Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
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Aiuta una persona, fallo adesso

a cura di in data 4 Febbraio 2017 – 20:08
Auschwitz  (2005)    (foto Giorgio Pagano)

Auschwitz (2005) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 29 gennaio 2017 – Che cos’è la memoria? Al Museo Ebraico di Berlino c’è una torre, vuota. Si accede dopo aver camminato lungo quello che il progettista del Museo, l’architetto Daniel Libeskind, ha definito l’asse dell’Olocausto; quando si entra, si finisce dentro una torre alta, nera e vuota; è buia e la luce filtra solamente da una fessura minima. Chi vi accede, vive una sensazione di spaesamento, simile a ciò che Primo Levi descrive nel capitolo “Sul fondo” di “Se questo è un uomo”. La memoria è come quella torre, vuota ed enorme; è compito e dovere di ognuno riempirla di senso. Di conoscenza e di riflessione, sul passato e sul presente.

A Ortonovo, dove ho parlato della Giornata della Memoria ai ragazzi, ho letto, per conoscere e per riflettere, brani tratti dalle testimonianze di deportati spezzini. A cominciare da Alfredo Angeloni, che ci ha appena lasciati: era l’ultimo spezzino sopravvissuto a Mauthausen, il campo di sterminio degli spezzini. Per me Alfredoera soprattutto un caro amico, conosciuto proprio nel pellegrinaggio ai campi del 2005, l’anno del sessantesimo della Liberazione (il mio ricordo è uscito ieri sul nostro giornale, con il titolo “Muore Alfredo Angeloni, l’ultimo sopravvissuto spezzino a Mauthausen”). Poi ho letto brani dei suoi compagni Bruno Tartarini e Adriano Rigouard, e di Bianca Paganini. Tutti deportati politici, antifascisti e resistenti. Da noi i deportati ebrei furono pochissimi, perché scarsamente presenti in città. Ma non dobbiamo dimenticare la piccola Adriana Revere, ebrea, e i suoi genitori: nessuno di loro tornò. La storia della deportazione spezzina ci aiuta a capire che l’olocausto degli ebrei rappresenta una parte rilevantissima della tragedia, ma non tutta. Dobbiamo quindi ricordare tutte le vittime.

Ma quanti furono i deportati? Secondo uno studio condotto dall’HolocaustMemorialMuseum di Washington potrebbero essere tra 15 e 20 milioni le persone imprigionate o uccise dai nazisti, a fronte di una rete di campi di sterminio e centri di detenzione due volte più ampia di quella presa in considerazione finora. La ricerca sarà pubblicata in sette volumi nel 2025. I ricercatori hanno catalogato tutti i campi di lavoro, campi di prigionia e ghetti creati dal regime di Hitler, insieme ai campi di sterminio, arrivando così a identificare oltre 42.500 siti usati per perseguitare e uccidere. Una cifra che ha scioccato gli studiosi, gli stessi che avevano identificato in precedenza oltre 20mila centri usati dai nazisti.Ecco perché i ricercatori stimano che siano state tra 15 e 20 milioni le persone che vennero uccise o imprigionate nei centri allestiti dai nazisti o dai governi fantoccio nei Paesi occupati, dalla Francia alla Romania. Mentre fino a oggi le stime dell’Olocausto erano di cinque-sei milioni di ebrei e di altre sei milioni di persone.

La Spezia, manifestazione al molo di Pagliari, 8 maggio 2006    (foto Giorgio Pagano)

La Spezia, manifestazione al molo di Pagliari,
8 maggio 2006 (foto Giorgio Pagano)

In ogni caso le cifre ci spiegano che le vittime non furono solo ebree. Tuttavia la politica integrale di esclusione e di sterminio fu applicata solo ad alcune categorie umane: gli ebrei, i rom e i disabili. Occorre conoscere e riflettere su questo punto: il genocidio nazista non si verificò in un vuoto, come ci spiega lo storico Henry Friedlander, ma aveva dietro di sé un’ideologia. Esso fu il metodo più radicale per escludere alcune classi umane dalla comunità tedesca. La linea politica di esclusione si sviluppò nel corso di oltre cinquant’anni di opposizione “scientifica” alla tesi dell’eguaglianza tra gli uomini. L’élite tedesca, vale a dire i membri delle classi professionalmente evolute, aveva progressivamente accettato un’ideologia di ineguaglianza umana. Genetisti, antropologi e psichiatri avanzarono una teoria di ereditarietà umana che si mescolava con la dottrina razzista ultranazionalista, tale da formare un’ideologia politica basata sulla razza. Il movimento nazista assorbì e sospinse questi ideologi. Dopo la loro ascesa al potere nel 1933, i nazisti crearono la cornice politica che rese possibile trasformare quell’ideologia di ineguaglianza in una politica di esclusione e di sterminio. Al tempo stesso l’élite burocratica, professionale e scientifica fornì al regime la necessaria legittimazione di quella politica. Il regime voleva istituire una società basata su una comunità nazionale “razzialmente omogenea, fisicamente robusta e mentalmente sana”. Tre categorie di cittadini tedeschi non rientravano nei parametri di questa società visionaria. Erano gli ebrei, i rom e i disabili, e l’ereditarietà determinava la loro selezione come vittime. Nonostante il regime perseguitasse e spesso eliminasse donne e uomini per le loro convinzioni politiche, per la loro religione, comportamento o attività, i nazisti applicarono una politica integrale di esclusione e di sterminio soltanto alle tre categorie biologicamente definite. Per questo furono sterminati cinque-sei milioni di ebrei, mezzo milione di zingari e 200.000 disabili.

