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Relazione Introduttiva

RELAZIONE INTRODUTTIVA DI GIORGIO PAGANO ALL’ASSEMBLEA DEI SOCI FONDATORI DI MEDITERRANEO
21 luglio 2008

Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno accettato il mio invito.
Siete 169, siamo 170. Persone di tutti i mondi vitali della città. Davvero tante risorse, tante energie della città: intellettuali, insegnanti, imprenditori, lavoratori, professionisti, manager, persone impegnate nel sindacato, nell’associazionismo, nel volontariato. Anche persone che non lavorano a Spezia, spezzini il cui talento si esprime altrove, e che hanno desiderio di dare una mano alla loro città. E poi un socio fondatore onorario, che voglio ringraziare particolarmente:  Predrag Matvejevic’, uno dei più grandi studiosi mondiali del Mediterraneo.
Il nostro compito, oggi, è discutere e approvare il manifesto programmatico.
Leggiamo insieme l’inizio del testo:

“I promotori dell’associazione Mediterraneo vogliono dar vita ad un luogo di riflessione,di elaborazione e di confronto e offrire alla città un’occasione di impegno e di partecipazione. Mediterraneo è un’associazione di persone di diversa provenienza e con diverse opinioni su molti temi, che credono nella democrazia culturale e cercano di approfondire e far amare valori come la libertà, l’autonomia, la consapevolezza, la tolleranza, la partecipazione, la solidarietà sociale. E’ questo il “minimo comune denominatore condiviso” che accomuna i promotori dell’associazione.
Mediterraneo vuole essere uno strumento di una città civile e libera, che si impegna a fare cultura, a partecipare allo scambio di idee, a cogliere le urgenze dell’attualità, a incontrare e ascoltare i protagonisti della vita culturale italiana, a far crescere un pensiero critico e riflessivo, a formare, d’intesa con scuole e università, le nuove generazioni.
Mediterraneo vuole interessarsi di ciò che ci circonda e cambia insieme a noi: le persone, i fatti, le idee, le cose. Anche della politica, perché c’è bisogno di impegno e di partecipazione nella politica.
La politica senza cultura è condannata ad avere respiro corto: può vivere e crescere solo insieme alla cultura.
I promotori dell’associazione sono uniti da un interesse a un lavoro di ricerca e di elaborazione, a una riflessione culturale “alta”. Solo se la cultura è “alta” potrà essere “ popolare” e “ democratica”, e non elitaria. La cultura dei luoghi comuni e degli schemi precostituiti non giova a nessuno e radicalizza le “banalità”, di cui nessuno ha bisogno.”

Quindi: un luogo di riflessione, di elaborazione, di confronto. Un’occasione di impegno e di partecipazione. Un luogo senza steccati, senza connotazione partitica, con un “minimo comune denominatore condiviso” dal punto di vista dei valori. Vogliamo la democrazia culturale. Vogliamo far crescere un pensiero critico e riflessivo. Vogliamo che riprenda il dibattito delle idee.

