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Le tante meraviglie di Rocchetta

a cura di in data 30 Ottobre 2022 – 21:00

Rocchetta Vara, la chiesetta di Bocchignola
(2022) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 9 ottobre 2022

LA CHIESA DI SANTA GIUSTINA E PALAZZO VINCIGUERRA
Salgo a Rocchetta Vara con l’amico Tonino Marcobello – “guida ideale” per la visita di una bellissima zona dell’Alta Val di Vara, come si capirà leggendo l’articolo -– e mi accoglie la parete rosata della cava di diaspro che si impone alla vista di chi raggiunge Rocchetta salendo da Brugnato. L’attività di estrazione mineraria era opera della famiglia Vinciguerra, imprenditori del Settecento protagonisti di una importante trasformazione del paesaggio agrario e dell’economia locale.
A Rocchetta la visita al settecentesco palazzo Vinciguerra è d’obbligo. Ma prima entriamo in chiesa. Ci aspetta l’amico don Mario Perinetti, che ci fa da guida. La chiesa, dedicata a Santa Giustina, doveva essere, originariamente, una cappella del palazzo. Un altro amico, Piero Donati, mi aveva consigliato di ammirare il crocifisso ligneo del XVI secolo, e non sbagliava. E’ sopra l’altare maggiore, forse proviene dalla vecchia parrocchiale, andata distrutta. Ma vanno visti anche il coro ed altre opere.
Saluto don Mario, che va in giro a curare le sue tante parrocchie e strutture sociali, augurandogli di arrivare fino a 129 anni, come Nicolò Vinciguerra, il parroco suo predecessore a Rocchetta, dal 1701 al 1803. Morì mentre stava predicando. Don Mario sorride, mentre mi organizza l’apertura di tutte le altre chiese del Comune lungo la giornata.
Il palazzo Vinciguerra è veramente di notevole interesse. E’ un organismo architettonico complesso, realizzato in più fasi da collocarsi tra i primi decenni del Settecento e i primi dell’Ottocento, su una precedente struttura medievale. Sul livello più basso ci sono cantine e depositi; poi il piano nobile, con i due saloni di rappresentanza; infine la grande cucina e il sottotetto. Nei saloni si intravede l’antico splendore, pur nell’assenza dei mobili, tutti venduti: i decori alle pareti, le pitture. Scene di caccia o di pesca, ambientate nei pascoli della Val di Vara o nelle sponde del Golfo, paesaggi di città e marine della nostra zona. Un’allegoria raffigurante Bacco. E l’ultimo piano con volte incannicciate, assemblate da bravissimi maestri d’ascia. Il palazzo è in parte restaurato, in parte no. Ed è un vero peccato, perché potrebbe diventare un centro culturale e di aggregazione importante. Fabrizio Gavini, consigliere comunale incaricato dal sindaco Roberto Canata a farci da guida, ci spiega il tentativo, andato a vuoto, di finanziare il progetto di restauro con il PNRR, andato a vuoto. Bisogna ritentare.

AMELIO
Mentre saliamo a Beverone mi viene in mente l’ultima che volta che andai lì, sul cocuzzolo di questo bellissimo paese. Ero con Amelio Guerrieri, il comandante “Amelio” di Giustizia e Libertà, uno dei miei più grandi maestri. A Beverone aveva sede la sua Compagnia. I ricordi si affollano. Saliva e fumava, e sbuffava. Già allora vedevamo la crisi della nostra sinistra. Quella della nostra Juve non ancora! Amelio si arrabbierebbe con i responsabili di entrambe le crisi. Perdonate l’accostamento, ma con Amelio era così: erano i suoi due grandi amori. Anche le donne e le carte: era umano! Ma soprattutto, ne sono certo, Amelio sarebbe preoccupato per la pace: “Basta con la guerra nucleare, svegliamoci da questa abulia, battiamoci, domani sarà tardi!”. Lui che ha conosciuto l’orrore della guerra era un uomo di Pace.
Ma ho scritto tante volte di Amelio, voglio far parlare altri. A Beverone ci ha accolto Sergio Antognelli, cultore della storia del paese, autore di due bei libretti. E mi ha parlato subito di Amelio! Non l’ha mai conosciuto, ma ha sempre sentito parlare di lui come di una brava persona, fin da ragazzo. Molto umano, si comportava bene con i paesani. Poi Antognelli ha conosciuto Wilmo e Sergio, partigiani di Valeriano che erano con Amelio e che ogni tanto salivano a Beverone, e li ha intervistati per uno dei suoi libri. Emerge tutto Amelio: il “mito “Amelio, sempre pronto a difendere i deboli, senza mai chiedere nulla per sé. Basta questo per dire cosa dev’essere la sinistra. Non serve aggiungere altro. Sergio (cioè Sergio Ferrari) nell’intervista ha detto di Amelio quello che diceva sempre a me: “Io penso che in quel momento particolare della nostra storia Amelio Guerrieri ce lo abbia mandato il Signore”.
Il capitolo del libro di Antognelli si conclude così: “Amelio, ormai in là con gli anni, tornò in visita a Beverone, era con un’altra persona, si fermarono un po’ di tempo nell’aia al centro del paese con lo sguardo rivolto verso la moltitudine di paesi e città che da lì si possono ammirare, poi salirono sul monte dove c’è la chiesa. Una donna del paese lo riconobbe, sia da frammenti dei loro discorsi fatti a bassa voce, ed anche dal timbro di voce. Avrebbe voluto chiedere se era veramente Amelio, anche se ne era quasi certa, ma preferì non disturbare, e lasciò Amelio con i propri ricordi”. Sarà stato il giorno che era con me? Chissà… La signora avrebbe dovuto chiamarlo, lui sarebbe stato felice. Quel giorno mi raccontò che la domenica, quando non erano in azione, andavano a ballare a Beverone. Insieme alle ragazze e ai russi ballavano il casatschok.

