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Gli anni Sessanta ad Ameglia – Prima parte

a cura di in data 3 Dicembre 2022 – 08:20

Ameglia, ponte della Colombiera – Inaugurazione con i lavoratori edili dell’impresa Edilstrade – 1960
foto archivio Maracci

BOCCA DI MAGRA TRA NEOREALISMO E BOOM ECONOMICO
L’articolo di Lucio Fontana sulle dimore degli intellettuali a Bocca di Magra, pubblicato sui numeri di “Ameglia Informa” di settembre e ottobre 2022, è di notevole interesse e stimola a riprendere la riflessione sui cruciali anni Sessanta nel territorio amegliese e della foce del Magra.
Così Piero Conti Gadda lo descriveva nel 1951:
“La foce di questo fiume è il confine paesistico tra Liguria e Toscana: di là oliveti scabri e nude rocce, di qua
teneri canneti e campi di pianura, e lunghe, finissime spiagge. Forse in nessun altro punto della nostra incomparabile Italia la varietà, e lo stacco, dei lineamenti terrestri sono cosi impressionanti”[1].
Ma erano già in atto trasformazioni profonde, che si svilupperanno negli anni successivi: il forte calo dell’agricoltura e la crescita dell’industria anche lungo il corso inferiore del Magra. Sorsero i cantieri navali, aumentò grandemente l’estrazione di ghiaia, così come l’estrazione di acqua. Gli impatti sull’ambiente, sul paesaggio tradizionale e sugli habitat naturali furono enormi: riduzione dell’alveo del fiume, diminuzione dei depositi alluvionali ed erosione costiera, intrusione di acqua salata, abbassamento delle acque sotterranee. Nel contempo prendeva campo l’urbanizzazione indotta dal turismo, sul modello Versilia, a suo modo seguito anche a Lerici.
Bocca di Magra continuava, come nel primo dopoguerra, ad attrarre una domanda turistica elitaria e limitata grazie alla presenza di intellettuali illustri, conservando così le sue caratteristiche originarie a eccezione della costruzione di un nuovo quartiere residenziale in zona La Ferrara, a una certa distanza dal fiume. Diversamente, sull’altro lato del fiume, lo sviluppo del turismo borghese a Fiumaretta portò alla costruzione di numerosi alberghi e di un gran numero di seconde case, che riempirono a poco a poco i vuoti della piana.
Un punto di svolta fu il 1960, quando venne inaugurato, nel luglio, il ponte della Colombiera, realizzato dopo un lungo dibattito. Bocca di Magra e Fiumaretta, fino ad allora due luoghi diversi e lontani, collegati solo dalle barche – Vittorio sereni, nella poesia, “Il ritorno”, nomina il barcaiolo Duilio, che traghettava la gente dall’una all’altra riva – furono unite come mai prima. Il ponte fu accolto molto favorevolmente dal Comune di Ameglia, nel nome dello sviluppo turistico. La sua costruzione favorì gli insediamenti urbani in tutta la piana del Magra: case, negozi, piccole industrie. A poco a poco un vecchio mondo veniva meno[2].
Fontana ha ricordato il Piano regolatore presentato nel 1962 dall’architetto Giancarlo De Carlo, lo scontro con i progetti della società immobiliare romana Condotte, che stava comprando molti terreni, e l’aspro confronto tra gli intellettuali riuniti nella “Società degli amici di Bocca di Magra”, fondata nel 1961, e i cittadini amegliesi.
Il consiglio direttivo della Società era formato da Giulio Einaudi, Luigi Biso, Nicola Chiaromonte, Franco Fortini, Giorgio Piccardi, Vittorio Sereni, Hans Deichmann, Vittorio Korach, rappresentanti di circa ottanta membri.

Ameglia, Punta Bianca
(foto Giorgio Pagano)

Il libro del 2019 di Silvia Sereni, figlia del poeta Vittorio, ci aiuta a comprendere le trasformazioni nella Bocca di Magra degli anni Sessanta:
“’Il posto in cui eravamo capitati’ scriveva mio padre parlando di Bocca di Magra ‘sapeva di America povera e di cinema neorealista… faceva molto cortili e pergole di Milano ai tempi della liberazione’. Di quella Bocca di Magra ho un ricordo molto vago. Le luci e la musica che venivano di sera dalla balera di Fiumaretta, la spiaggia libera a due passi dalla casetta di pescatori dove stavamo agli inizi, la bambola di pezza che mio padre mi aveva comprato a una bancarella. Negli anni successivi molte cose sono cambiate. Niente più balli su palafitte di legno sull’acqua, sostituiti da ritrovi su terrazze con canzoni di jukebox come colonna sonora, meno America povera e più manifestazioni tipiche del boom economico. E ancora più case lungo il fiume…  […] Ripensandoci ora, a distanza di tanto tempo, mi sembra di poter affermare che a legare le persone dell’ambiente culturale di cui mio padre faceva parte era un’amicizia, o una vicinanza, fatta non solo di affinità di abitudini, di simpatia umana, di opportunità, di tratti comuni, ma anche di condivisione di idee, di visioni, di desiderio di progettare un futuro non soltanto individuale. Era una generazione di uomini e donne fra i trenta e i quarant’anni appena uscita dalla guerra che pensava a come costruire un mondo migliore”[3].
Il punto di appoggio “locale” era il citato Luigi Biso detto “Gigino”, primario d’ospedale: “apparteneva alla categoria temo quasi estinta dei borghesi provvisti di una visione che trascenda gli interessi della propria classe sociale e quindi capaci di pensare in termini di benessere comune”[4].
Era a casa sua, nella villa detta “degli Olivi”, che si riunivano gli “amici di Bocca di Magra”. “Non oso immaginare – scrive Silvia Sereni – cosa direbbero oggi Gigino e tutti quanti vedendo come la cementificazione, a dispetto dei loro sforzi, è riuscita a vincere”[5].
Ma un poco, come vedremo, dovevano aver fatto in tempo a rendersene conto.

Giorgio Pagano

[1] Piero Conti Gadda, “Il Golfo dei poeti”, in “Le Vie d’Italia 5”, 1951, p. 566.
[2] Un’efficace ricostruzione di questi processi è nell’articolo di Elisa Tizzoni “The Breakthrough of Tourism in a Rurbanised Area. Territorial Changes and Conflcts in the Val di Magra (1945–1975)”, in “Jahrbuch für Geschichte des ländlichen Raumes 17, 2020, pp. 94–115.
[3] Silvia sereni, “Un mondo migliore. Ritratti”, Bompiani, Milano, pp. 11-14.
[4] Ivi, p. 82.
[5] Ibidem.

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