Presentazione alla Spezia di “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” di Dino Grassi – Venerdì 5 aprile ore 17 alla Biblioteca Civica Arzelà di Ponzano Magra
28 Marzo 2024 – 08:58

Presentazione alla Spezia di“Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”di Dino GrassiVenerdì 5 aprile ore 17Biblioteca Civica Arzelà – PONZANO MAGRA
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Spezia unita contro il neofascismo e il neonazismo

a cura di in data 5 Maggio 2017 – 21:06
Sarzana, Prulla, intervento di Piero Guelfi "Danilo", "Percorsi della Resistenza" 23 aprile 2017    (foto Giorgio Pagano)

Sarzana, Prulla, intervento di Piero Guelfi “Danilo”, “Percorsi della Resistenza” 23 aprile 2017
(foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 30 aprile 2017

VERA DEL BENE, RIBELLE FIN DA BAMBINA
Vera Del Bene nacque a Levanto nel 1921 da una famiglia molto povera. Nel 1944 salì ai monti nella Brigata “Gramsci”, poi Battaglione “Maccione”, lo stesso di “Gustinoli”, il protagonista del racconto di domenica scorsa. E’ scomparsa nel 2008. Ecco brani della testimonianza di Vera -nome di battaglia “Libera”- raccolta dalla figlia Oretta per l’Istituto Storico della Resistenza.
“Eravamo totalmente poveri; io e mio fratello Mauro andavamo a scuola, gli altri a lavorare, le mie due sorelle erano a servizio dai signori. A scuola per scrivere usavamo la carta da pacco dei negozianti, non avevamo quaderni perché il patronato scolastico a noi, figli di un comunista, li consegnava alla fine dell’anno. A scuola se si doveva punire qualcuno erano i figli dei comunisti: ti mettevano in ginocchio sul sale. Ricordo un episodio accaduto nel 1932 a mio fratello che frequentava la terza elementare. Un sabato gli hanno dato la divisa da piccolo balilla, il maestro si chiamava Roberti ed era sempre in divisa grigioverde della milizia. Mio fratello davanti agli altri bimbi non ha osato rifiutarla, ma non poteva portarla a casa (il padre non avrebbe voluto, ndr.). Dietro alla chiesa parrocchiale di Levanto c’era una cava, lui ha preso la divisa e l’ha nascosta sotto un sasso. Alla domenica non è andato all’adunata. Nella notte piovve. Così il lunedì mattina alla richiesta della divisa da parte del maestro gliela consegna, tutta bagnata e sporca. Al che il maestro gli fa mettere le mani sul banco e gliele percuote con una bacchetta. Mauro aspetta che il maestro torni alla cattedra, prende il calamaio e glielo tira; poi salta fuori dalla finestra e così finiscono i suoi studi: la scuola non ce lo ha più voluto.
Il partito fascista mandava la tessera attraverso la scuola, quando mio padre tornava a casa dalla cava ci prendeva Mauro e io, ci riportava in piazza Cavour alla Casa del Fascio per restituire la tessera al gerarca. Lui ci aspettava di sotto. I fascisti scendevano e lo picchiavano, ancora adesso sto male al solo pensarci. Terminata la quarta elementare dovetti andare a servizio, ma il lavoro durò solo pochi giorni, il lavare i piatti ai signori non mi andava proprio. Ricordo che per arrivare al lavandino mi avevano messo sopra a uno sgabello. Provarono anche a farmi tenere dei bambini, ma niente. Alla fine trovai la mia strada, andai ad imparare un mestiere: la sarta.
Mia madre non protestava mai, veniva da una famiglia di socialisti. Ricordo che una volta eravamo proprio alla fame, è andata all’Eca (l’ente di assistenza, ndr.) dove le hanno dato della pasta. Quando mio padre è tornato a casa e lo ha saputo, l’ha buttata via, ha dato due schiaffi a mia madre e lei non è mai più andata a prendere la pasta dai fascisti.
Ricordo ancora quando da bambina un certo giorno mia madre mi ha mandata a prendere del pane da ‘Carolina’; mi è stato rifiutato perché da parecchi giorni mia madre non dava più soldi al commerciante, che vergogna ho provato, non l’ho mai più dimenticata. Come ricordo ancora quanto deglutivo vedendo i ‘signori’ mangiare il gelato, a ogni loro leccata io inghiottivo un po’ di saliva. Ricordo ancora il pane masticato all’infinito insieme ad un briciolo di mortadella. Così diventavano grandi i figli degli oppositori al fascismo.
E’ arrivato l’8 settembre e sapevo da che parte stare, quando hai subìto sai da che parte stare. Hai dentro qualcosa, che non sai cos’è perché non hai studiato, ma il cervello funziona e ti ribelli ai soprusi. Certe cose non si dimenticano”
Il fratello, preso prigioniero dai fascisti perché renitente alla leva, riuscì a fuggire, ad Alessandria, da un carro bestiame che lo stava portando nei lager nazisti. Tornò a Levanto e da lì salì ai monti, nella Brigata “Gramsci”, poi Battaglione “Maccione”. Vera si impegnò come staffetta, fu arrestata e imprigionata a Chiavari per due mesi; liberata, raggiunse il fratello in montagna, a Scogna, nel novembre 1944. Leggiamo ancora il suo racconto.
“Se non fossi andata sui monti ora non sarei qua. Non sapevo che avrei trovato una vita molto difficile e che avrei dovuto assumermi responsabilità tremende. Dovevo combattere. Lo sparare non è cosa semplice, perché i morti ti guardano sempre, perché le persone che hai davanti quando combatti ti fanno pena, anche se sono tuoi nemici. Perché hai davanti una persona giovane come te solo che sta dalla parte, a tuo giudizio, sbagliata. Non tutte la donne che erano in montagna hanno preso le armi. E’ stata una mia scelta, se ero partigiana dovevo condividere tutto con mio fratello e gli altri compagni. Ho chiesto di fare parte di un battaglione della Brigata ‘Gramsci’; per qualche giorno ho osservato, poi mi hanno dato un paio di pantaloni e una giacca, scarponi, roba un po’ vecchia. ‘Se resti con noi devi imparare a sparare’. Mi hanno portato in un bosco, rivoltella in mano davanti ad un albero. Con l’arma in mano mi sono pisciata addosso: al primo colpo ho rinculato e ho avuto paura. Ma dovevo imparare, anche per difendere la mia pelle. Ho imparato a sparare con la rivoltella e con lo sten… Il rapporto con le armi era doloroso; si sparava perché costretti. Quando andavi ad assaltare una colonna tedesca o una caserma per procurare le armi, era sempre doloroso, anche per chi restava, perché tutti sarebbero voluti partire. Tanti compagni non sarebbero tornati, questo lo sapevi… I fascisti erano violenti. I partigiani non hanno mai incendiato case, sventrato donne o impiccato con fil di ferro quelli che erano già morti. I tedeschi nei rastrellamenti portavano via tutto, noi prendendo cibo, olio e vino, davamo dei buoni”.
E infine: “Ho sempre gestito da sola il mio cervello, il mio corpo, senza che nessuno, nemmeno il movimento femminista mi fosse dietro. Sono sempre stata una ribelle fin da bambina e così ho continuato”.