BEVERONE
Della chiesa di Beverone, dedicata a San Giovanni Decollato, si sa poco. Certamente è in una posizione straordinaria, con una vista meravigliosa su Val di Vara e Val di Magra, fino al mare. Il piccolo borgo in “cauzina” è suggestivo. Vi nacque, nel 1871, Tommaso Beverinotti, avvocato, laureato a Pavia, personaggio di una certa importanza in Lunigiana e in Toscana: regio procuratore, deputato toscano… E’ sepolto a Firenze. Sergio Antognelli ha trovato molti documenti. Spero che la ricerca possa proseguire grazie a chi ha altre notizie o è comunque interessato.
Di grande fascino, nei dintorni di Beverone, sono l’oratorio di Sant’Andrea a Forno di Borseda e la chiesetta di Garbugliaga, dedicata a Sant’Anna e a San Remigio.

VEPPO E BOCCHIGNOLA
A Veppo – composto da più frazioni – meritano una visita l’oratorio di Santa Lucia e la chiesa di San Michele Arcangelo. Il palazzo Zucchini-Zannelli, settecentesco, è privato e si può ammirare dall’esterno. Ma la meraviglia di Veppo è l’antica chiesetta di Bocchignola (la vedete nella foto in alto), le cui prime notizie risalgono al 1261. L’attuale presenta ancora una parte della struttura antica.
All’ingresso ci aspettano Silvano Biggeri, il fabbriciere, Ezio Rebecchi e Mario Astraldi. Quest’ultimo è una mia vecchia conoscenza, e mai mi sarei aspettato di trovarlo qui. Ingegnere, andato in pensione, si è trasferito in campagna. Le guide mi spiegano che da Bocchignola parte il sentiero “la via dei morti”, che conduce nello Zerasco, a ulteriore dimostrazione degli storici rapporti tra la Val di Vara e questa parte di Lunigiana. Basta andare una volta alla festa della Madonna del Dragnone, ad esempio, per rendersene conto. Si racconta che a Bocchignola si seppellissero i morti, persino dei paesini dello Zerasco, Bosco e Rossano in particolare. Nella metà degli anni Sessanta, durante gli scavi per la costruzione della strada provinciale Veppo-Calice, che costeggia proprio la chiesetta di Bocchignola, furono rinvenute numerosissime ossa umane proprio a fianco e davanti a essa. Si tramanda pure che, agli inizi del secolo scorso, a seguito dei restauri all’edificio, fossero già venuti alla luce numerose ossa umane. Ora si parla di una nuova campagna di scavi.
Le nostre “guide” ci parlano dello sviluppo turistico a Veppo: bed & breakfast, agriturismi, case vacanza. Astraldi ha ristrutturato una casetta. E’ sempre piena. I turisti, mi spiega, vengono da Paesi stranieri per le Cinque Terre: ci vanno uno, due giorni, poi, spaventati dalla gran confusione, passano tutti gli altri giorni a camminare in campagna e in montagna, salendo all’Alta Via dei Monti Liguri (il passo dei Casoni è il punto più vicino). Ma non c’è solo il turismo, mi dice il sindaco Canata: “A Veppo ci sono giovani che hanno deciso di tornare a vivere in paese, altri che vengono appositamente per mettere su allevamenti e aziende agricole. A Veppo si allevano capre e pecore, si coltiva frutta, ortaggi, mais. In tutto il Comune le aziende di allevamento e/o agricole sono una ventina. Si mantiene quel che c’è e si recuperano anche zone abbandonate. E’ difficile, ma ce la si può fare”.

