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Il 25 aprile, tutt’altro che una ritualità

a cura di in data 30 Aprile 2016 – 14:46

Città della Spezia, 26 aprile 2016 – La memoria, diceva Primo Levi, è sempre a rischio. E’ vero, ogni volta che arriva il 25 aprile prima di decidersi se andare alla manifestazione, ci si chiede: ma serve? E c’è chi, come confessa Alberto Scaramuccia su Città della Spezia, preferisce guardare la Tv. Io credo, invece, che serva. Proprio per combattere “il degrado morale in cui il nostro Paese è precipitato”, che giustamente Scaramuccia denuncia.

Sono d’accordo sul fatto che non serve la “retorica agiografica”. Ma io non ne ho quasi sentita, in questi giorni. Su Città della Spezia lo testimoniano i resoconti di alcuni incontri e manifestazioni. Io racconto il mio 25 aprile. Al mattino il partigiano Franco Bernardi, al Monumento alla Resistenza ai Giardini, ha narrato la sua “scelta morale”, che lo portò, appena diciottenne, a ribellarsi al professore fascista del liceo e a seguire il padre, partigiano ai monti. Poi Framura: la mostra fotografica sul ruolo delle donne nella Resistenza, il pranzo con i partigiani e i giovani, una bellissima “lezione di storia” su Resistenza e Costituzione tenuta dai bambini delle scuole che hanno intervistato i loro bisnonni e bisnonne… Infine una discussione, con i due Sindaci di Framura e Deiva e con tanti cittadini, su come affrontare i grandi problemi del nostro tempo: il lavoro per i giovani, l’accoglienza dei migranti, i principi di libertà, la possibilità di effettiva partecipazione alla cosa pubblica… Lo si può fare, abbiamo convenuto, solo tornando ai valori della Resistenza e allo “spirito costituente”. Solo attuando la Costituzione: perché la Costituzione è anche un manifesto programmatico, che impegna la Repubblica a disegnare un futuro di giustizia e progresso sociale.
Iniziative come queste si sono tenute in tutti i paesi e quartieri, con l’impegno delle sezioni Anpi, dei circoli Arci, dei Comuni. Dovunque si è ribadito il motto ‘Ora e sempre Resistenza’: tutt’altro che un gesto rituale, ma un atto di impegno e di lotta per il cambiamento del nostro Paese e del mondo.

E’ vero, in questi anni il Paese e il mondo si sono guastati in modo tale che a tutti ci spaventa e a tanti ha fatto perdere la fiducia di poterlo riparare. Per questo ricordare il 25 aprile ci aiuta. Perché si trattò di un’avventura al limite dell’impossibile, di un evento straordinario che ci insegna che si può sempre osare se c’è uno scatto dell’impegno personale e sociale. Se ci si sente attori e non spettatori, se si intende la vita come un cammino non solo individuale ma collettivo, con gli altri e per gli altri. Certo, viviamo in un’Italia in cui l’azione collettiva è scivolata fuori dall’azione esistenziale, in cui domina l’istinto di sopravvivenza: “salva te stesso”. Ma ci salverà solo un possibile “collettivo” del futuro. Il mio maestro don Andrea Gallo, prete partigiano, citava sempre il pedagogista brasiliano Paulo Freire: “Nessuno si libera da solo. Nessuno libera un altro. Ci si libera tutti insieme”. Se lasciamo passare il prevalere dell’io sul noi, se diventiamo spettatori passivi e abulici senza reagire, allora sì che la celebrazione del 25 aprile diventerà solo retorica. Per celebrare davvero bene la Festa della Liberazione, dunque, dobbiamo ritrovare la voglia e l’impegno della Resistenza e della fondazione della Repubblica, non chiuderci nelle angustie dell’io, riabituarci a declinare il noi.

Circa le critiche di Scaramuccia all’antifascismo di non essere “sinonimo di democratico” perché nel dopoguerra alcuni (pochi) partigiani diventarono nemici della democrazia, o perché nella Resistenza ci furono alcune (poche) ombre e violenze, rispondo con le parole che un altro mio maestro, il comandante Nello Quartieri “Italiano”, mi disse poco prima di morire, invitandomi a continuare la comune battaglia per rendere giustizia a “Facio”: “Dobbiamo liberare la coscienza della Resistenza dalle sue macchie, per renderla più pura e quindi più fonte di insegnamento morale”. I partigiani erano umani, quindi necessariamente pieni di contraddizioni: nella vita vera l’assoluto non c’è. Ma resta il dato storico di fondo: se abbiamo uno Stato democratico e una Patria, lo dobbiamo a loro.

Giorgio Pagano
Copresidente del Comitato Unitario della Resistenza

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