ANNA MARIA VIGNOLINI E I GRUPPI DIFESA DELLA DONNA
Anna Maria Vignolini nacque nel 1943 a Sarzana, dove vive tuttora. Si diplomò maestra e andò a lavorare al Consorzio Agrario. Grazie al fidanzato Turiddo Perugi, che sarà partigiano nella Brigata “Muccini”, si avvicinò al Partito comunista. Conobbe i suoi massimi dirigenti, Anelito Barontini e Paolino Ranieri. Furono loro a darle la responsabilità di coordinare e organizzare le donne: nuclei che a un certo punto presero la denominazione di Gruppi Difesa della Donna. Entrò in contatto, tra le altre, con Vega Gori “Ivana” e con Mimma Rolla (a cui ho dedicato, in questa rubrica, rispettivamente gli articoli del 21 aprile 2013 e del 5 marzo 2017). Il suo nome di battaglia fu “Valeria”. Ecco brani di sue testimonianze, raccolte da Maria Cristina Mirabello per l’Istituto della Resistenza e dal Museo Audiovisivo della Resistenza di Fosdinovo, nonché frutto di miei ricordi personali.
“Dopo l’8 settembre e lo sfacelo dell’esercito aiutammo i giovani militari sbandati. Fu quella la svolta. Anche noi ragazze ci davamo da fare, non parlavamo più di ballo o di ragazzi. Andavamo in bicicletta al fiume in costume, per dare la sensazione di essere innocui bagnanti, invece facevamo riunioni politiche. Cantavamo ‘Bandiera rossa’ sul fiume o nel Campo dei Cappuccini, dove ora c’è lo stadio. Prima ero paurosa, di svenimento facile, poi il lavoro clandestino mi diede coraggio. Organizzammo il grande sciopero del marzo 1944 a Spezia, sostenevamo la lotta delle operaie dello jutificio. Poi mi spostai da casa, per collocarmi più vicino alla Brigata ‘Muccini’: alloggiai nella casa di ‘Venù’ (Benvenuto Ambrosini), futuro suocero di Flavio Bertone ‘Walter’, nella zona di Giucano, una casa che era l’avamposto della ‘Muccini’ verso il piano. Quante volte sono passata davanti all’albergo Laurina, sede dei fascisti, con materiale ad altissimo rischio! Dopo il rastrellamento del 29 novembre mi spostai a Carrara, per portare assistenza ai feriti, trovare cibo e vestiario e organizzare le donne: non solo perché la guerra doveva finire ma anche perché le donne non dovevano più essere gli angeli del focolare ma protagoniste nella società. Le donne di Carrara furono meravigliose: al mercato prendevano patate e pomodori e le tiravano contro i tedeschi. Potevano farlo perché erano tantissime”.