Come se la passa, a questo proposito, il nostro Paese? Non troppo bene, direi, come ci testimonia, per esempio, l’ultimo rapporto di Federculture. I titoli dei giornali hanno parlato di “declino culturale” dell’Italia: siamo bassi negli investimenti per la ricerca, valorizziamo poco e male il nostro patrimonio artistico e culturale, e così via. La spesa culturale media di una famiglia italiana, a parità di reddito, è la metà di quella di una famiglia inglese: 6% contro 12%.
Difficile dire se sia la domanda oppure l’offerta a determinare questa differenza. Se cioè sia una classe dirigente incolta a diffidare degli investimenti culturali, oppure se sia una popolazione di bassa istruzione media (tra le più basse d’Europa) a favorire questa dequalificazione così vistosa.
Certo è che la cultura continua in genere a essere considerata un “lusso” e non, come invece è, una risorsa. Risorsa economica e risorsa sociale e civile.
I primi tagli sono sempre alla cultura. Ma il prezzo che hanno la conoscenza, il gusto per la bellezza, il senso critico nessuno può stimarlo in denaro.
Tuttavia esiste in Italia una forte e qualificata domanda di cultura: lo dimostrano il successo di associazioni simili alla nostra, là dove si tenta questa avventura, e quindi anche il nostro successo di stasera; il successo quasi mai atteso di certi libri o film di spessore culturale (il mio pensiero corre a “Gomorra”, che vorrei diventasse una sorta di “Roma città aperta” dei tempi nostri); i piccoli passi avanti del cinema e del teatro; le folle che migrano i festival culturali (all’inizio ero critico, ma poi mi sono ricreduto: sono spesso occasioni di crescita collettiva).
Quindi la cultura non è elitaria, non è per pochi privilegiati: questa è l’idea di cultura che dà la televisione, e che noi vogliamo combattere.
C’è una vasta area di cittadini attivi, competenti, acculturati. Dal declino e dalla frammentazione della società di massa di ceto medio, emerge non solo una società cinica, pigra per aspettative sociali, immersa spesso nell’individualismo amorale e iperconsumista, pervasa dal “privatismo”, termine che preferisco a “individualismo”, perché quest’ultimo ha anche una versione positiva, aperta alle relazioni con gli altri, mentre il “privatismo” aborre la discussione, il rapporto con gli altri. Da questo declino emerge anche una cittadinanza competente, che ha un grado di istruzione superiore e che si informa non solo con la televisione ma anche con i quotidiani, con internet, con la lettura di libri. E’ attualmente -dicono gli studi- poco più di un terzo della popolazione, e può essere l’incubatore di una società competente.
Quel che c’è da fare ci è chiaro: capitale umano, istruzione, capitale sociale, competenze, senso civico, una cultura e un’informazione che favoriscano le capacità decisionali dell’individuo.
Comunque non si parte da zero: quando consideriamo questa parte di società (un terzo) dotata di istruzione e di informazione, ci accorgiamo che ciò che molti pensano sia stato un fallimento -il nostro sistema scolastico superiore e universitario- in realtà ha rappresentato un significativo passo avanti per una parte consistente di cittadini. Questo è un fatto su cui confidare per il futuro, al di là delle tante difficoltà che oggi hanno la scuola e l’università italiane (come molti insegnanti mi hanno voluto dire nei colloqui dei giorni scorsi). E che ci impegna a lavorare -tornerò su questo- per supportare la scuola.

Quindi è chiaro a chi ci rivolgiamo: a questo terzo della popolazione, ma anche a tutti gli altri. Soprattutto ai giovani. A una domanda che già c’è e a una domanda potenziale, per alimentarla affinché diventi domanda reale.

Con quali iniziative? Con iniziative “ alte” e “di qualità”, quindi “popolari” e “democratiche” e “non elitarie”: convegni, seminari, tavole rotonde, presentazioni di libri, ma anche -perché no?- manifestazioni artistiche, cinematografiche, teatrali…E con un’attività formativa: da fare con le scuole, nelle scuole, anche per dare loro un aiuto in un momento non facile; e da fare in collaborazione con tutti coloro che si occupano di educazione degli adulti.

