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Libro e mostra fotografica “Sao Tomé e Principe – Diario do centro do mundo” di Giorgio Pagano. Genova, Castello D’Albertis Museo delle Culture del Mondo Venerdì 23 febbraio ore 17

a cura di in data 16 Febbraio 2018 – 23:14
Invito Castello D Albertis 23 febbraio

Invito Castello D’Albertis 23 febbraio

Libro e mostra fotografica
Sao Tomé e Principe – Diario do centro do mundo
di Giorgio Pagano

Genova, Castello D’Albertis Museo delle Culture del Mondo
Venerdì 23 febbraio ore 17

Venerdì 23 febbraio alle ore 17 avrà luogo la presentazione del libro di Giorgio Pagano “Sao Tomé e Principe – Diario do centro do mundo” a Genova, al Castello D’Albertis Museo delle Culture del mondo (Corso Dogali, 18).
Dopo il saluto di Maria Camilla De Palma, Direttore del Museo, interverranno l’antropologo e scrittore Marco Aime, il giornalista Alessandro Cassinis, il presidente di Januaforum Alberto Rizzerio e lo scrittore e politico Jean-Leonard Touadì. Sarà presente l’autore.
Alle 17 verrà inaugurata la mostra fotografica connessa al libro, che sarà presentata dal critico Giovanna Riu.

Il libro, edito dalle Edizioni Cinque Terre, contiene il Diario dell’esperienza di Pagano come cooperante nelle isole di Sao Tomé e Principe tra il 2015 e il 2016, il saggio introduttivo “La ‘nostra’ Africa” e i capitoli “Dalla cooperazione tra Comuni al partenariato tra comunità”, “Italia Mediterraneo Africa” e “L’esempio”.
Il libro, che ospita la Prefazione del professor Gian Paolo Calchi Novati e un contributo di Mario Giro, Viceministro agli Affari Esteri, è inoltre un reportage fotografico sulle “isole al centro del mondo”, con 115 immagini.

“L’Africa – scrive Pagano – è sempre più ‘nostra’. Le migrazioni, la globalizzazione e la crisi economica, il terrorismo jihadista: tutto spinge a superare i confini, a rendere permeabili le frontiere, a unire Europa e Africa. L’Europa non può più essere altra rispetto all’Africa, e viceversa: i destini sono interconnessi, il rapporto è e sarà sempre più stretto, tra grandi difficoltà e altrettanto grandi opportunità. Troppe sono le cause comuni che ci interpellano. L’Africa è il nostro grande Sud, l’Europa è il grande Nord dell’Africa…
Il grande obbiettivo, ‘in direzione ostinata e contraria’, è quello di un’Africa che vinca la povertà senza subire le ferite irreversibili dell’invasione ‘sviluppista’. L’idea di ‘una cooperazione per domare il demone dello sviluppo’, che unisca i popoli del Sud e del Nord del mondo, comincia lentamente a farsi strada. Sembra un appello a fare cose impossibili. Eppure se il futuro ci riserva qualcosa di diverso dalla infinita ripetizione dello sviluppo e dei suoi miti qualcosa di questo impossibile non è destinato a rimanere per sempre tale”.

La mostra sarà visitabile fino a domenica 11 marzo, con lo stesso orario del museo (martedì-ven.10-17/sab. e dom. 10-18; lunedì chiuso). L’iniziativa è organizzata dal Castello D’Albertis Museo delle Culture del Mondo e dall’Associazione Januaforum.


Il libro e la mostra fotografica “Sao Tomé e Principe – Diario do centro do mundo” di Giorgio Pagano hanno nuovamente fatto tappa a Genova, questa volta al Castello D’Albertis Museo delle Culture del Mondo, per iniziativa del Museo e dell’associazione Januaforum.

La mostra sarà visitabile fino a domenica 11 marzo, con lo stesso orario del Museo (martedì-ven.10-17/sab. e dom. 10-18; lunedì chiuso).