LA MEMORIA SERVE A CAMBIARE IL PRESENTE E A COSTRUIRE IL FUTURO
Vera e Anna Maria erano due ragazze giovanissime, che si ribellarono al soffocante modello femminile imposto dal ventennio fascista, scoprendo nella Resistenza un’occasione di riscatto e libertà. Settantamila donne parteciparono ai Gruppi di Difesa, trentacinquemila furono le combattenti. Dobbiamo raccontare le loro storie, perché chi non ha memoria non ha futuro. Leggendo le testimonianze di Vera e Anna Maria capiamo il valore della Resistenza: l’assunzione di responsabilità dal basso, prima individuale poi collettiva, una concezione della vita come fatto sociale, come lotta per l’emancipazione delle proprie vite e delle vite degli altri, come battaglia per l’eguaglianza tra i generi e tra le classi. Aveva ragione Luca Borzani nei giorni scorsi a scrivere sul Secolo XIX: “Non si tratta tanto di chiedersi cosa possiamo fare per conservare la memoria della Resistenza quanto cosa può fare la memoria della Resistenza per ridare senso, corpo e anima a ritrovare speranza e impegno civile”. La memoria serve a cambiare il presente e a costruire il futuro.

La Spezia, piazza Brin, manifestazione del 22 aprile 2017    (foto Ercole Buoso)

La Spezia, piazza Brin, manifestazione del 22 aprile 2017
(foto Ercole Buoso)

CHE COSA SAREBBE SUCCESSO SE AVESSERO VINTO I FASCISTI E I LORO ALLEATI NAZISTI?
Serve anche la memoria di che cosa sono stati il fascismo e il nazismo. Perché dobbiamo sempre rispondere alla domanda cruciale: che cosa sarebbe successo se avessero vinto i fascisti e i loro alleati nazisti? Rispondo con le parole pronunciate da Gustavo Zageblesky il 25 aprile a Savigliano (Cuneo): “Guardiamo ai fatti e ricordiamo i programmi. La Germania vincitrice avrebbe istituito il ‘Reich millenario’. Avrebbe distrutto la civiltà liberale e cristiana, avrebbe instaurato il dominio della ‘razza ariana’, sterminando i ‘non integrabili’, gli ebrei, i rom, gli omosessuali, gli oppositori politici; avrebbe sottomesso le ‘razze inferiori’, gli slavi e anche i popoli latini dal sangue impuro per i tanti mescolamenti o ‘contaminazioni’ prodottesi nei secoli. Al di là del nostro piuttosto ridicolo orgoglio nazionalistico e della retorica da eredi della ‘romanità’, saremmo stati costretti a servire l’impero ariano. Oggi si dice che all’Italia sarebbe stato riconosciuto un suo degno posto nel nuovo ordine mondiale, cioè la mano libera nella colonizzazione di alcune parti del continente africano. Che bella prospettiva: colonialismo su larga scala! Saremmo stati dei colonizzatori a nostra volta colonizzati. Comunque, la guida del nuovo mondo doveva essere la Germania, con la sua ideologia, la Wehrmacht, le SS, la Gestapo, i campi di concentramento e di sterminio. L’Italia e l’Europa tutta sarebbero state sotto il giogo d’un regime di pretesi super-uomini che avevano dato prova di sé scatenando guerre d’espansione e pulizie etniche, provocando milioni di morti, diffondendo il terrore nella vita quotidiana, promuovendo mostruosi esperimenti e campagne eugenetiche. Non sono esagerazioni: questo era l’alleato, questi i super-uomini che i nostri fascisti goffamente volevano imitare, questa l’ideologia totalitaria razziale che già fin all’inizio di quella tragica avventura era stata annunciata a chiare lettere, a chi avesse voluto intendere, nel ‘Mein Kampf’ di Adolf Hitler”.