Oggi, se ci si ferma alla superficie, si può avere l’impressione che lo schiacciamento sul tempo presente (gli studiosi usano termini come “assedio del presente” e “presentizzazione”) e il gusto per l’evento spettacolarizzato chiudano gli spazi a una riflessione più  pacata e approfondita, a interrogativi e ragionamenti complessi, alla problematizzazione delle idee. La dominanza del discorso mediatico altera e impoverisce il respiro e il ritmo del pensiero e quindi svilisce la cultura, schiaccia gli interrogativi dentro il  tempo presente, spinge la produzione delle idee verso la superficialità e la transitorietà.  La vita culturale sembra aver imboccato una inesorabile biforcazione: da un lato uno specialismo sempre più esasperato e dall’altro l’evento spettacolarizzato.
Eppure, se si guarda più in profondità, si può cogliere quanto larga sia la domanda di riflessioni pacate e approfondite e quanto diffuso sia il bisogno di rimettere in circolo il pensiero critico. C’è una domanda, che non trova luoghi dove indirizzarsi e canali per esprimersi, di ricerca e di dibattito che fuoriescano dalla logica della banalità.
Ecco, noi nasciamo per questo, per cercare di incontrare questa domanda e per alimentarla.
Certo, non sarà facile. E non tutto, anzi pochissimo, dipenderà da noi.
Ma io credo nella politica dei granelli di sabbia: altrimenti non mi sarei impegnato nel campo della cooperazione allo sviluppo…
Non sarà facile anche perché -vi dico molto schematicamente come la penso- con il crollo del muro di Berlino c’è stata la crisi non solo delle idee dei vinti ma anche delle idee dei vincitori, e ne sono originati pragmatismo e frammentismo. Da qui l’assenza o la povertà della  cultura politica e del dibattito intorno a ideali e visioni di vita.
Per citare un grande intellettuale del Novecento, Johan Huizinga: ogni cultura “presuppone il tendere verso una meta. Cultura vuol dire orientamento, e questo orientamento è sempre teso a un ideale, il quale è più che l’ideale di un individuo: è l’ideale di una comunità.”
Quindi nel pragmatismo non c’è cultura, perché il pragmatismo non si orienta verso una meta.
Oltre il pragmatismo che cosa c’è nella cultura odierna?
C’è la cultura del mercato, del liberismo, della tecnoeconomia. E’ un’ideologia che non se la passa tanto bene:  è messa in discussione e criticata anche da tanti suoi sostenitori di un tempo…Oltre a leggere i libri e i saggi di critica al liberismo, da Reich e Stiglitz in America a Rossi e Ruffolo in Italia, bisogna leggere le cronache del forum di Davos, o le parole di Marchionne…Ritorna il grande tema della regolazione del mercato, del rapporto politica-economia, democrazia-economia, del rapporto crescita senza regole-disuguaglianze sociali, crescita senza regole-distruzione della natura, crescita senza regole-dramma del sud del mondo.
E poi ci sono le fedi religiose, anzi il ritorno delle fedi. Un ritorno che è frutto della forza delle religioni ma anche del fallimento di quel progetto umano che era inscritto nel pensiero dell’Illuminismo e che intendeva dare un senso alla storia, qui in questo mondo. L’esasperazione di quel concetto nel comunismo, più che nel marxismo che è filosofia molto più complessa, lo ha sfigurato degenerandolo in totalitarismo. Il ritorno delle fedi ha a che fare anche con questo, oltre che a essere motivato dalla loro forza intrinseca, dalla loro vitalità spirituale e morale.
Qui c’è il tema della critica a quando una religione si presenta come cultura fondamentalista e dogmatica, e di come coniugare, per il bene dell’uomo, una ispirazione religiosa non fondamentalista e dogmatica e una ragione non totalizzante, una religione e una ragione disponibili entrambe ad apprendere e ad autolimitarsi, come ebbero a dire l’allora cardinale Ratzinger e il filosofo Habermas.
Qui emerge un altro importante punto di discussione: quali idee fondate sulla ragione? Restiamo in Italia: la tradizione risorgimentale, quella liberale, quella marxista sono remote o ripudiate o occultate…Però c’è chi riannoda i fili, chi semina con pazienza, chi cerca strade nuove… Dovremo seguire questa riflessione, e stimolare il dialogo tra tutte le culture, che hanno un nemico comune: il pragmatismo senza mete e ideali.
Riprendo ora la lettura del testo del manifesto programmatico:
