per le bonifiche, ma non si vede con quali risorse le Regioni possano esercitare questo ruolo (rimando, su questo punto, al mio “E ora chi finanzierà le bonifiche?”, apparso su questa rubrica il 6 gennaio 2013, e ai tanti documentati interventi di Marco Grondacci in notedimarcogrondacci.blogspot.com/). Proprio il 15 marzo, sul Secolo XIX, l’assessore all’ambiente della Regione Liguria ha lamentato l’esiguità dei fondi disponibili per le bonifiche. Ecco un tema su cui costruire elaborazione, mobilitazione, unità della città. Anche per costringere a intervenire, là dove possibile, i privati inquinatori.

BONIFICHE A TERRA: LE AREE MILITARI
Un altro tema meritevole di analogo impegno è quello delle aree militari inserite nel sito di Pitelli, le uniche secretate, mai sottoposte a caratterizzazione. Il riferimento non è solo all’ex polveriera (nel 1997 una trasmissione televisiva parlò di gas nervini e scorie radioattive lì collocati, poi lo studio ricordato escluse la radioattività), ma anche all’area del tiro al piattello, appartenente al demanio militare, utilizzata come discarica per i cantieri di demolizione. Non c’entra nulla, invece, la cosiddetta “discarica della Marina”, usata dal Comune per i rifiuti urbani, caratterizzata e poi da noi bonificata nei primi anni Duemila (fu la prima discarica bonificata nelle colline del levante). Ricordo che il Comune pose più volte la questione della caratterizzazione e bonifica delle aree militari in sede di Conferenza dei Servizi, e che tutto venne rimandato a un necessario protocollo di intesa tra Ministero dell’Ambiente e Ministero della Difesa. Ora che è subentrata la Regione, il problema resta quello: il Ministro della Difesa è ligure, la Regione si dia da fare!

BONIFICHE A MARE
Nel sito di Pitelli fu inserita, perché inquinata, una vasta area a mare. Il piano di caratterizzazione fu progettato da Icram (oggi Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale): i risultati furono inclusi nel progetto preliminare di bonifica del 2005, pure elaborato da Icram, a cui devono fare riferimento i progetti definitivi riguardanti le varie zone. Risultò una diffusa situazione di inquinamento derivante innanzitutto da lavorazioni industriali, mentre le situazioni effettivamente considerate critiche (sedimenti rossi) risultarono limitate ad alcune zone ristrette. L’asporto integrale dei sedimenti è praticamente irrealizzabile per gli altissimi costi (sono 6 milioni e 600.000 metri cubi!); il progetto preliminare approvato propone alcuni scenari di attuazione parziale della bonifica, che prevedono di intervenire solo sui sedimenti rossi (anche se la Conferenza dei Servizi non ha mai assunto una decisione definitiva in merito). Da allora una serie di bonifiche sono intervenute: l’Autorità Portuale ha operato e sta operando, sui moli Garibaldi e Ravano e sul bacino navigabile, per consentire l’accesso di navi di maggiori dimensioni, e nell’area del ponte Revel; così come sono intervenuti alcuni privati nelle aree date in concessione: per esempio la proprietà del Porto Mirabello, anche se mancano ancora quattro quadranti in fregio al Lagora, molto inquinati a causa della vicinanza con l’Arsenale. Servirebbe una mappa aggiornata dei sedimenti rossi ancora da asportare, e soprattutto un piano di intervento. Da Calata Paita a Cadimare e a Panigaglia, il “rosso” purtroppo non manca. Mancano le proposte di intervento, e le risorse. Che potrebbero provenire anche dai privati inquinatori. Ora, anche per le bonifiche a mare, le competenze sono passate alla Regione Liguria: anche questo è un suo grande tema di impegno. Va aggiunto che anche a mare le aree militari sono sottratte alla disciplina dei rifiuti e delle bonifiche. Da questo punto di vista l’Arsenale è una terra di nessuno. Si pensi al “campo in ferro” a Cadimare, una discarica di rifiuti di ogni tipo e specie, la cui caratterizzazione fu fatta solo per volontà della magistratura. Ma la bonifica è ferma, in attesa che la finanzi un privato pronto a riconvertire l’area. Va trovata una soluzione anche al problema delle bonifiche a mare: perché è vero che i sedimenti stanno in fondo al mare, ma c’è comunque una fauna che lì vive, e poi basta un nulla -fenomeni meteo marini o navi che toccano il fondo- per far tornare i sedimenti in sospensione.