IL NEOFASCISMO E IL NEONAZISMO TRA NOI
A Spezia è stata sgominata una cellula neofascista e neonazista che ha colpito e voleva colpire “froci”, “negri”, “zingari”, persone di sinistra o della Caritas, ebrei. La reazione della città deve essere ferma, forte e unitaria, a partire dalla manifestazione sindacale del 1° maggio. Concludo con le parole finali dell’intervento che ho pronunciato, a nome del Comitato Unitario della Resistenza, alla fiaccolata di Migliarina la sera del 24 aprile: “Infine una considerazione legata alla nostra città, in cui si terranno a breve le elezioni amministrative. Non spetta ovviamente a noi, forze della Resistenza, parlare di programmi. Ma una cosa possiamo, anzi dobbiamo dirla: ognuno di questi programmi dovrebbe avere una pregiudiziale, quella democratica e antifascista, che dovrebbe costituire sempre il fondamento di ogni politica. Perché la nostra Repubblica è democratica: lo dice l’art. 1 della Costituzione. Ed è antifascista: ogni parola, ogni riga, ogni principio della Costituzione sono l’esatto contrario di tutto ciò che rappresentano i fascismi di ieri, di oggi e del futuro. Se il fascismo si ripresenta va combattuto: non certamente con la violenza ma con la battaglia politica e culturale, e con il necessario richiamo alle leggi dello Stato che impediscono la ricostituzione del partito fascista e la propaganda del fascismo”. Attorno a questa impostazione occorre unire tutte le forze democratiche e tutti i cittadini democratici.

Post scriptum
Dedico questo articolo a Giovanni Vergassola “Ninetto”, partigiano della Brigata “Gramsci”, scomparso nei giorni scorsi. Operaio, uomo gentile e generoso, è stato per molti anni animatore instancabile del Comitato Unitario della Resistenza.
Ho ricordato Vera Del Bene nel mio intervento alla manifestazione in piazza Brin del 22 aprile, organizzata dalla Sezione Centro dell’Anpi, dalla CNGEI (l’associazione dei Boy scout) e dalla Parrocchia di Nostra Signora della Salute; la foto in basso, di Ercole Buoso, ritrae un momento della manifestazione. Vera, nel dopoguerra, visse nel quartiere umbertino. Insieme a lei ho ricordato don Antonio Mori, parroco di piazza Brin, arrestato e incarcerato a Marassi, e Ermanno Gindoli della Colonna “Giustizia e Libertà”, le cui esequie, a liberazione avvenuta, si tennero nella chiesa di piazza Brin.
Ho ricordato Anna Maria Vignolini nel mio intervento alla manifestazione in piazza Matteotti a Sarzana il 23 aprile, dopo la camminata partigiana “Percorsi della Resistenza”, organizzata dalla Sezione di Sarzana dell’Anpi e da molte altre associazioni. La foto in alto ritrae il partigiano della Brigata “Muccini” Piero Guelfi “Danilo” mentre interviene nella tappa della camminata a Prulla, dov’era la sede del suo distaccamento, il “Garbusi”. Ho raccontato la storia di Piero in questa rubrica (9 dicembre 2012).

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