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24 marzo 1945, storia di un eccidio mai raccontato

a cura di in data 30 Marzo 2019 – 10:54
Villa di Pignone, lapide ai caduti dell'eccidio del 24 marzo 1945 (2018) (foto Giorgio Pagano)

Villa di Pignone, lapide ai caduti dell’eccidio del 24 marzo 1945
(2018) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 24 marzo 2019 – E. B. aveva undici anni, I. R. sei anni. Ma non hanno mai dimenticato l’orrore di quel giorno: un eccidio di cui non c’è traccia in nessun libro di storia. Era il 24 marzo 1945, settantaquattro anni fa. E. e I. erano nati a Villa di Pignone. Frequentarono la scuola in tempo di guerra, con la continua paura delle bombe. In una casa di Villa, in alto, si era insediato il Comando di una Brigata partigiana, la Brigata Costiera.
Il comandante era Felicino Tanca di Monterosso, monarchico, di famiglia benestante. Il suo nome di battaglia era “Cino”. Non dormiva mai nella casa del Comando, andava a Pastine, sopra Casale. Quella notte, a dormire, si era fermato Nello Scotti, vecchio militante antifascista e padre del partigiano Luciano Scotti “Vittorio”, allora Comandante della Prima Divisione Liguria-Monte Picchiara. I due bambini videro correre verso la casa del Comando un ragazzo, Amedeo Laderchi, sfollato da Spezia. “Dove vai?”, gli chiesero. “Vado ad avvisare il padre del Comandante Scotti, stanno arrivando i fascisti!”. I fascisti stavano facendo un rastrellamento.
Mi spiega Agostino Ruggero Grasso, per tutti “Gustinoli”, partigiano di Monterosso, prima nella Brigata Costiera, poi dal novembre 1944 nel Battaglione Gramsci-Maccione:
“I partigiani avevano ucciso il 2 marzo, a Monterosso, Urbano Migliorini, un fascista membro della Brigata Nera di Spezia. Per rappresaglia i fascisti il 5 marzo fucilarono a Monterosso, in piazza Garibaldi, due partigiani catturati nel rastrellamento del 20 gennaio 1945 e in seguito detenuti a Spezia: Giuseppe Da Pozzo e Luigi Zebra. Il rastrellamento di Villa era una prosecuzione di quella vicenda”.

“La popolazione -raccontano E. e I.- era stata concentrata in un orto, delimitato da un muro molto alto, nessuno poteva scappare. Amedeo è stato ammazzato con il suo stesso fucile. Nella stessa mattinata fu ucciso Giuseppe Cardinale, un anziano del paese, sulla porta di casa. E due partigiani: Osvaldo De Simoni e Aldo Rollandi (nella lapide della fotografia in alto il cognome è storpiato in Rolando, NdR). Il primo si era nascosto sotto i fagioli, il secondo andò incontro ai fascisti, credendo fossero partigiani. Furono falciati entrambi”.
“Gustinoli” conosceva De Simoni, ma non Rollandi:
“La Brigata Costiera era molto frammentata, non era facile muoversi nei paesi, non ci conoscevamo tutti tra noi. De Simoni era di Monterosso, era ricercatissimo perché aveva ucciso lui Migliorini. Tra i partigiani c’era chi lo criticava, dicevano che era un po’ un ‘guappo’. Quella notte aveva domito a Villa, c’era una donna con lui, che andò via al mattino presto”.
Torniamo al racconto di E. e I.:
“I fascisti venivano da Borghetto, tra di loro c’era Luigi Domenichini di Beverino, era violento, tremendo. Vicino a Villa c’era una miniera di manganese chiusa, utilizzarono quel percorso, non fecero rumore e arrivarono a sorpresa”.
Su Domenichini E. e I. hanno ragione: nel dopoguerra fu condannato a morte per i suoi crimini, poi all’ergastolo, poi a trent’anni. Non fu amnistiato, a differenza di molti altri.
Racconta ancora E.:
“Nella capanna di mio padre c’erano le armi, e dormivano i partigiani. Una volta nascosi tutte le armi sotto il letame. Ricordo anche Antonio, vulgo Pietro, che appoggiava i partigiani, e molti altri ancora. Tutta Pignone fece la sua parte, c’era solidarietà. La gente dava carne e verdure ai partigiani. Si faceva tanta farina di castagna, per noi, per gli sfollati e per i partigiani… Una volta vennero i tedeschi, videro il maiale, ma non lo presero… Si comportarono meglio i tedeschi che i fascisti”.
I. conferma:
“Ricordo che un giorno i tedeschi vennero a mangiare a casa nostra, chiesero le tagliatelle al sugo. Vollero che la prima forchettata la prendesse la mamma. E’ vero, qui da noi si comportarono meglio loro. Ho visto i fascisti uccidere. E ho visto la mamma di Amedeo che andava al cimitero con il latte e il caffè per portarli al figlio”.