Non si trattò di un’esplosione di follia ma di un piano elaborato e deliberato di modificare non soltanto la carta geografica e la geopolitica dell’universo, ma la gerarchia stessa dell’umanità. Un piano che non si sarebbe potuto realizzare se il vertice nazista non avesse avuto la connivenza non soltanto della maggioranza del popolo tedesco ma anche dei collaborazionisti di tutti i regimi associati al Terzo Reich, italiani compresi. E’ vero che il fascismo non si può equiparare al nazismo dal punto di vista della ferocia, ma il fascismo emanò le leggi razziali, e in Etiopia e nei Balcani gli italiani compirono crimini orrendi.

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I sopravvissuti dei lager, al di là della condanna dei crimini, lanciarono un messaggio positivo. Alla metà di aprile del 1945 i sopravvissuti di Buchenwald, come accadrà anche in altri lager liberati, sintetizzarono il loro testamento morale e politico in queste parole: “La nostra parola d’ordine è l’annientamento del nazismo sin dalle sue radici. Il nostro obiettivo è la costruzione di un nuovo mondo di pace e di libertà”.

72 anni dopo è d’obbligo un bilancio. La Giornata della Memoria serve per questo: è un momento di conoscenza e di riflessione sul passato che riguarda il nostro presente. Riguarda noi piuttosto che i nostri padri o nonni.Oggi qual è la minaccia più insidiosa? Non è il negazionismo né il neofascismo o ilneonazismo, fenomeni che pure esistono e vanno combattuti, ma piuttosto l’acquiescenza diffusa a comportamenti di insofferenza se non di ostilità nei confronti dell’altro.

Nessuno ha il coraggio di dirsi anti-semita o anti-musulmano, ma nei fatti il prevalere di una sorta diagnosticismo etico ci riporta al punto in cui tutto è incominciato, alla deresponsabilizzazione e all’indifferenza. È un problema politico e culturale di enorme portata che si inserisce nella crisi dell’Europa e dell’Occidente non meno che in quella della nostra democrazia. O ci riconosciamo nell’altro o vince l’indifferenza.

Nel 1995 ci fu l’orrore diSrebenica, in Bosnia: abbiamo visto, ma non siamo riusciti a impedire il genocidio. Quindici mesi prima era avvenuto in Ruanda. Ora ad Aleppo, in Siria. E il muro tra Ungheria e Serbia, e ora quello tra Messico e Stati Uniti non fanno riflettere? Come stiamo affrontando la tragedia delle migrazioni?

Che fare, allora? Vale la risposta del Direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz e Birkenau Piotr M. A. Cywinski nel suo libro “Non c’è una fine. Trasmettere la memoria di Auschwitz”: “Non illuderti che sia sufficiente prendere una posizione, denunciare pubblicamente un tiranno totalitario. Questo potrebbe al più irritare il tiranno, ma certo rovinare il senso di benessere del tiranno non è l’obbiettivo principale. Non è questa la preoccupazione principale degli individui che stanno per morire, o i cui figli moriranno presto tra le loro braccia. I Giusti tra le Nazioni non scrivevano lettere di protesta contro Hitler. Non focalizzarti a combattere la causa alla radice. Sii minimalista. Aiuta una persona. Solo una. Puoi sempre farlo. Fallo adesso”. La responsabilità personale, la scelta morale, la trasformazione dellavita quotidiana: sta qui la leva del cambiamento politico e sociale.

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Dopo l’Olocausto, Spezia fu protagonista di una bellissima pagina di storia: il sostegno agli ebrei sopravvissuti ai campi, che partirono dal nostro porto, dal molo Pirelli a Pagliari, diretti verso Haifa.Era l’8 maggio 1946. Nella foto in basso vedete una fotografia scattata durantela manifestazione tenutasi al molo di Pagliari l’8 maggio 2006, a sessant’anni di distanza dalla partenza delle navi. C’erano, tra gli altri, Ruth Arazi, figlia di YehudaArazi, allora capo dell’emigrazione clandestina ebraica in Italia, e RaananRubinshtein, che nel 1946 era a bordo di una di quelle navi. Sono d’accordo che il molo sia usato come struttura che delimiti la nuova Marina del Levante, così come prevede il Piano Regolatore del Porto.Ma il molo è stato giustamente dichiarato bene storico dal Ministero dei Beni Culturali e dalla Sovrintendenza regionale e vincolato da disposizioni di tutela. Autorità Portuale e Comune non possono che ripensare il progetto approvato, troppo invasivo. La Marina va realizzata, ma il molo è un bene storico da rispettare e valorizzare, e la sua fruibilità deve essere pubblica. E’ un atto da fare subito, per riempire di senso la nostra torre della memoria.

Post scriptum:
Sulla deportazione spezzina si possono vedere, in questa rubrica:
Alfredo Angeloni: una voce della memoria dai campi di sterminio”, 27 gennaio 2013
La dolcezza e la serenità di Bianca”, 10 marzo 2013
Storia di Adriano, deportato a 17 anni”, 24 novembre 2013
Migliarina ricorda”, 23 novembre 2014

lucidellacitta2011@gmail.com

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