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Il Fodo, il futuro di Lerici e la coscienza costituzionale

a cura di in data 27 Novembre 2016 – 14:58
Didascalia foto orizzontale: Lerici, La Serra, Cavaneo dello Spirito Santo, mostra fotografica "Il Promontorio del Caprione", Sala consiliare del Comune di Lerici - Castello di Ameglia , giugno - luglio 2015   (foto Giorgio Pagano)    (2015)

Lerici, La Serra, Cavaneo dello Spirito Santo,
mostra fotografica “Il Promontorio del Caprione”,
Sala consiliare del Comune di Lerici – Castello di Ameglia
giugno – luglio 2015 (foto Giorgio Pagano) (2015)

Esistono edifici che nella loro unicità rappresentano la bellezza e la storia del territorio in cui sorgono. Uno di questi è certamente Villa Volpara, alla Rocchetta di Lerici, conosciuta nel territorio lericino come “Il Fodo”.

La villa è un edificio settecentesco (forse di fine Seicento) con annessa cappella utilizzata dai proprietari come casino di caccia. Ha ospitato varie personalità, il cui passaggio è stato documentato da affreschi nel vano di accesso, tra cui il cardinale Giustiniani, legato apostolico di Gregorio XIV, di ritorno da Lisbona.
E’ immersa in zona parco, in un’oasi di pace e di natura, tra lecci secolari e roverelle, in collina ma facilmente raggiungibile dalle località vicine. I quattro ettari della proprietà sono percorsi da un gran numero di sentieri, che furono disegnati nei primi anni dell’Ottocento secondo un progetto “romantico” di sistemazione e fruizione del verde.
Durante la Guerra di Liberazione, dal novembre 1943 al settembre 1944, la villa fu sede di una tipografia clandestina organizzata dal Partito Comunista per volontà del CLN della Spezia. Le macchine erano collocate nelle cisterne della villa. Al “Fodo” furono stampati migliaia di volantini e di giornali che furono diffusi in tutta la provincia alimentando la lotta dei primi nuclei della Resistenza: gli scioperi del gennaio-marzo 1944 e la formazione delle bande partigiane ai monti.

Ho raccontato questa bella pagina di storia in questa rubrica, nell’articolo “Lerici ribelle” (27 aprile 2014). In quell’articolo scrivevo: “Il ‘Fodo’ va salvato, e diventare uno degli snodi di quello straordinario ‘museo all’aria aperta’ da realizzare nelle colline di Lerici, da Portesone a Barbazzano, da Vallestrieri a San Lorenzo, Che dovrebbe diventare un grande ‘progetto simbolico’, di sviluppo culturale e turistico, della nuova Lerici”.
Oggi aggiungerei: “senza dimenticare il patrimonio dei forti (Rocchetta, Santa Teresa bassa, Pianelloni, Falconara, Canarbino Punta Bianca)”. Bene, qualche cosa si sta muovendo in questa direzione, grazie soprattutto agli amici della sezione Anpi di Lerici. La proprietaria del “Fodo”, contattata dall’Anpi, ha manifestato al Comune di Lerici la decisione di vendere e ha espresso l’intenzione che il bene rimanga di fruibilità pubblica. Il prezzo è “abbordabile”: 250.000 euro. Che ovviamente non basteranno, perché all’acquisto da parte del pubblico dovranno seguire la ricostruzione e il restauro, a fini di riuso. Attualmente la villa è in stato di totale abbandono: le coperture e i solai sono crollati e in buona parte bruciati, e mancano completamente gli impianti. Oltre a un corpo principale a uso residenziale, ci sono un corpo secondario accatastato come casa rurale (si presume che fosse la residenza del personale di servizio) e una piccola cappella, che un tempo era l’accesso principale alla villa.
Ma come riusare questo patrimonio? L’Anpi ha presentato al Comune di Lerici e al Parco Naturale Regionale Montemarcello-Magra-Vara una proposta progettuale di recupero e valorizzazione dell’edificio e del parco che si inserisce nella visione concettuale ¬¬¬eco museale. Gli ecomusei, definiti attualmente sempre più spesso “Musei di Idee“, sono visti come beni e territori di cui le comunità si prendono cura, non solo in termini di superficie fisica, ma anche e soprattutto come complessa stratificazione di elementi storici, ambientali, sociali e culturali che definiscono uno specifico patrimonio identitario di un luogo.

