Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
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L’Europa tra fascismi, austerity e nuove speranze

a cura di in data 3 Dicembre 2017 – 11:03
Berlino, la cupola del Reichstag    (2005)    (foto Giorgio Pagano)

Berlino, la cupola del Reichstag
(2005) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 26 novembre 2017

RITORNANO I VECCHI DEMONI
Lech Walesa, grande combattente per la libertà, ha lanciato il grido di allarme nei giorni scorsi. “Demoni in Europa, la mia Polonia rischia la guerra civile”, questo il titolo dell’intervista a “Repubblica”, nella quale l’ex Presidente polacco parla di “democrazie europee in pericolo” e afferma: “Bisogna davvero reinventare la politica, altrimenti i vecchi demoni nazionalisti e fascisti risorti resteranno. Temo brutte esperienze di sangue”. In Polonia l’onda antieuropea e antisemita sta mostrando il suo volto più nero, ma il caso polacco non è a parte: è la punta più avanzata di un fenomeno che riguarda, sia pure in modo diverso, l’intera Unione europea.
Accanto alla Polonia ci sono gli altri Paesi ex comunisti del “Gruppo di Visegrad”: Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. A est le pulsioni autoritarie e fasciste sono più evidenti, ma nel resto d’Europa non sono meno preoccupanti. Se è vero che in Francia Marine Le Pen è stata sconfitta, e che nelle elezioni olandesi i razzisti non hanno sfondato, è vero anche, però, che le formazioni neonaziste hanno preso in Germania il 13% dei voti e in Austria il 26%. Anche in Italia i segnali sono numerosi. Un piccolo esempio spezzino: nei giorni scorsi sono stato a Montepertico, al Liceo Cardarelli, a ricordare la strage nazifascista della Flage (novembre 1944); il giorno dopo “Blocco Studentesco” ha distribuito in quella scuola un volantino inneggiante a Mussolini e alle guerre. Piccola cosa, in sé: ma quanti episodi simili potremmo raccontare? Tanti, e non solo negli stadi ma anche nelle scuole e nei quartieri. E poi preoccupa, in generale, il linguaggio politico prevalente nel nostro Paese, sempre più razzista e volgare.
E’ in campo, dunque, una nuova destra, xenofoba, intollerante, nazionalista, antiegualitaria, che vuole conquistare l’Europa. Probabilmente grazie alla memoria del fascismo e della guerra, più che per virtù dell’asfittica democrazia contemporanea, in Europa occidentale la diffidenza verso questa destra è ancora consistente, rispetto all’Europa orientale. Ma fino a quando? Va aggiunto che questa nuova destra condiziona tutto lo spettro politico. In Austria ha spostato molto a destra il principale partito, una sorta di Democrazia Cristiana, ormai irriconoscibile. La Cdu-Csu della Merkel sta subendo condizionamenti analoghi, e così via. La destra neoliberista sta diventando cioè sempre meno moderata. La ricetta per governare si sta configurando come un misto di protezionismo e liberismo: chiusura delle frontiere agli immigrati, difesa dell’identità culturale cattolica, sicurezza e taglio delle tasse. In questo quadro il conto più salato l’hanno pagato le socialdemocrazie che, rincorrendo le destre neoliberiste, sono quasi scomparse.
La verità è che il disegno unitario europeo si sta disgregando. Fuori di noi sia Trump che Putin, con fini diversi ma convergenti, mirano anch’essi a questo obbiettivo. Solo gli europei possono salvare se stessi. Ma come? Con quali forze?

MACRON
Secondo il filosofo tedesco Jurgen Habermas il Presidente francese Emmanuel Macron “è l’unico leader che sembra avere fiducia in un progetto democratico e solidale comune” (“La Repubblica”, 28 ottobre 2017). Con Macron la Francia, il Paese che ha bloccato a lungo il processo di integrazione europea, si è posta alla sua guida. All’origine di questa svolta c’è la Brexit: dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione, solo la Francia ha la potenza militare e la tradizione culturale all’altezza del compito. Naturalmente insieme alla Germania, il Paese europeo più forte. Ma il punto vero è: con quale politica economica e sociale? Nel suo articolo Habermas critica giustamente come antieuropea la politica finanziaria tedesca, quella dell’austerity neoliberista. Ma Macron rappresenta forse un’alternativa? La sua immagine è quella di un superdotato al quale nella vita tutto ha sorriso, insensibile al tema delle diseguaglianze. La sua politica è quella della flessibilità e della precarietà del lavoro. Senza un partito alle spalle, Macron è nelle mani della finanza, dalla quale del resto proviene. Sono tempi difficili per i politici, perché a comandare in realtà è la finanza. Grazie all’insipienza e al degrado della politica, che dovrebbe contrastarla e guidarla, la finanza ha promosso l’antipolitica e ha fiaccato la politica. In Francia le è andata bene: l’antipolitica ha promosso Macron, il beniamino della finanza. Ma i francesi quanto ci metteranno per accorgersene? Forse non molto: la popolarità del Presidente è molto calata.