Dopo gli interventi di presentazione del libro è intervenuto l’autore:
“Il libro e la mostra hanno quindici mesi di vita, questa è la ventiseiesima presentazione. Ho incontrato migliaia di persone. Credo che libro e mostra, nel loro piccolo, stiano dando un contributo a fare avanzare l’idea che Italia, Europa e Africa hanno un destino comune. Anche come antidoto alla paura. Le migrazioni provocano paura, ma anche tante domande su che accade in Africa. Il libro e la mostra cercano di dare delle risposte, nel segno del dialogo, della consapevolezza che Italia ed Europa non possono più essere altre rispetto all’Africa, e viceversa.
Io ricordo -ero ragazzo- gli anni Settanta del secolo scorso. Era il periodo della decolonizzazione, in Italia c’era un robusto e diffuso sentimento verso l’Africa, di tutte le culture politiche. Una fase di estroversione che è purtroppo alle nostre spalle. Oggi siamo in una fase di introversione: siamo passati dall’apertura alla paura. In Africa l’Italia è l’Eni, le missioni e le Ong. Ma non c’è lo Stato, non c’è la società civile nel suo complesso. Il libro e la mostra si inseriscono in un tentativo di tornare all’estroversione, all’apertura, a quelle che Giorgio La Pira chiamava le “passioni unitive”, l’interesse per l’altro.
Ciò significa due obbiettivi. Il primo è tutelare il diritto degli africani di restare nella terra in cui si è nati, con politiche di prevenzione delle ‘migrazioni forzate, che eliminino alla radice i fenomeni che sono alla base di questa fuga: le guerre, la fame, il cambiamento del clima. Il compito della cooperazione internazionale è questo. Dobbiamo evitare di concepire la cooperazione come l’ha concepita la Germania con il suo patto scellerato con la Turchia: io ti pago perché tu ti tenga i migranti, non importa come e dove. Purtroppo anche gli accordi tra Italia e Libia e tra Italia e Niger hanno un segno analogo. Il rischio è evidente: che la cooperazione internazionale si trasformi in un sostegno non ai popoli, per uno sviluppo sociale più equo, ma ai governi e al loro potere, in cambio di fermare le persone che scappano dai regimi. L’orizzonte non può essere così angusto: per bloccare i flussi non possiamo rinchiudere centinaia di migliaia di persone nei campi libici o costringere i migranti, come stiamo facendo in Niger, a viaggi più lunghi, pericolosi e costosi, nelle mani di trafficanti ancora più spietati. I morti nel Mediterraneo si vedono in tv e si contano. I morti nei campi libici e nel deserto subsahariano non si vedono e non si contano. Ma sono tanti, troppi morti.
Il secondo obbiettivo è accogliere chi è costretto a migrare. Serve un’operazione umanitaria multinazionale sotto il controllo dell’Italia, una missione Mare Nostrum allargata e finanziata direttamente dalla Commissione europea. Mare Nostrum costava 10 milioni di euro al mese, ma se avessimo diviso la spesa con gli altri Paesi europei il costo sarebbe stato di 350.000 euro al mese.
Serve poi una riforma della legislazione europea, a partire dalla sospensione del regolamento di Dublino che obbliga i migranti a fermarsi nello stato di primo approdo, Italia, Spagna e Grecia. Occorre, infine, superare la legge Bossi-Fini, che ha chiuso ogni sistema legale per arrivare in Italia con un normale permesso di soggiorno per motivi di lavoro. In base alla legge gli immigrati dovrebbero avere un contratto di lavoro già nel momento in cui partono dal loro Paese di origine, un elemento quasi fantascientifico considerando l’estrema difficoltà per il nostro sistema delle piccole e medie imprese (che di lavoratori immigrati hanno bisogno) di andare a fare reclutamento in Africa. Per non parlare di chi cerca le badanti. La Bossi-Fini ha offerto su un piatto d’argento ai contrabbandieri libici un nuovo mercato per i ‘viaggi’ verso l’Europa: quello degli immigrati in cerca di lavoro. Il mercato per i contrabbandieri l’abbiamo creato noi con le nostre leggi”.

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