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Don Sandro Lagomarsini, un saggio scomodo (terza parte)

a cura di in data 16 Marzo 2022 – 22:31

Varese Ligure, doposcuola di Càssego – 1968 – foto Fiorenzo Ledda – archivio don Lagomarsini

Ameglia Informa 1° febbraio 2022

IL DOPOSCUOLA, “UN PROGETTO DI RIFORMA DELLA SCUOLA DAL BASSO E DAL DI DENTRO” (terza parte)

Dopo la cacciata dal Seminario di Sarzana don Sandro Lagomarsini si trasferì definitivamente a Càssego di Varese Ligure: “Nel luglio 1968 iniziai il doposcuola a Càssego, con l’aiuto del sarzanese Cesare Bernardini e di alcuni amici genovesi, tra cui Luciano Trucco. Abbiamo aiutato prima alcuni rimandati a settem­bre, poi abbiamo preparato i giovani alla licenza media, necessaria per andare a lavorare in ferro­via, nell’autostrada, negli ospedali. C’erano ragazzi in difficoltà, e ragazzi, soprattutto ragazze, ai quali i genitori non avevano voluto far fare gli studi. Li facevano bocciare perché potessero subito lavorare. Mi dicevano: ‘Vuoi coltivare le banane a Càssego?’, oppure: ‘Vuoi raddrizzare le gambe a quelli?’. Mi aiutava la maestra di Varese Ligure, Linda Merciari. Frequente la collaborazione di Pietro Lazagna e della moglie Carla.
Ebbi qualche discussione sulla scuola con Ferdinando Camon e scambi culturali continui con Franco Fortini. Partecipai, come doposcuola, a un progetto editoriale assieme all’antropologa Annabella Rossi e al fotografo Italo Zannier. Dal 1970 la collaborazione con il maestro Mario Lodi fu costan­te.”[1]
Mi dice Andrea Ranieri:
“A Càssego don Sandro impostò la sua vita per esercitare la sua fede. Costruì un doposcuola ispirato a don Milani. In quel luogo andarono tanti uomini e donne di cultura. Lui usava gli stessi metodi di don Milani: li faceva interrogare dai ragazzi, erano loro che decidevano se erano stati bravi o meno”.
Fu davvero un’esperienza di notevole spessore.
Leggiamo la testimonianza di un collaboratore, Cesare Bernardini:
“Il nostro approccio iniziale era un po’ spensierato. Davo una mano in tutti i sensi: gestivo i ra­gazzi, preparavo da mangiare. Poi cominciammo ad usare molto la pedagogia di apprendimento dell’esperienza. Studiavamo don Milani e la pedagogia attiva e popolare di Célestin Freinet: testo e disegno libero, corrispondenza interscolastica, giornale degli studenti, lavoro cooperativo.
Fin dall’inizio usammo molto il cinema, una volta alla settimana. Iniziammo con Chaplin. Al mattino leggevamo i giornali, al pomeriggio li commentavamo.
Nel 1970 conoscemmo Mario Lodi, che aveva appena pubblicato ‘Il paese sbagliato’, il diario di un’esperienza didattica molto vicina alla nostra, incentrata sulla creatività espressiva del bambino”.[2]
Diamo ora la voce agli alunni di allora. Mauro Semenza fu il primo:
“Quella del doposcuola fu un’esperienza davvero interessante. Mi piaceva matematica. Ho studiato il francese, e ho imparato a scrivere meglio in italiano. Don Sandro ci ha portati anche all’Univer­sità di Pisa. Al ritorno ci fermavamo a mangiare a casa di sua madre, ad Ameglia. È un’esperienza che ha cambiato la mia vita. Se non avessi incontrato don Sandro non ce l’avrei fatta. Studiavamo i temi dell’oggi e del domani. Ce ne fossero di quei preti!”[3]

Varese Ligure, doposcuola di Càssego – 1971 – foto Fiorenzo Ledda – archivio don Lagomarsini

Mirella De Paoli aveva fatto la prima media a Varese:
“A Varese c’erano due classi: una per quelli di Varese, una per quelli della campagna. Eravamo emarginati…
Poi dovetti lasciare: occorreva forza lavoro a casa, per l’osteria-bottega di alimentari die miei genitori, che d’estate diventava anche locanda. Mio padre diceva sempre: ‘Le donne si sposano e non hanno bi­sogno di studiare’. Nel 1969 i ragazzi che frequentavano il doposcuola erano già venticinque. Riuscii a strappare il sì di mio padre per la licenza media.
Feci il tempo pieno, mattina e pomeriggio, nel 1969 e nel 1970. Alla mattina leggevamo i giornali le prime due ore, poi facevamo le materie. Leggevamo gli stessi argomenti su due testate diverse, quindi si apriva un dibattito. Andammo anche a teatro, allo Stabile di Genova per ‘Madre Coura­ge’ di Brecht, con Lina Volonghi. Per me era la prima volta, sia a teatro che a Genova. Tra ragazze e ragazzi c’era un buon rapporto. Mangiavamo assieme e facevamo i lavori a turno. Alla sera con un vecchio pullmino don Sandro portava tutti a casa. All’esame fui promossa con ottimo.
Nel 1970 facemmo la manifestazione a Varese contro le bocciature. Eravamo in quattordici, con i cartelli, il giorno di mercato. La gente ci guardava stupita”.[4]
Il doposcuola, in quarant’anni, è stato frequentato da alcune centinaia di ragazzi e di giovani. La “storia di Sergio”[5] e la “storia di Antonio”[6] sono tra le più belle che mi sia mai capitato di raccontare. Le ho commentate con le parole usate tante volte da don Sandro: “Che cosa si può tirar fuori dai ragazzi!”
Non poteva essere che don Sandro a celebrare il funerale di Mario Lodi il 4 marzo 2014 nella chiesa di Drizzona, dove il maestro aveva creato la Casa delle Arti e del Gioco. Il prete amegliese disse:
“C’è un episodio del Vangelo che è, per me, il modello per il lavoro di ogni maestro, di ogni educatore. Gesù viene chiamato per guarire una bambina gravemente malata, ma gli adulti, con le loro urgen­ze, lo intralciano. Quando Gesù arriva, la bambina è già morta, è entrata nel numero degli irrecu­perabili, dei perduti. Gesù dice che sta dormendo e, dopo averla avvicinata in presenza dei genitori e di tre discepoli, pronuncia solo due parole: ‘Talità, kum!’. Non si tratta di una formula magica, perché significa semplicemente: ‘Bambina, alzati!’. Ma Gesù ha usato il dialetto della bambina e si è messo talmente in sintonia con la sua realtà profonda, da riportarla alla vita”.[7]

Giorgio Pagano

[1] Giorgio Pagano, Maria Cristina Mirabello, “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, Volume primo, Edizioni Cinque Terre, La Spezia, 2019, p. 508.
[2] Ivi, p. 509.
[3] Ivi, p. 511.
[4] Ibidem.
[5] Ivi, pp. 512-513.
[6] Ivi, p. 514.
[7] In archivio don Lagomarsini.

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