“ L’associazione vuole impegnarsi per contribuire alla riflessione su alcuni grandi temi: una crescita economica che riduca le disuguaglianze sociali e non sia meramente quantitativa; le questioni dell’ambiente e del paesaggio, che impongono cambiamenti profondi al modo di vivere e di produrre;  il rapporto tra il lavoro e l’impresa, due mondi che cambiano al loro interno e che sono sempre più interdipendenti;  l’integrazione tra l’etica della sicurezza e dell’ordine civile e l’etica dell’ospitalità e dell’accoglienza responsabile; la costruzione della società della conoscenza e della cultura, obbiettivo indispensabile per la ricchezza sia civile che economica;  un rapporto tra religioni e politica fondato su un concetto di laicità  in cui anche le religioni siano chiamate a dare il loro contributo alla vita sociale; il superamento delle patologie delle città e la loro riqualificazione urbana, ambientale e sociale; la promozione della partecipazione e della trasparenza nelle istituzioni e nelle forze politiche e sociali.
Tali temi sono attraversati dalle problematiche di genere, delle quali l’associazione intende farsi interprete con studi e iniziative finalizzati a far crescere il rispetto delle differenze e a valorizzare l’intelligenza e il lavoro femminili.”
Altri filoni di pensiero, altri grandi temi potranno ovviamente essere individuati: questi sono quelli emersi nei miei colloqui con ciascuno di voi.
Concludo la lettura del testo del manifesto:
“ Mediterraneo vuole dare un contributo di idee perché la Liguria e La Spezia crescano e siano sempre più forti , facendo leva non solo sulle loro risorse tradizionali, che vanno innovate ,ma anche e soprattutto su un ambiente naturale unico e su una collocazione geografica strategica, perché al centro di un Mediterraneo nuovamente strategico: crocevia mondiale del nuovo secolo, con potenzialità straordinarie nei servizi, nel traffico delle merci, nella logistica, nel turismo,  nella difesa e valorizzazione dell’ambiente, nelle rotte dell’energia.
Il Mediterraneo possiede una speciale vocazione ad assimilare, a fondere, a non elevare muraglie, a essere ponte. E’ il mare del meticciato, della mescolanza di religioni, culture, etnie,  civiltà. L’associazione vuole impegnarsi, aiutata dallo “spirito del Mediterraneo”, per le alleanze tra le culture e le civiltà, per la pace e la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, per il dialogo tra i popoli; ed è interessata a contribuire ad un lavoro di ricerca e di confronto che consenta alla città di essere un centro originale di dibattito e di riflessione sui temi  della globalizzazione, della Comunità Euromediterranea, dei rapporti tra tutti i popoli che vivono sulle sponde del Mediterraneo, tra Europa e Asia e tra Europa e Africa.”
Si capisce così il nome dell’associazione: Mediterraneo.
Un nome carico di storia, ma quanto mai attuale: è nata l’Unione per il Mediterraneo (UpM), l’associazione tra i Paesi europei e quelli che si affacciano sul nostro mare. Una grande idea si è messa in moto.
L’Italia è il Paese mediterraneo per eccellenza, eppure Governo e Parlamento sono stati disattenti. Siamo privi da tempo, del resto, di una visione mediterranea coerente. Ma l’Italia non può  lasciarsi sfuggire l’occasione che l’UpM  ci offre in termini economici, politici, culturali.
Il Mediterraneo è una chiave di lettura per capire le sfide che ci attendono: il “mare nostrum” sta diventando il nuovo crocevia mondiale e l’Italia può diventarne il perno. Dal Mediterraneo passa il 15% dei traffici marittimi globali, grazie alla rinata centralità di Suez e alla crescita impetuosa delle economie orientali. Ciò richiede grandi investimenti: porti, logistica, intermodalità, realizzazione di corridoi nord-sud che si leghino ai corridoi est-ovest progettati dall’Unione europea, energia, ambiente, sicurezza. Il futuro dell’Italia, della Liguria, di Spezia passa dal Mediterraneo: ecco perché il nome è giusto.
Ma la questione non è solo economica, è soprattutto politica e culturale. L’Italia ha davanti due alternative: considerare il Mediterraneo la frontiera meridionale dell’Europa, sulla quale attestarsi per difendersi dai flussi migratori e dal terrorismo; oppure pensarlo come una nuova area di pace e  di cooperazione. L’Italia è forte e sicura se è parte e centro di quest’area. E’ debole e insicura se il Mediterraneo è solo una faglia tra civiltà. E ciò vale anche per l’Europa.