Rocchetta Vara, il castello di Suvero
(2022) (foto Giorgio Pagano)

SUVERO
A Suvero, qualche giorno dopo, visitiamo la chiesa di San Giovanni Battista, dove si può ammirare, tra l’altro, murato sulla parete sopra l’altare della cripta, un bel bassorilievo marmoreo, datato 1497, che raffigura la Vergine Maria con Gesù bambino tra angeli musicanti. Un’opera molto simile si trova nella chiesa parrocchiale di Fosdinovo e si ritiene che sia della mano dello stesso anonimo artista.
Ma Suvero è tante altre cose. Il borgo cinquecentesco. Il suo splendido panorama, con il monte Dragnone e lo Zignago davanti, e sullo sfondo le montagne dell’Alta Via, dal Gottero al Penna. Il rosso del tramonto, e il rosso delle felci sulle montagne dell’Alta Via sopra Suvero, tra il passo dei Casoni e il passo del Rastrello.
Suvero, inoltre, è il castello cinquecentesco dei Malaspina, che vedete nella foto in basso. Tonino è una guida preziosa anche perché è il marito di Antonella Romani, una delle cinque proprietarie del castello. I Romani ne entrarono in possesso a inizio Ottocento, grazie a un matrimonio. Antonella mi accompagna nei due piani, con cantine e alcune stanze sotterranee, tra cui una grande cisterna circolare per la raccolta dell’acqua piovana. Belli in particolare l’atrio, con lo scalone in pietra, e la sala rotonda al primo piano, con volta a ombrello e camino decorato con grifoni a reggere lo stemma malaspiniano. “C’erano dei passaggi sotterranei – mi spiega Antonella – sotto al giardino, che portavano direttamente alla chiesa. Venivano utilizzati anche come ghiacciaia. Poi sono stati murati”. Nel castello fu realizzata anche la prima scuola del paese, dove insegnò la nonna di Antonella e della sorella Emilia. Gli arredi sono andati per lo più perduti, ma qualcosa è rimasto. “Non è semplice mantenere un castello, ha bisogno di continue attenzioni. Ma lo facciamo anche perché è un simbolo per la comunità”, mi dice Antonella.
In paese c’è un ostello: ma è chiuso, va ristrutturato, mi spiega il sindaco. E’ un’altra priorità, se si punta sul turismo. C’è il Cuccaro, nella pineta sopra Suvero: albergo e ristorante aperto tutto l’anno, attira soprattutto turisti stranieri. E poi, anche qui, bed & breakfast, agriturismi, case vacanza. Suvero si sta riconvertendo: non è più il luogo di “villeggiatura” per gli spezzini, come negli anni Sessanta. Ma comunque gli spezzini vengono ancora.
Il giro prosegue. Vediamo l’oratorio di Santa Maria della Neve, legato al castello. Soprattutto visitiamo stalle e aziende agricole, per capire meglio l’altro “asse” del passato e del futuro di Rocchetta Vara. Facciamo una parte del cammino di “Stalle aperte”, bellissima iniziativa voluta dall’ex sindaco Riccardo Barotti, ripresa quest’anno dopo la pandemia. Un percorso che spazia tra storia, gastronomia e coscienza naturalistica. A Borgo, vicino a Suvero, e al Canale della Bassa, vicino a Fontana Fredda, ci sono le stalle della famiglia Volpi, Raffaele, novant’anni, e il figlio Roberto. Mucche e vitelli. A Goledo le pecore. I Volpi mi spiegano la “psicologia” degli animali. E mi fanno vedere le foto degli animali sventrati dai lupi, la loro grande preoccupazione. La famiglia è anche “custode” del grano bianco di Suvero: un’antica coltura autoctona, un grano molto alto e chiaro. Anche la vite è autoctona, di origine medievale. Mentre visitavo il castello, e assaggiavo il vino vecchio, Tonino controllava in cantina se il vino nuovo “bolliva”. Vorrei tornare sia per la trebbiatura che per la vendemmia. “Lavorare la vite è duro – mi dice Tonino – ma una giornata di sole all’aperto, d’inverno, con questo paesaggio attorno, gli uccelli, gli animali, non ha prezzo”.
Poi saliamo alla Pineta, un’oasi di refrigerio quando è caldo. Vediamo la colonia fondata da padre Dionisio, utilizzata d’estate, presso il “Prato della Signora”. C’è anche un monumento a lui dedicato. Ammiriamo, a Pirolo, una quercia monumentale. Scendiamo verso Fontana Fredda, dove c’è un agriturismo, e poco lontano una casa che fu per qualche mese, durante la Resistenza, sede del Comando della IV Zona operativa. Mi adopererò per una targa.
Qui, al confine, con Zignago, visito un’altra stalla. La gestisce Marina Menini con il marito Maurizio. Ha una novantina di capre e dieci mucche. Anche le capre hanno i nomi, sono affettuose come i cani, mi spiegano. La più vecchia si chiama Tartaruga, rumina male perché ha problemi ai denti. Va quasi imboccata, poverina. Il formaggio è ottimo, assicura Tonino, sia molle che stagionato, e gli credo. Ma purtroppo non è stagione. Inoltre con la pandemia la produzione si è fermata, speriamo che riprenda.