LE INDAGINI EPIDEMIOLOGICHE
Ho ricordato i risultati del primo studio epidemiologico, quello di fine anni Novanta. Tra i suoi esiti vi fu la realizzazione dell’Osservatorio epidemiologico presso l’Asl (grazie anche al contributo finanziario del Comune), con attività di sorveglianza sistematica. Nel 2002 fu avviato un monitoraggio in continuo dei tumori. I risultati dello studio 2002-2005, consultabili sul sito dell’Asl, ci parlano, in estrema sintesi, di un eccesso di rischio per leucemia in entrambi i sessi e per tumori al sistema centrale nervoso, quest’ultimo più marcato in Val di Magra; per tutti gli altri tumori, compresi quelli pediatrici, i dati sono sovrapponibili a quelli nazionali. Lo studio sulla mortalità oncologica nel periodo 1988-2006 ci dice che la mortalità è inferiore a quella ligure e nazionale per tutti i tumori ed è in calo, a eccezione del tumore al polmone per le donne e di quelli al pancreas e alla pleura e dei linfomi e del melioma multiplo per entrambi i sessi. Solo la mortalità per leucemie presenta un eccesso rispetto ai valori liguri e nazionali a carico delle donne e un aumento in entrambi i sessi. Infine, l’approfondimento sulla mortalità nella V Circoscrizione effettuato dallo studio Sentieri per tutti i siti di interesse nazionale, relativo al periodo 1995-2002 (si veda il mio “Studiare i tumori per risanare l’ambiente” sul Secolo XIX del 15 maggio 2013, ora in www.associazioneculturalemediterraneo.com), non indica eccessi significativi di rischio per questa zona della città. Ora occorre andare avanti, come hanno chiesto i comitati e come si è impegnato a fare il Comune, e anche l’Asl in un convegno del maggio 2013. Non vanno trascurati i risultati degni di attenzione, quelli relativi alle leucemie e ai tumori al sistema centrale nervoso, verificando se gli eccessi perdurano aumentando il periodo di osservazione. Le analisi fin qui condotte andrebbero inoltre integrate con quelle relative ai ricoveri ospedalieri per alcune patologie cardiorespiratorie. Infine: dopo quello che è successo a Vado Ligure -il sequestro della centrale a carbone da parte della magistratura a causa di problemi sanitari e ambientali- la Regione Liguria dovrebbe commissionare uno studio epidemiologico tipo quello effettuato a Taranto, cioè riferito ai diversi quartieri cittadini per un lungo periodo di tempo. A Vado non esiste il monitoraggio sanitario che è attivo nel nostro territorio da tempo, e quindi si dovrebbe cominciare da zero: tuttavia se lì partisse un’indagine sarebbe molto utile parteciparvi, per poter confrontare i dati nostri e loro, con l’obbiettivo di capire meglio di quanto non si sia fatto finora le relazioni tra i fattori inquinanti e le malattie.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Queste note sono solo spunti per una discussione pubblica, che le modifichi, le integri e le arricchisca, con il contributo di istituzioni, associazioni, gruppi di cittadini. Sia sulle bonifiche che sulle indagini epidemiologiche dovrebbe essere la Regione, in virtù delle sue competenze, a istituire tavoli permanenti di confronto che coinvolgano tutti e consentano di “svoltare”. Società civile e istituzioni sono ovviamente realtà distinte, il conflitto non potrà mancare, ma per la portata degli obbiettivi vale la pena provare a fare un percorso insieme. Perché la salute della città è la condizione perché ci sia tutto il resto.

lucidellacitta2011@gmail.com

Post scriptum: le fotografie di oggi, tratte dalla presentazione fotografica multimediale del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia a Cadimare (13 agosto 2013), sono dedicate al “campo in ferro”, dentro l’Arsenale, e all’ex bacino galleggiante, che fino a poco tempo fa deturpava la baia di Cadimare. Quest’ultimo è stato finalmente rimosso dall’Autorità Portuale, mentre il “campo in ferro” è ancora da bonificare. Anche in un bellissimo borgo marinaro lo sviluppo industrialista ha lasciato ferite profonde. Ma qualcosa sta cominciando a cambiare. Prima dell’ex bacino era stato smantellato un cantiere navale nel centro della baia, dove ora ci sono una piazza e una spiaggia. Cadimare, e Spezia tutta, stanno a poco a poco costruendo un nuovo futuro. Ma il vecchio passato va ancora definitivamente sconfitto.

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