Presentazione alla Spezia di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Venerdì 5 aprile ore 17 alla Biblioteca Civica Arzelà di Ponzano Magra
28 Marzo 2024 – 08:58

Presentazione alla Spezia di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiVenerdì 5 aprile ore 17Biblioteca Civica Arzelà – PONZANO MAGRA
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Bukhara la città sacra

a cura di in data 28 Febbraio 2018 – 22:31
Bukhara, Madrasa di Mir-i-Arab    (2017)    (foto Giorgio Pagano)

Bukhara, Madrasa di Mir-i-Arab
(2017) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 25 febbraio 2018

STRADE BRULICANTI DI VITA
Bukhara, la città più sacra dell’Asia centrale, mi è rimasta nel cuore ancor più di Samarcanda. Per la straordinaria bellezza dei suoi edifici millenari, per il centro storico meglio conservato, per i restauri più curati e meno sfarzosi. E perché la vita sembra scorrervi a prescindere dai turisti e non in funzione dei loro bisogni.
Anche Khiva -ne scriverò domenica prossima- è bellissima: ma è una città-museo, quasi priva di vita. Mentre Bukhara, pure intatta nelle sue costruzioni, continua a essere abitata e brulicante di vita nelle strade strette, nei mercati, nelle moschee e nelle madrase, le scuole coraniche. Gli abitanti di Bukhara non hanno ceduto la città ai turisti e continuano a viverla: le vie sono piene di persone che passeggiano, mangiano, chiacchierano, giocano.
La città è situata in un’oasi del deserto, sul corso inferiore del fiume Zeravshan, a trecento chilometri da Samarcanda. Centro antichissimo, Bukhara derivò la sua importanza dalla posizione geografica, punto d’incrocio delle vie carovaniere che collegavano l’Arabia all’India e all’antico Catai. A partire dal IX e dal X secolo fiorì, spiega lo storico Franco Cardini, come “Pilastro dell’Islam” e cuore culturale e religioso della Via della Seta. Vi crebbero filosofi, scienziati e poeti la cui importanza nel mondo islamico persiano è fondamentale ancora oggi. Tra questi il più importante è al-Bukhari -l’autore della principale raccolta di detti e fatti di Maometto, la cui autorità è seconda solo al Corano- che trascorse interi anni viaggiando nella Via della Seta a raccogliere testimonianze orali per la sua opera.

IL “CANONE DI MEDICINA” DI AVICENNA
A Bukhara c’erano anche i medici. Su tutti Abu ‘Ali al-Husayn ibn ‘Ali ibn Sina, noto in Occidente come Avicenna, a cui si deve il “Canone di medicina”, l’opera che avrebbe definito i criteri di tale scienza per secoli. Avicenna, spiega lo storico Franco Cardini, visse e viaggiò a lungo nella Via della Seta operando come medico e consigliere di numerosi principi. Parlava persiano, ma il “Canone” lo scrisse in arabo. ”Il suo libro –dice Cardini- testimonia non solo della circolazione di importanti autori classici in traduzione, come Ippocrate o Galeno, ma anche e soprattutto delle conoscenze pratiche e farmacologiche, raccolte lungo tutte le strade dell’Asia. Le innovative conoscenze sul corpo, il nome delle piante, delle spezie e, in generale, dei rimedi, le tradizioni curative tramandate oralmente: il ‘Canone di medicina’ non esisterebbe senza la Via della Seta”. Non c’era campo del sapere che rimanesse lontano dalle strade dell’Asia centrale.

IL FASCINO DEL COLOR MARRONE
Nel 1220 Bukhara fu conquistata da Genghis Khan, e nel 1370 cadde nella sfera di influenza della Samarcanda di Tamerlano. La città visse una nuova rinascita nel XVI secolo, quando divenne capitale dell’omonimo khanato. Bukhara aveva un enorme piazza del mercato con decine di bazar e caravanserragli, oltre cento madrase e più di trecento moschee. Nella seconda metà dell’Ottocento fu anch’essa, come Samarcanda, soggiogata dai russi e poi dai bolscevichi.
Molti edifici storici sono stati conservati. Li si ammira affascinati dal color marrone, qui imperante mentre è quasi assente, invece, a Samarcanda. E’ il marrone dei mattoni di fango caratteristici della regione.

Bukhara, Ark    (2017)    (foto Giorgio Pagano)

Bukhara, Ark
(2017) (foto Giorgio Pagano)

LYABI-HAUZ E LE TANTE RELIGIONI DI BUKHARA
Lyabi-Hauz è una piazza del 1600 costruita intorno a una vasca. E’ un luogo tranquillo, ombreggiato da gelsi antichi quanto la vasca stessa. Un tempo Bukhara aveva oltre duecento vasche, ma l’acqua provocava pestilenze. I bolscevichi modernizzarono il sistema idrico, ma prosciugarono le vasche. Oggi ne è rimasta una sola. Nella piazza si ammira la madrasa di Nadir Divanbegi, dalla bella facciata piastrellata, che mostra due pavoni e due agnelli. Come nel caso dei leoni della madrasa del Reghistan di Samarcanda, viene infranto il divieto islamico di rappresentare figure viventi. Su un altro lato si trova la Khanaka di Nadir Divanbegi, una sala di contemplazione sufi.
A sud di Lyabi-Hauz si trova ciò che rimane del quartiere ebraico. Gli ebrei rimasti sono poche centinaia, gli altri sono andati altrove, in primis in Israele. Delle sette sinagoghe di un tempo ne sono rimaste due. Il cimitero ebraico occupa uno spazio immenso.
Vicino alla piazza c’è anche la zona dei bazar. Ne sono stati conservati tre coperti, sormontati da una cupola: quello dei cambiavalute, quello dei cappellai e quello dei gioiellieri. Vediamo gli artigiani al lavoro e cediamo, come in ogni bazar, alla tentazione di acquistare qualcosa.
Tra i bazar si può ancora vedere la moschea Maghoki-Attar, la più antica della città, sotto la quale gli archeologi hanno trovato i frammenti di un tempio zoroastriano del V secolo e i resti di un tempio buddista ancora più antico. Secondo la leggenda, la moschea sopravvisse alle incursioni mongole perché gli abitanti la seppellirono nella sabbia. All’inizio degli scavi era visibile solamente il tetto. Oggi l’edificio, che fu usato dagli ebrei come sinagoga fino al XVI secolo, ospita il Museo degli stupendi tappeti di Bukhara. Siamo davvero immersi in un luogo simbolo di un’identità multireligiosa e multiculturale.
Visitiamo poi la madrasa di Ulugh Beg, la più antica scuola coranica di Bukhara fondata dal principe scienziato nipote di Timur. L’edificio, piastrellato di azzurro, ha importanti portali in legno, vero capolavoro di ebanisteria, con incise delle iscrizioni tratte dal Corano. Oggi è sede di un museo con vecchie fotografie molto belle. Anche la vicina madrasa di Abdul Aziz-Khan è un vero gioiello e ospita, nella sala della preghiera, un museo di sculture lignee.