Villa di Pignone, la chiesa (2018) (foto Giorgio Pagano)

Villa di Pignone, la chiesa
(2018) (foto Giorgio Pagano)

IL RACCONTO DI AUGUSTA
Anche Augusta Raggi è di Villa di Pignone. E’ del 1930, aveva quindici anni. Ecco il suo racconto:
“La mamma di Amedeo Laderchi si chiamava Anna Noemi. Era senza marito. Viveva con questo ragazzo, era gente semplice. Ricordo la domanda di uno sfollato: ‘Dove vai, Amedeo?’. E lui: ‘Vado a fare la guerra’. Le Brigate Nere gli presero il fucile, gli chiesero qualcosa, lui andava verso la stalla dei conigli… Una raffica e morì sul colpo.
Giuseppe Cardinale era il vecchietto di Villa. Aprì la porta di casa ma la chiuse subito, forse per proteggere il nipote. I fascisti gli spararono all’addome, ferendolo. La figlia lo portò all’ospedale, campò due giorni.
De Simoni e Rollandi, invece, erano partigiani. Li vedevo nella casa del Comando. Al giorno mangiavamo con loro: tagliatelle, pattona… Di notte stavano al Comando, in alto. Quel giorno i fascisti uccisero anche loro due. Poi bruciarono la casa del Comando e tutte le capanne, compresi gli animali. Quando se ne andarono qualcuno uscì di casa. Cardinale fu portato in Ospedale, i tre morti furono messi nella chiesetta, allineati. A Villa c’erano due sfollati, non spezzini, che erano falegnami: costruirono loro due casse da morto, un’altra la costruirono a Casale. Portarono i tre poveretti nel Cimitero di Casale, dove poi portarono anche Cardinale”.

IL RACCONTO DI BRUNO
La testimonianza di Bruno Raso, classe 1942, proviene dalla suocera e dai due cognati, i fratelli di sua moglie Anna Maria Zembo. Tre testimoni scomparsi. Ecco il racconto di Bruno:
“I partigiani di Monterosso, di Vernazza e delle Cinque Terre passavano dal Comando a Villa. La sede era nella casa dei miei suoceri, dove abitavano anche quattro figli, il nonno e uno zio. I loro rapporti con i partigiani erano buoni. C’erano stati scontri con fascisti e tedeschi sia nei paesi costieri sia nell’interno, scattò inesorabile la rappresaglia.
I repubblichini di Borghetto e gli alpini della Monterosa circondarono la casa. I miei parenti dissero: ‘Non c’è nessuno’. Ma i fascisti cercarono per tutta la casa e al piano di sopra, nascosto sotto le bucce dei fagioli, trovarono De Simoni. Lo massacrarono scaraventandolo al piano di sotto.
Poi i fascisti bombardarono la casa dei miei suoceri, che cominciò a bruciare. Mia suocera riuscì a salvare la bambina, la mia futura moglie Anna Maria, appena in tempo prima che la casa crollasse.
Quel giorno morì anche un fascista di Vernazza, Vittorio Barrani, un militare”,
Nelle altre testimonianze non c’è il ricordo della morte di Barrani. L’elenco “Livio Valentini” dei caduti repubblichini comprende Vittorio Barrani di Vernazza, con la data di morte del 24 marzo 1945, ma senza la specificazione del luogo.
Continua Bruno:
“Abitavo a Nicolino, nei monti di Pignone. C’erano tanti partigiani di Monterosso, ma c’erano anche le spie. Arrivarono i tedeschi e i fascisti ma non trovarono nessuno, solo un mazzo di carte. Spararono alle galline. Io avevo tre anni, giocavo. Feci pena ai tedeschi, che non bruciarono la casa ma solo le stalle. Ricordo un mio lungo sguardo con un soldato tedesco”.

ALTRE RICERCHE DA FARE
E. e I. serbano il ricordo di altri tre partigiani uccisi non nell’eccidio di Villa ma subito dopo. Catturati a Villa, furono portati all’ex XXI Reggimento Fanteria e ammazzati in fondo alla vallata, dietro la Foce, nella strada per Beverino. Le vittime di Villa sarebbero dunque sette. E’ una ricerca da fare.
Così come andrebbe approfondita la vicenda successiva: l’episodio del 24 marzo è infatti un’anticipazione del rastrellamento del 29 marzo in tutta la zona da Monterosso a Soviore e ai monti circostanti. Secondo il rapporto del Capo della Provincia spezzina Giovanni Appiani, i circa 700 rastrellatori italiani e tedeschi si impadronirono dell’archivio della Brigata Costiera e uccisero -ma si tratta di un’esagerazione- 31 partigiani. In ogni caso, come riferisce una relazione del Pci spezzino, l’operazione portò al “completo scioglimento” della Brigata Costiera e al trasferimento di parte dei suoi membri in altre Brigate garibaldine, in particolare nel Battaglione Pontremolese.
Secondo “Gustinoli”:
“Felicino Tanca “Cino” fu destituito dopo il rastrellamento del 29 marzo, Comandante divenne Luigi Lucchetti “Genovese”, e la Brigata Costiera in gran parte confluì nel Battaglione Pontremolese”.
Quel che manca è una storia della Brigata Costiera, ma anche una storia del Battaglione Pontremolese. Due storie distinte, che a un certo punto diventano un’unica storia. Il Battaglione Pontremolese ufficialmente si costituì nel gennaio 1945, sotto il comando di Antonio Cabrelli “Salvatore” e di Enzo Monali “Petrovich”. Cabrelli, il principale responsabile dell’uccisione del Comandante partigiano Dante Castellucci “Facio”, era stato destituito dalla carica di Commissario Politico della IV Zona Operativa verso la metà del dicembre 1944, e assunse compiti minori, quale appunto quello di Comandante di Battaglione. Nel marzo del 1945 dentro il Pontremolese si verificarono forti contrasti, tanto che Cabrelli radiò il Vicecomandante Monali. In realtà Monali continuò a far parte del Battaglione, sempre come Vicecomandante, sotto il nuovo Comandante Luigi Lucchetti, che sostituì Cabrelli. Lucchetti ebbe sotto di sé anche gli uomini della disciolta Brigata Costiera: lo dimostra anche il fatto che, in una nota del 19 aprile 1945 da lui firmata sull’organico del Battaglione Pontremolese, figurano due compagnie, di cui una intitolata a Osvaldo De Simoni, uno dei martiri dell’eccidio di Villa.

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