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Appello per il NO nel Referendum Costituzionale sulla legge Renzi-Boschi per la raccolta delle firme per indire i Referendum Abrogativi della Legge Elettorale

a cura di in data 3 Marzo 2016 – 13:22

LE RAGIONI DEL NO

Il progetto di revisione della Costituzione in procinto di essere approvato dalla Camere – progetto che in autunno sarà sottoposto a referendum popolare – è un ulteriore tentativo di stravolgimento della nostra legge fondamentale.

Il nostro sistema di democrazia parlamentare prevede che le revisioni costituzionali, in particolar modo quella che abbiamo di fronte, così vasta e complessa, debbano essere frutto dell’iniziativa parlamentare e non del Governo.
L’inversione dei ruoli ha determinato inammissibili interferenze da parte del Governo sulla libertà di coscienza dei parlamentari in sede referente e in assemblea e ha consentito l’utilizzo di inaccettabili forzature come quella sull’ asserita non emendabilità degli articoli approvati sia da Camera che da Senato, che se è un principio valido per le leggi ordinarie non lo è certamente per le leggi costituzionali.
Attraverso questi e altri strumenti, indegni di una corretta prassi di revisione costituzionale, si è tradito lo spirito dei costituenti che, nel prevedere la possibilità e l’opportunità di eventuali modifiche alla Carta, ne hanno individuato quei percorsi finalizzati ad evitare che ogni maggioranza politica, ogni Governo potesse rifarsi la propria Costituzione.

La revisione costituzionale non avrebbe dovuto essere nemmeno presentata in questa legislatura.
Con una legge elettorale, il “Porcellum”, dichiarata in parte illegittima dalla Corte Costituzionale, abbiamo un Parlamento composto sostanzialmente da nominati e con un premio di maggioranza sproporzionato. Pertanto questo Parlamento non ha l’autorevolezza e la legittimazione politica a modificare la Costituzione.

La legge di revisione costituzionale è disomogenea nel contenuto, e pertanto contraria all’art. 48 della Costituzione, in quanto costringe l’elettore a esprimere con un solo voto il suo favore contestualmente a proposito sia delle modifiche alla forma di governo, sia delle modifiche ai rapporti tra Stato e autonomie locali, anche nel caso in cui egli sia favorevole solo a una delle due. Ripetendo così l’errore della riforma Berlusconi del 2005, che violava per l’appunto la libertà di voto dell’elettore.

Molti articoli del ddl Renzi-Boschi violano alcuni principi supremi dell’ordinamento costituzionale, come tali non sopprimibili neanche con legge di revisione costituzionale.
E’ ineliminabile il principio della sovranità popolare (art. 1 della Costituzione), così come è ineliminabile il principio di eguaglianza e di razionalità (art. 3 della Costituzione).
L’esigenza dell’elettività diretta del Senato consegue dal fatto che il Senato eserciterebbe, anche secondo il ddl Renzi-Boschi, sia la funzione legislativa sia la funzione di revisione costituzionale che, per definizione, costituiscono il più alto esercizio della sovranità popolare.
Da qui l’ineludibilità del voto dei cittadini che, della sovranità popolare, «costituisce il principale strumento di manifestazione».
Senza poi dimenticare che solo l’elezione popolare diretta consentirebbe di svincolare l’elezione del Senato dalle beghe esistenti nei micro-sistemi politici regionali e di garantire la necessaria autonomia ai senatori eletti.
Passando alle violazioni del principio di eguaglianza e di razionalità (art. 3), la prima e più evidente consiste nella macroscopica differenza numerica dei deputati rispetto ai senatori, che rende praticamente irrilevante – nelle riunioni del Parlamento in seduta comune per l’elezione del Presidente della Repubblica e dei componenti laici del CSM – la presenza del Senato a fronte della soverchiante rappresentanza della Camera.
Sotto un diverso profilo, la competenza dei 100 senatori ad eleggere due giudici costituzionali mentre i 630 deputati ne eleggerebbero solo tre, solleva sia un problema di proporzionalità a svantaggio della Camera, sia un problema di inadeguatezza tecnica dei senatori nella scelta dei giudici costituzionali, che finirebbe per essere effettuata dalle segreterie nazionali dei partiti politici.
Né si può sottacere che, secondo la riforma Renzi-Boschi, i 95 senatori eletti dai consigli regionali continuerebbero ad esercitare part time la funzione di consigliere regionale o di sindaco, per cui è facile prevedere che eserciterebbero in maniera del tutto insufficiente le funzioni senatoriali. Con un’ulteriore evidente violazione del principio di eguaglianza-razionalità.