IL MINARETO E LA MOSCHEA KALON E LE CUPOLE AZZURRE DI MIR-I-ARAB
Il minareto Kalon è il simbolo della città. Alto quarantanove metri, diametro alla base di nove metri e fondamenta che scendono al terreno per oltre dieci metri, venne costruito nel 1127 come torre di avvistamento, come loggia da cui chiamare i fedeli alla preghiera cinque volte al giorno e come torre per le esecuzioni capitali, dalla cui cima venivano gettati i condannati a morte. Era probabilmente, quando fu costruito, l’edificio più alto dell’Asia centrale. Gengis Khan ne fu così impressionato che decise di risparmiarlo. Il minareto è fatto di mattoni coperti di stucco ed è ornato a varie altezze da strisce colorate e lucide in cotto smaltato: una testimonianza del primo utilizzo, nella città color marrone, di quel colore azzurro tanto amato da Timur.
Secondo la leggenda, Arsan Khan, il re che costruì il minareto, uccise un imam in seguito a una lite. Quella notte l’imam gli apparve in sogno e gli disse: “La mia testa dovrà giacere in un luogo in cui nessuno possa calpestarla”. Fu così che sulla sua tomba venne costruita questa torre.
Ai piedi del minareto c’è la moschea Kalon. Di fronte alla moschea sorge la madrasa di Mir-i-Arab, con le sue luminose cupole azzurre che spiccano nel marrone che la circonda. Al tramonto è meravigliosa.

LA FORTEZZA ARK
L’Ark, una città regale all’interno della città, è la costruzione più antica e spettacolare di Bukhara. Bombardata nel 1920 dall’Armata Rossa sovietica, mostra molte rovine. Residenza invernale del Khan, comprendeva entro le alte mura oggi restaurate, il palazzo del sovrano, la moschea Juma, la sala del tesoro, gli uffici amministrativi e la prigione.
Nella piazza davanti all’Ark, il 24 giugno 1842, il Colonnello inglese Charles Stoddart e il Capitano Arthur Conolly furono fatti uscire dalla cella sotterranea e decapitati davanti a un’enorme folla. Conolly era arrivato nel 1841 per ottenere il rilascio di Stoddart, che era stato arrestato nel 1839 perché i suoi superiori avevano sottovalutato la vanità dell’emiro di Bukhara, inviando il loro portavoce senza doni e con una lettera non firmata dalla regina. Ma l’emiro arrestò anche Conolly e poi uccise entrambi. L’orrendo “pozzo degli scarafaggi” dove i due languirono prima della morte è visitabile nella prigione. Questo episodio è uno dei più famosi del “Grande Gioco” tra inglesi e russi per il controllo dell’Asia centrale, di cui ho scritto domenica scorsa.

IL MAUSOLEO DI ISMAIL SAMANI
Il Mausoleo è un altro monumento antichissimo. Situato fuori dalla città vecchia nel parco Samani, è la tomba di Ismail ibn Ahmad. che regnò dal 892 al 907 e fu tra i primi nel mondo dell’Islam a farsi costruire un monumento funebre ricco e sontuoso. Il mausoleo è in mattoni di terracotta e ha una forma architettonica originale poiché si presenta come un cubo sul quale è stata sovrapposta una semisfera. La disposizione dei mattoni ha diciotto angolazioni diverse e crea sui muri contrasti di luci e di ombre che variano secondo l’intensità della luce esterna.

TRA INDIA, KITSCH RUSSO-ARABO E SUFISMO
Bukhara non finisce mai di stupire. Il piccolo Char Minar era il corpo di guardia di una madrasa scomparsa ed è di stile indiano. Fuori Bukhara c’è il palazzo estivo dell’ultimo emiro, il Siterai Mohi Hosa (Giardino delle stelle e della luna): l’harem, la vasca in cui si bagnavano le donne, il padiglione in legno da cui l’emiro gettava una mela alla prescelta per la notte… Tutto all’insegna del kitsch sia russo che arabo. Visitiamo infine il santuario Khoja Bakhouddin Naqshbandi, uno dei più importanti del sufismo. I pellegrini si recano in una tomba nel cortile e fanno tre giri intorno in senso antiorario come buon auspicio. Passano poi a un grosso tronco in fondo al cortile, il bastone di Naqshbandi trasformato in albero e poi caduto. Le donne ci passano sotto e gli uomini con i denti e con le unghie cercano di portarsi via un po’ di corteccia come reliquia santa.

Giorgio Pagano

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