E’ una proposta progettuale attenta ai temi del paesaggio, della storia e della sostenibilità: punta a preservare la memoria storica del luogo attraverso un “museo del racconto” sulla Resistenza, ma anche sulla cultura contadina che ne ha caratterizzato la vita nei secoli.
L’ecomuseo del “Fodo” è pensato, in particolare, come luogo per raccontare la memoria della Resistenza, attraverso il ricordo della tipografia clandestina e delle lotte che essa preparò. La proposta prevede percorsi didattici che non si limitino a trasmettere nozioni, ma siano progettati per stimolare una conoscenza critica dei temi trattati: la storia e la memoria, i valori della democrazia e della pace, il tema dei diritti umani e civili, la riflessione sulla cittadinanza.
Dovrebbe essere un tassello di quel “museo del racconto” sulla Resistenza spezzina, quella della IV Zona operativa, che non abbiamo ancora, perché il Museo Audiovisivo della Resistenza di Fosdinovo sostanzialmente racconta, per la parte della nostra provincia, la Resistenza sarzanese. Questo “museo del racconto” sulla nostra Resistenza dovrebbe avere il punto focale in un “centro di documentazione” a Spezia: possediamo una tale mole di materiali da archivio, suddivisi in tante sedi associative -e abbiamo anche materiali da richiedere, come nel caso dei processi per le stragi svoltisi a Spezia- , che questa idea va assolutamente presa in considerazione. Ed è bene che il Comitato Unitario della Resistenza, l’Istituto Storico e il Comune capoluogo abbiano cominciato a farlo.
Tornando al “Fodo”, la proposta progettuale prevede nei seminterrati del fabbricato depositi e vani tecnici ed espositivi; il piano terra destinato a ingresso e a punto di accoglienza, sale espositive polifunzionali, posto di ristoro e servizi igienici; il piano alto destinato a funzioni ricettive.
Il Comune di Lerici ha messo a bilancio per il 2017 100.000 euro per l’acquisizione del bene, non sufficienti , come abbiamo visto, nemmeno per l’acquisizione. Ma altri contributi vanno ricercati: regionali, nazionali ed europei, oltre a quelli della Fondazione Carispezia.

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 Lerici, monte Caprione, la "farfalla dorata" proiettata sulla roccia al tramonto al solstizio d'estate    (2014)    (foto Giorgio Pagano)

Lerici, monte Caprione,
la “farfalla dorata” proiettata sulla roccia
al tramonto al solstizio d’estate
(2014) (foto Giorgio Pagano)

Il progetto è davvero importante per Lerici. Il “cambio”, dopo tanti anni, di “colore” politico dell’Amministrazione Comunale comporta, com’è naturale, che la polemica politica sia all’ordine del giorno. Ma questa discussione non dovrebbe limitarsi ai pur importanti problemi quotidiani: serve alzare lo sguardo sul futuro. Per porsi la domanda chiave: qual è il punto di forza su cui far leva per la rinascita di Lerici? Non ci sono dubbi: è l’ambiente naturale, è l’identità del territorio. La valorizzazione di questa identità -cioè dei prodotti materiali e immateriali che si trovano solo a Lerici- è la condizione per creare nuovi posti di lavoro e per attrarre residenti, turisti, investitori. In questo quadro ha un ruolo decisivo il mare, ma non solo. Serve anche il recupero delle colline attraverso il ritorno all’agricoltura. Che ha un ruolo altrettanto decisivo: sia direttamente che indirettamente, per l’importanza del ritorno alla terra nella tutela dei valori naturalistici e paesaggistici del territorio, che rappresenta un requisito essenziale del rafforzamento del settore turistico e della rinascita del mercato dell’edilizia rurale. Va fatta vivere la connessione dell’agricoltura con tante altre attività: produzione alimentare tipica, enogastronomia, agriturismo, artigianato, cultura, agricoltura sociale, economia solidale, energie rinnovabili. Queste attività, unite in un unico grande progetto, farebbero da formidabile “massa critica”. Lerici, La Serra e Tellaro diventerebbero le tre “porte” del Parco collinare, connesso a due altri “Parchi” a cui dar vita: il “Parco storico”, dedicato alla Lerici archeologica, romana, medievale, militare e della navigazione; e il “Parco letterario”, dedicato ai grandi poeti e scrittori che hanno tratto ispirazione dalle bellezze di Lerici. Dentro questa “visione” avevamo pensato qualche anno fa, con Lauro Cabano e altri amici, a realizzare nel cuore di Lerici -in una parte dell’edificio sede della scuola elementare- il “Centro di valorizzazione dell’identità del territorio”: archivio storico, biblioteca, libreria, ristorante, centro culturale sulla cucina lericina e ligure, sede di attività formative, culturali e di educazione degli adulti. Un “Centro” connesso a tutto ciò che c’è o dovrebbe esserci in collina. Compreso il “Fodo” recuperato, così come andrebbero recuperati Vallestrieri e, perché no, Portesone. Con una grande attenzione alla qualità degli interventi, al rispetto del contesto storico e ambientale, alla fruibilità pubblica dei beni.