La sfida è far sì che il Mediterraneo sia il luogo dove si incontrano Europa e Islam, dove dialogano le culture e le religioni. Il Mediterraneo possiede una speciale vocazione a assimilare, a fondere, a non elevare muri. È stato il mare della mescolanza. Poi, però, è cominciata la convivenza impossibile tra le civiltà religiose: qui c’è stata una mutazione profonda. Ma non dobbiamo considerare conclusa la storia del Mediterraneo. Il suo “spirito” deve aiutarci a trovare risposte: per sottrarre i giovani musulmani ai predicatori d’odio, per costruire due Stati in Palestina, per preservare dal ritorno della guerra civile il Libano delle 18 religioni, per riunificate Cipro, per portare a successo l’esperimento di convivenza della Bosnia. Senza una pace stabile anche i commerci non si sviluppano. E’ davvero il momento di agire e di costruire. Perché il futuro dell’Europa è a Sud, e il futuro dell’Africa è a Nord. Perché è attraverso il Mediterraneo che l’Europa e l’Africa potranno unirsi e tendere la mano all’Oriente e pesare sul futuro del mondo. Malgrado tutto, le alleanze non sono impossibili, così come gli scontri non sono inevitabili. Ma per le alleanze tra le culture e le civiltà non bisogna saltare il punto fondamentale: esse non possono significare l’inserimento coatto in un modello dominante, quello dell’espansione illimitata e dello sviluppo insostenibile. Combattiamo l’integralismo e il fondamentalismo altrui se decostruiamo l’integralismo e il fondamentalismo del neoliberismo, la religione del possesso e del consumo. Se pensiamo a una globalizzazione più giusta. Anche l’UpM, se vogliamo che viva davvero, ci spinge a farlo.
E Spezia, città del Mediterraneo, deve diventare un centro di riflessione e di dibattito su questi temi.
Ecco, ho concluso. Comincia oggi una bella avventura. Ambiziosa, certo. Ma guai a non essere ambiziosi, a non avere una meta. Metterò in questa avventura tutta la passione di cui sono capace. Ma avrò bisogno del vostro aiuto.
Ci sarà un comitato direttivo: propongo di non eleggerlo oggi, ma più in là, comunque entro l’anno. Bisogna capire bene le disponibilità, non deve essere un organo solo rappresentativo. Nella fase di  transizione propongo di essere affiancato da due consiglieri: Renato Goretta e Gianluca Solfaroli, due persone capaci, di prestigio e di esperienza.
Ma non basta un comitato direttivo. Bisogna impegnare tutti i soci, anche se non sarà facile. L’assemblea deve funzionare come momento di programmazione e di indirizzo. Poi ci saranno responsabilità specifiche. Per esempio ci sarà chi si occuperà di tutto ciò che riguarda la comunicazione, chi delle risorse economiche, e così via. Penso poi a gruppi di lavoro, finalizzati a preparare una iniziativa o un convegno, a lavorare nelle scuole con insegnanti e ragazzi, a predisporre documenti di analisi e di proposta, magari legati alla realtà locale…
Quindi nel nostro lavoro c’è anche la dimensione locale, è inevitabile: oggi tutto è globale ma tutto, in fondo, è anche locale. Viviamo nel mondo globale ma il perno della nostra vita è la dimensione locale nella quale siamo inseriti. Ecco perché ci occuperemo anche di Spezia e della Liguria.
Avete sentito come ho insistito sull’attività formativa: per me deve essere un punto caratterizzante, soprattutto verso le nuove generazioni. Una buona formazione culturale non rappresenta soltanto la via per la costruzione di un’identità morale e intellettuale della singola persona. E’ interesse della sfera pubblica che ci sia questa formazione, che i membri della comunità siano educati alle virtù civiche. La scuola e l’università, dunque, sono centrali, e il mestiere di insegnante è decisivo. Noi dobbiamo, nel nostro piccolo,  cercare di dare una mano. Il discorso dell’istruzione è tanto importante perché la posta in gioco è “in che genere di mondo si troveranno a crescere i nostri figli”.
Altri punti del nostro lavoro: il rapporto con associazioni similari esistenti sul territorio nazionale, per fare rete, stipulare convenzioni, non essere “isolati”; il rapporto di collaborazione con tutte le associazioni della città, facilitato dal fatto che  tanti loro esponenti sono nostri soci; il rapporto con le istituzioni e la politica: un rapporto chiaro e trasparente, di collaborazione nella distinzione e nella reciproca autonomia. Spero che si riesca a collaborare e a comunicare. Del resto la sostanza ideale e culturale è contenuto della politica, almeno quanto i programmi di governo. Non basta, in politica, essere “concreti”, bisogna anche essere ”astratti”. La politica non è solo tecnica, razionalismo, deve vedere tutto il contorno, che è culturale: idee, speranze, paure, tradizioni…
Ora dobbiamo confrontarci tra noi e cominciare a lavorare. Da parte vostra deve esserci impegno a partecipare, da parte mia e di chi mi affiancherà nei ruoli direttivi deve esserci un impegno a ricercare la vostra partecipazione. Se faremo questo patto tra noi ci scopriremo capaci di progettare  e fare cultura in modo positivo, fecondo e, credo, persino divertente.

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