Di minore importanza pratica è il problema, che però testimonia la trascuratezza e superficialità del disegno costituzionale del Governo, della nomina presidenziale dei cinque senatori che durerebbero in carica per sette anni, quanto quindi il Presidente che li ha nominati.
La nomina di senatori a vita ha un senso in un Senato avente finalità generali, altra cosa, assai più discutibile, sono i senatori eletti in un Senato delle autonomie.
Volendo a tutti i costi mantenere questo pubblico riconoscimento per chi ha illustrato la Patria, sarebbe allora più logico che il riconoscimento avvenisse nell’ambito della Camera dei deputati, in quanto essa sola manterrebbe le funzioni di rappresentanza generale del popolo italiano nell’ambito delle quali i deputati “del Presidente” avrebbero una indubbia funzione culturale da svolgere.

Conclusioni

Tutti questi apparenti errori e strafalcioni costituiscono dei precisi tasselli che determineranno lo spostamento dell’asse istituzionale a favore dell’esecutivo.
E’ un disegno inseguito da tempo da quelle forze che hanno come obiettivo la mortificazione del principio di rappresentatività in nome di una governabilità destinata tuttavia a perdere gran parte della propria legittimazione democratica. E’ un grande errore restringere la rappresentanza proprio mentre viviamo la più grave frattura tra società e istituzioni della storia italiana.

E’ il disegno di quelle forze che, in nome di un risparmio di spesa tutto da dimostrare, hanno privato il paese dei diversi livelli di rappresentatività. La riduzione dei costi del ceto politico non deve comportare lo spostamento e la centralizzazione dei poteri decisionali lontano dai cittadini e il venir meno di ambiti di rappresentanza decisivi per la qualità della nostra democrazia, che vanno radicalmente riformati ma non marginalizzati.
Grazie all’attribuzione alla sola Camera dei deputati del rapporto fiduciario col Governo, e grazie all’Italicum – in conseguenza del quale il partito di maggioranza relativa, anche col 30 per cento dei voti e col 50 per cento degli astenuti, otterrebbe la maggioranza dei seggi – l’asse istituzionale verrà spostato decisamente in favore dell’esecutivo con buona pace della citata sentenza n. 1 del 2014 della Corte Costituzionale, secondo la quale la “rappresentatività” non dovrebbe mai essere penalizzata dalla “governabilità”.
Il Governo dominerà pertanto la Camera dei deputati cui non potrà contrapporsi, alla faccia della divisione dei poteri, alcun potenziale contrappeso: né “esterno” – essendo il Senato ormai ridotto ad una larva – né “interno”, grazie alla mancata esplicita previsione dei diritti delle minoranze (né il diritto di istituire commissioni parlamentari d’inchiesta, né il diritto di ricorrere alla Corte Costituzionale contro le leggi approvate dalla maggioranza). Potrebbe diventare di parte perfino la decisione più grave, la guerra.
Il riconoscimento dei diritti delle opposizioni, nella Camera dei deputati, viene, dal “nuovo” art. 64, graziosamente demandato esclusivamente ai regolamenti parlamentari, con la conseguenza che sarà il partito avente formalmente la maggioranza parlamentare e, quindi, il Governo, a precisarne i contenuti.
Con riferimento ai rapporti tra Stato e Regioni, la cartina di tornasole della contrazione delle autonomie territoriale è data dalla previsione della così detta “clausola di supremazia” (art. 117), con riferimento alla quale l’ex Presidente della Consulta, Gaetano Silvestri, ha osservato nel corso di un’audizione dinanzi al Senato, come susciti perplessità la previsione di una tale clausola, la quale «ingloba in sé non solo la “tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica” pienamente condivisibile, ma anche la reintroduzione del famigerato “interesse nazionale”, che nella prassi anteriore della riforma del 2001, si era rivelato uno strumento di azzeramento discrezionale dell’autonomia regionale da parte dello Stato.

