Presentazione alla Spezia di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Venerdì 5 aprile ore 17 alla Biblioteca Civica Arzelà di Ponzano Magra
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Un Progetto Urbanistico Operativo per il waterfront

a cura di in data 14 Luglio 2018 – 21:52

Città della Spezia, 9 luglio 2018 – Mi sono parse esagerate ed enfatiche le parole pronunciate dal Presidente della Regione Giovanni Toti e dall’assessore regionale Giacomo Giampedrone -“momento epocale”, “giornata storica”- in occasione della firma, qualche giorno fa, del protocollo d’intesa sulla restituzione di Calata Paita alla città: in fondo si è solo tornati al punto di partenza, cioè alle scelte, risalenti agli inizi degli anni Duemila, del Piano Strategico, del Piano Urbanistico Comunale e del Piano Regolatore del Porto.

Interessante è la ripresa della vecchia richiesta di “sdemanializzazione” di Calata Paita per il suo passaggio al Comune: ma è ancora, appunto, una richiesta. Esattamente come allora.

Capisco che si cerchi di recuperare un decennio perduto (2007-2017), su cui gravano le responsabilità del devastante conflitto -tutto interno al centrosinistra- tra Comune e Autorità Portuale (ne ho scritto più volte su questo giornale: si veda per esempio l’articolo della rubrica “Luci della città” del 14 febbraio 2016 “Piazza Verdi, il waterfront e la politica della convivenza”, che contiene anche il link alla mia relazione del 29 gennaio 2016 al Propeller Club della Spezia sul tema “Il PRP del Golfo della Spezia. Scelte, mediazioni, prospettive di sviluppo”). Ma bisognerebbe evitare di ripetere gli errori dell’ultimo decennio, a partire da quello della subalternità del pubblico alle scelte del privato.

E invece chi governa oggi rischia di ricascarci. Il vecchio masterplan del waterfront, che stravolgeva il progetto Llavador, puntava a realizzare opere di grande impatto ambientale, considerate economicamente fattibili dato l’interesse del “mercato”. Per fortuna arrivò la bolla immobiliare, e non se ne fece nulla. Oggi si aggira lo spettro di un altro masterplan: la cui elaborazione è stata chiesta da Comune e Autorità Portuale a Royal Caribbean e Msc, già proponenti del project financing per la stazione crocieristica. E che prevede anch’esso un impatto ambientale non da poco.

La questione è in primo luogo di metodo: il futuro del waterfront non può essere lasciato alle scelte degli investitori privati. Così come sulle aree Enel non basta dire, come fa solitamente il Sindaco, che “dovremo essere flessibili al mercato e agli imprenditori che vorranno investire” (“La Gazzetta della Spezia”, 30 giugno 2018). La questione è quella che ho posto il 4 febbraio 2018 su “La Nazione”, riferendomi sia al waterfront che alle aree Enel:
“Non si tratta di tornare a una visione pianificatoria rigidamente burocratica e dirigista, ma non possiamo nemmeno pensare di affidarci a una progettualità negoziata e contrattata con i privati, fondata sulla fiducia, oggi più che mai ingenua, nel ‘mercato’ come portatore di soluzioni. Anche perché sarebbe una progettualità episodica e svincolata da una visione complessiva della città. Per questa ragione è necessario trovare strumenti capaci di costruire, in entrambi i casi, un piano urbanistico all’altezza di questa fase di incertezze: non più rigido come in passato, ma pur sempre un piano e non l’ammaina bandiera della pubblica amministrazione. Non è possibile lasciare la città al ‘caso’: la mancanza di un quadro di indirizzi e della consapevolezza delle relazioni che connettono una singola area di trasformazione a un sistema complesso come la città non può che condurre a gravi errori. Serve una forte capacità di visione e di condivisione che progetti queste due aree nelle loro relazioni di interdipendenza con tutta la città esistente. Il waterfront deve certamente diventare il simbolo della nuova città turistica ma anche quello della ‘riappropriazione’ del mare da parte degli spezzini; le aree dell’Enel l’occasione per la riaffermazione della vocazione industriale della città ma anche per il riscatto del levante, pesantemente penalizzato dalle scelte del vecchio industrialismo. La qualità nell’assetto fisico-spaziale della città deve diventare il primo obbiettivo. Lo strumento esiste: il Progetto Urbanistico Operativo, integrato dalla Valutazione Ambientale Strategica e da validi processi partecipativi. Il Progetto Urbanistico Operativo è necessario anche per essere trasparenti nelle scelte, sia nei confronti degli operatori, che non amano l’assenza di ‘regole del gioco’, sia nei confronti dei cittadini, che non accettano soluzioni a scatola chiusa” (“Waterfront e aree Enel, serve un Puc all’altezza”, leggibile su www.associazioneculturalemediterraneo.com).

Condivido quindi molte delle osservazioni di metodo avanzate da alcune associazioni (“Waterfront, Comitati preoccupati”, “Città della Spezia”, 30 giugno 2018). Sul merito mi limito a una sola osservazione: se in Piazza Verdi, dopo gli archi al posto dei pini, sarà la volta di un albergo al posto delle scuole, nulla più rimarrà, e per sempre, dell’unica piazza di Spezia sopravvissuta ai bombardamenti. Il rinnovamento urbanistico è necessario ma non deve mai dimenticare l’identità storica della città e la “memoria del luogo”.

Giorgio Pagano
Presidente dell’Associazione Culturale Mediterraneo

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