I CASONI
Ai Casoni vado spesso per camminare verso il Rastrello o i monti Civolaro e Compigliolo, e qualche volta per pranzare alla trattoria dei Cacciatori. Questa volta sono voluto andare alla Ghiacciarna. Il crinale dei Casoni è uno dei santuari della lotta di Resistenza. Presso il podere della Ghiacciarna ebbe sede il Battaglione, poi Brigata “Val di Vara” della Colonna Giustizia e Libertà, al comando di Daniele Bucchioni “Dany”. La zona fu teatro di due violenti rastrellamenti nazifascisti, coraggiosamente respinti dai partigiani di “Dany”: quello del 3 agosto 1944 e quello dell’8 ottobre 1944. Nel periodo tra il 20 marzo e il 20 aprile 1945, la Brigata “Val di Vara” provvide al reclutamento di civili per la costruzione di un campo di atterraggio per aerei nella zona di Ghiacciarna. Il campo era lungo 230 metri e largo 100. Sono andato a vederlo com’è oggi: si prestava veramente, “Dany” aveva capacità militari non comuni. Da questi crinali, la Brigata “Val di Vara”, il 21 aprile 1945 scese a valle per liberare Aulla dall’occupazione nazifascista.
Rocchetta è il Comune della Ghiacciarna, dei Casoni, di Beverone, di Fontana Fredda, dei gruppi partigiani formatisi a Suvero e a Veppo, che poi si trasferirono ai Casoni. E’ il Comune in cui caddero molti partigiani: a Garbugliaga, ai Casoni, a Veppo, a Stadomelli. E’ il Comune in cui fu celebrato, a Suvero, il funerale di Ermanno Gindoli, eroe della Resistenza giellista. E’ il Comune in cui ci fu il sostegno morale prima ancora che materiale fornito dalle sue genti ai partigiani: un bene inestimabile, senza il quale i partigiani non ce l’avrebbero mai fatta. Sostegno del mondo contadino, in particolare delle sue donne.
Dedico questo articolo alle donne contadine sostenitrici dei partigiani che ho intervistato per il libro “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona operativa, tra La Spezia e Lunigiana”: Rina Rebecchi di Veppo, Ester Drovandi di Garbugliaga, Alba Franci di Cavanella di Beverino, al confine con Stadomelli, Celeste Maria Ferrari di Forno di Beverone, Maria Ruffini di Garbugliaga, Maria Zelmina Moscatelli di Suvero.
Concludo – non potrei fare altrimenti – con Amelio. Questo è un brano di un suo intervento, scelto per la targa a Beverone:
“La fiducia nel futuro non ci deve mai abbandonare! Altrimenti non avrebbe avuto senso battersi come ci siamo battuti, fino a morire. Soprattutto mi rivolgo ai giovani, ai ragazzi che oggi hanno l’età che allora avevamo noi. Vedete, noi non volevamo solo liberare l’Italia dai nazifascisti impedendo le violenze, i soprusi, le atrocità che infliggevano alla nostra gente. Noi avevamo un sogno: costruire un paese migliore, un mondo dove a ciascun uomo fosse data la possibilità di vivere in Pace, nel pieno rispetto dei valori che devono caratterizzare ogni essere umano. Non è un caso, allora, che questi principi si ritrovino tutti nella nostra amata Costituzione, che perciò dobbiamo considerare come l’aspetto più prezioso della nostra Libertà. Essa è il bene più grande per cui ci siamo battuti”.

Giorgio Pagano

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