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Ma l’ecomuseo del “Fodo” è importante anche per raccontare la memoria della Resistenza. E’ un residuo del passato, che non ci parla più? Non credo. Anche quest’anno, nell’anniversario del 10 settembre, quando la tipografia clandestina fu scoperta, sono salito al “Fodo” con l’Anpi di Lerici, fino al pranzo consumato alla Rocchetta. Eravamo in molti. Così come, qualche settimana prima, eravamo in molti alle pendici del monte Gottero, a ricordare il rastrellamento del 3 agosto 1944: una manifestazione che si tiene da due anni -per iniziativa del Comune di Sesta Godano- e che ha tutte le caratteristiche per entrare nella tradizione e diventare una grande festa popolare. E poi lo vedo dalle presentazioni, ormai in ogni località di Spezia e della Lunigiana, di “Eppur bisogna ardir”: hanno sorpreso anche me, per come sono sempre occasione di grande partecipazione politica ed emotiva. No, la Resistenza è ancora il mito fondativo della Repubblica. Così ho scritto in “Eppur bisogna ardir”: “Non c’è alternativa a una riconsiderazione e a una reinterpretazione dell’antifascismo e del ‘patriottismo costituzionale’ come spazio repubblicano super partes: quali altri ideali abbiamo se non quelli che ci hanno ispirato nella lotta di Liberazione? L’unica alternativa è una repubblica priva di ogni elemento identitario, complesso di procedure gestite da una classe politica sempre più ‘castale’: una prospettiva inaccettabile”.
E così veniamo al conflitto dei giorni nostri. Il nesso tra Resistenza e Costituzione è indelebile, perché scritto con il sangue dei partigiani che riconquistarono all’Italia la libertà e la dignità perduta. Il che non significa che la Costituzione non possa, in alcune sue parti, essere cambiata. Ma non abbiamo bisogno del “cambiamento per il cambiamento”. Il punto è la direzione del cambiamento, che deve realizzare più, e non meno, eguaglianza, partecipazione e rappresentanza. Oggi la “cifra” della riforma proposta sta in una verticalizzazione/centralizzazione del sistema politico-istituzionale, nel nome, si dice, della “democrazia decidente”. E’ un cambiamento che comporta prezzi sul piano dell’eguaglianza, della partecipazione e della rappresentanza. Meglio evitarlo.

E’ doveroso chiedersi, in tempi di crisi della democrazia, se i mutamenti che si vogliono introdurre siano i più indicati per rafforzarla rinnovandola, e non restringendola. La Costituzione nata dalla Resistenza nacque il 27 dicembre 1947, all’indomani dell’estromissione dei comunisti e dei socialisti dal governo. Fu un compromesso di alto profilo, che consentì a in paese sconfitto nella guerra e segnato dalle contrapposizioni che stavano dividendo aspramente le forze antifasciste, di non deragliare dalla democrazia appena conquistata e di procedere alla ricostruzione del Paese. Paolo Franchi, commentatore politico del “Corriere della Sera”, solitamente molto vicino alle posizioni di Giorgio Napolitano, ha scritto nei giorni scorsi: “Non è necessario essere dei nostalgici per faticare a credere che la Costituzione ‘nuova’ possa garantire risultati anche solo lontanamente comparabili a quelli conseguiti ai tempi della Costituzione ‘vecchia’. E per chiedersi se, a incrementare i dubbi, non concorra anche il fatto che il clima in cui dovrebbe nascere non sia di collaborazione, ma di scontro frontale”. Meglio tenersi la Costituzione ‘vecchia’, battersi per attuarla e proporsi di aggiornarla guidati da quella che il costituente democristiano Giuseppe Dossetti chiamava “coscienza costituzionale”, cioè il senso/valore della Legge fondamentale che presiede alla “casa comune”.

lucidellacitta@gmail.com

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