 Lisbona, la Baixa e il Castelo de Sao Jorge dal Miradouro de San Pedro de Alcantara    (2015)    (foto Giorgio Pagano)

Lisbona, la Baixa e il Castelo de Sao Jorge dal Miradouro de San Pedro de Alcantara
(2015) (foto Giorgio Pagano)

LA SINISTRA
La salvezza e la profonda riforma dell’Europa spetterebbe alla sinistra. Ma esiste ancora la sinistra? La distinzione destra-sinistra è stata un baluardo di protezione della battaglia politica dalle pulsioni nazionaliste e fasciste. “La fine di questa distinzione è oggi il problema -ha scritto la filosofa Nadia Urbinati-; essa è stata favorita dalla sinistra stessa che, nel solco del blairismo, ha sostenuto la desiderabilità di andare oltre la divisione destra/sinistra. Una iattura che ha preparato il terreno alla destra” (“La Repubblica”, 17 ottobre 2017). Le elezioni lo dimostrano ogni volta: se destra e sinistra appartengono al passato, l’elettore di sinistra non va più a votare o vota a destra. Mentre l’elettore di destra è sempre in campo, perché non ha mai messo quella distinzione in soffitta.
Ma quali dovrebbero essere le idee della sinistra per salvare e riformare profondamente l’Europa? Le fondamenta sono nel modello sociale europeo, nel contrasto alla logica pervasiva dei mercati e al dominio della finanza. Il che significa abbandonare Maastricht: perché fu lì che si produsse la definitiva scissione tra diritti e mercato, l’abbandono di ogni disegno di un’Europa democratica, non dominata dalla finanza. E abbandonare il Fiscal Compact, il trattato in vigore dal 2013 che vincola i Paesi dell’eurozona a un codice di politica economica ispirato all’austerity neoliberista e che trova nell’obbiettivo del pareggio di bilancio la sua regola suprema.
Le forze per sostenere queste idee esistono, anche se sono disperse e minoritarie. Esistono nella società ma anche nella politica. Nel Regno Unito Jeremy Corbyn è diventato leader del Labour Party affermando che c’è un’alternativa all’austerity neoliberista: “chi ha di più deve dare un po’ di più”. Con la redistribuzione fiscale è possibile avviare, dicono i laburisti, un nuovo piano di investimenti pubblici nei settori dei trasporti, della sanità, dell’istruzione e della ricerca. Per superare le diseguaglianze e creare lavoro. Un programma che ha entusiasmato soprattutto i giovani. E’ chiaro che solo con il rilancio del modello sociale europeo si può affrontare il problema dell’accoglienza dei migranti. Creando cioè posti di lavoro con cui offrire a tutti -migranti e milioni di disoccupati e di precari che le politiche di austerity hanno disseminato in questi anni- le stesse opportunità di inclusione.

IL MIRACOLO PORTOGHESE
In Portogallo governa dal novembre 2015 il socialista Antonio Costa, grazie a un accordo tra il Partito socialista e il Partito comunista, Il Blocco di sinistra e i Verdi, le tre forze che appoggiano il Governo dall’esterno. In questi due anni sono cresciuti il Pil, i consumi interni, le esportazioni, gli occupati. E sono diminuite le diseguaglianze, grazie a politiche redistributive: aumento del salario minimo e delle pensioni, libri di testo gratuiti, investimenti nell’istruzione, nella sanità e nei trasporti pubblici, riduzione dell’orario di lavoro, riduzione della precarietà, niente commissione alle banche per il primo conto corrente… Le risorse sono state trovate grazie alle politiche fiscali: chi più ha, più paga. Un esempio: l’Imu non è stata abolita, come da noi, ma trasformata in “Imu democratica”, aumentandola del 20% a chi ha case vista mare e tagliandola del 10% a chi vive con vista cimitero.
Non è tutto oro quel che luccica, ma è una svolta. In un contesto di crisi generalizzata dei partiti che spinge al populismo anche quel che resta della sinistra, l’esperienza portoghese ci dice che il populismo non è l’unica via d’uscita, ma che anche con modelli di azione politica più tradizionali, attraverso partiti politici strutturati, si può recuperare la distanza tra governanti e governati. Basta che questi ritornino a occuparsi dei problemi della vita delle persone, a partire dalle più deboli. L’esperienza portoghese ci dice anche che le sinistre possono ritrovarsi unite attorno a un compromesso. Ma in Italia ciò non è nemmeno pensabile: il Pd è mille miglia lontano dai contenuti del Governo Costa, espressione di un partito che pure è confratello del Pd nel Partito Socialista Europeo. Del resto Costa era Sindaco di Lisbona quando Renzi era Sindaco di Firenze. Mentre il nostro Matteo affittava Ponte Vecchio alla Ferrari di Montezemolo per una cena elegante, simbolo di una visione della città come luna park da mettere a reddito, Costa riempiva la capitale lusitana di iniziative solidali, dagli armadietti dedicati ai senzatetto per tenervi le proprie cose in modo sicuro e dignitoso, a box più grandi, simili ad edicole: i chioschi della salute, che forniscono assistenza sanitaria a chi ne ha bisogno. “Abbiamo cancellato la teoria secondo cui l’Europa è votata a un futuro fatto solo di austerità”, ha detto il Ministro delle Finanze portoghese Mario Centeno. Se fosse ancora vivo, il grande scrittore portoghese José Saramago, dal suo esilio volontario nell’isola di Lanzarote, sarebbe contento.

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