La revisione costituzionale, infine, introduce anche una contrazione della partecipazione popolare: aumenta il numero delle firme per le leggi di iniziativa popolare (da 50.000 a 150.000) e per il referendum abrogativo (solo con 800.000 firme c’è un abbassamento del quorum di validità). Per altri istituti di partecipazione, come il referendum propositivo, tutto è rinviato a future leggi e quindi alla disponibilità della maggioranza monopartitica.

Impedire la realizzazione di tale disegno e l’approvazione di una legge scritta male e soprattutto non adatta ai bisogni dell’Italia di oggi: questo ci spinge a impegnarci, anche alla Spezia, per votare no al referendum confermativo e per raccogliere le firme per i referendum abrogativi della legge elettorale. L’astensionismo in costante ascesa dimostra la crisi sempre più grave delle istituzioni di democrazia rappresentativa. Ci proponiamo perciò di informare compiutamente e suscitare dibattito diffuso sui processi in corso per far si che ognuno senta il dovere e la gioia di esprimere con un voto consapevole e partecipato, con cognizione di causa e passione civile, la propria scelta sul modello di società che preferisce.

icona-pdf Clicca qui per leggere il testo “Le ragioni del no”


I FIRMATARI DELL’APPELLO

  • Alfredo Angeloni, deportato a Mauthausen
  • Rodolfo Attinà, già Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica della Spezia
  • Renzo Barbaro, coordinatore del comitato Salviamo la Costituzione
  • Matteo Bellegoni, segretario provinciale della Cgil
  • Franco Bertini, insegnante
  • Carlo Bertolani, partigiano, presidente provinciale dell’Anpi
  • Francesca Castagna, avvocato
  • Gianluigi Colombo, volontario di Libera
  • Luigia Cordati Rosaia, già assessore comunale, consigliere regionale e parlamentare del Pci
  • Carlo Di Alesio, critico letterario
  • Lorenzo Di Alesio, medico palliativista
  • Nello Diofili, medico fisiatra
  • Piero Donati, storico dell’arte
  • Antonio Franciosi, già presidente provinciale dell’Anpi
  • Alfredo Giusti, presidente del Circolo Dossetti
  • Amilcare Mario Grassi, scrittore e poeta
  • Marco Grondacci, giurista ambientale
  • Angelo Landi, già presidente della Provincia, vicepresidente della Giunta regionale e parlamentare del Psi
  • Rosaria Lombardi, del Gruppo Azionenonviolenta
  • Roberto Mazza, docente universitario
  • Cristina Mirabello, vicepresidente dell’Istituto Spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea
  • Giorgio Pagano, già sindaco della Spezia, presidente dell’Associazione Culturale Mediterraneo
  • Pierluigi Peracchini, già segretario provinciale della Cisl
  • Andrea Ranieri, giornalista e scrittore
  • Pino Ricciardi, già presidente della Provincia
  • Franco Ricciardi Giannoni, già sindaco di Bolano
  • Mimma Rolla, partigiana, medico, fondatrice del Centro Adolescenti dell’Università di Pisa
  • Enrica Salvatori, docente universitaria
  • Mattia Tivegna, segretario provinciale della Fiom
  • Angelo Tonelli, poeta e grecista
  • Nunzio Vadalà, avvocato
  • Paolo Varrella, ambientalista e lavoratore del mare
  • Annamaria Vassale, del direttivo dell’associazione per l’intercultura Voltalacarta
  • Gli aderenti al Comitato Acqua Bene Comune La Spezia
  • Gli aderenti a CittadinanzAttiva La Spezia

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