Presentazione alla Spezia di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Venerdì 5 aprile ore 17 alla Biblioteca Civica Arzelà di Ponzano Magra
28 Marzo 2024 – 08:58

Presentazione alla Spezia di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiVenerdì 5 aprile ore 17Biblioteca Civica Arzelà – PONZANO MAGRA
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“Fulmine” contro il “fascismo eterno”

a cura di in data 20 Aprile 2019 – 09:25
Fulmine -ultimo a destra- e altri partigiani del Battaglione Val di Vara a Borseda di Calice (primavera 1944) (foto Daniele Bucchioni - archivio Domenichini)

“Fulmine” -ultimo a destra- e altri partigiani del Battaglione Val di Vara a Borseda di Calice (primavera 1944)
(foto Daniele Bucchioni – archivio Domenichini)

Città della Spezia, 14 aprile 2019 – “Mi chiedo cosa abbiamo lasciato. E se tutto ciò non fosse servito a nulla? Se tutti quelli che abbiamo sepolto uscissero dalle loro tombe, ora in questo momento, e vedessero in che mondo viviamo, probabilmente ci verrebbero a prendere nei nostri comodi letti, a domandarci come sia possibile che oggi questo nostro mondo sia ritornato a vivere barriere che credevamo fossero irripetibili. Sembra che gli orrori vissuti siano stati riposti in un cassetto, abbandonati tra le righe di una vecchia enciclopedia di cui nessuno si cura più”. Sono le parole di Ciro Domenichini “Fulmine”, partigiano di Follo, nelle pagine finali del libro “Fulmine è oltre il ponte”, scritto dal nipote William. Le parole malinconiche di un vecchio che ha quasi 97 anni.
Il libro è un romanzo storico sulle vicende di un giovane militare sbandato l’8 settembre 1943, poi partigiano del “Battaglione Val di Vara” della Colonna “Giustizia e Libertà”. Un romanzo che si fonda su fatti realmente accaduti, e che intreccia documentazione storica e capacità di invenzione letteraria. Dove ci sono i “personaggi”, come in ogni romanzo che si rispetti. Così come c’è il paesaggio, il bellissimo paesaggio delle nostre terre.
E’ un libro che consiglio ai ragazzi di oggi, per i quali è sempre più difficile conoscere le trame di un passato così lontano.


William e Ciro Domenichini Fulmine (2017) (foto archivio Domenichini)

William e Ciro Domenichini “Fulmine”
(2017) (foto archivio Domenichini)

E’ difficile anche perché la Resistenza è vissuta da una parte del mondo politico all’insegna delle contrapposizioni strumentali. Salvini non parteciperà alle manifestazioni del 25 aprile, Di Maio sì. Ma non dovrebbe essere ovvio, per tutti coloro che hanno responsabilità istituzionali, celebrare la festa che segna la riconquista della libertà e della pace, la fine della dittatura e della guerra, la ricostruzione del Paese? E’ una storia comune, è la storia della grande maggioranza degli italiani. Che non annulla le differenze e i contrasti politici: sono il sale della democrazia, ma solo se vissuti entro una cornice condivisa di valori fondanti.

Che messaggio si dà, con queste contrapposizioni, ai ragazzi di oggi? Che cosa diventa la nostra Repubblica senza il riferimento a questi valori fondanti? Diventa una Repubblica senza valori, perché altri che possano sostituirli semplicemente non ce ne sono.
In questo contesto il modo più efficace per restituire ai ragazzi l’eredità della Resistenza è quello di raccontare le storie. Le storie delle persone, delle donne e degli uomini semplici, di tutti coloro che fecero la “scelta morale” e si assunsero una responsabilità, nel nome della solidarietà umanitaria, dell’odio contro la guerra e dell’aspirazione alla giustizia sociale. Le storie di ragazzi come Ciro Domenichini.

Subito dopo l’8 settembre 1943 Ciro è vicino al Brennero. La frase del suo superiore, il Maggiore, lo sorprende e lo fa riflettere:

Ci hanno abituati a non pensare. A credere, obbedire e combattere. D’ora innanzi occorre ragionare con la propria testa”.

Ciro e un militare di Parma riescono a dismettere la divisa e a vestirsi con abiti civili, grazie all’aiuto di una donna, per poi raggiungere a piedi la città emiliana, dove le strade dei due si dividono. L’amico di Parma lo abbraccia e gli dice:

Il fascismo è caduto, dopo questo armistizio le cose cambieranno ancora e probabilmente starà a noi dove fare delle scelte”.

Ciro cerca ancora di capire. Poi riesce a tornare a Follo. Qui incontra il parroco, don Carlo Borelli. Anche lui lo fa riflettere:

Dobbiamo avere il coraggio di dire […] che l’obbedienza non è ormai una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, di non credere di potersene fare scudo, né davanti agli uomini, né davanti a Dio. Bisogna sentirsi, ognuno di noi, responsabile di ciò che accade”.

La “scelta” Ciro la farà insieme ai fratelli, all’amico Giuliano Ratti e a tanti altri amici di infanzia di Follo. Il gruppo di giovani comincia con il trafugare le armi abbandonate da un reparto di alpini nascondendole tra i boschi, senza ancora un “disegno” preciso. Inizia così l’organizzazione clandestina, e la lotta, guidata dal Comandante Daniele Bucchioni “Dany”: i sabotaggi, i travestimenti, i rastrellamenti, i combattimenti, gli agguati… Con l’aiuto decisivo delle contadine e dei contadini del Calicese. Fino all’epica liberazione di Aulla, il 25 aprile 1945.
Di fronte al fascismo che ritorna -anzi, che c’è sempre stato, come diceva Umberto Eco parlando di “fascismo eterno”- l’antifascismo deve tornare a produrre empatia, a far ragionare ed insieme emozionare, a cambiare linguaggi, ad assumere la trasmissione della memoria come impegno, “scelta” e responsabilità del presente. Iniziamo a farlo già il prossimo 25 aprile. Il libro di William Domenichini ci è di aiuto.

lucidellacitta2011@gmail.com

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