Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
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Fuggire dalle vecchie idee

a cura di in data 29 Luglio 2015 – 08:01
Ilheu das Rolas, la spiaggia di Sant'Antonio    (foto Giorgio Pagano)

Ilheu das Rolas,
la spiaggia di Sant’Antonio
(foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 26 luglio 2015 – Il 12 luglio 1975 nacque la Repubblica Democratica di Sao Tomè e Principe. L’arcipelago era popolato, dal XV secolo, da etnie africane deportate dai portoghesi per lavorare nei campi di canna da zucchero, poi di cacao e caffè. Lo schiavismo fu abolito nel 1876, ma sostanzialmente restò per un altro secolo: fu infatti rimpiazzato da un sistema di “lavoro forzato retribuito” nelle grandi piantagioni (roças), dove i proprietari terrieri portoghesi esercitavano un’autorità assoluta nei confronti dei braccianti e delle loro famiglie. Nel 1953 ci furono grandi scioperi, il 3 febbraio mille lavoratori furono uccisi a Batepà, piccolo villaggio nei pressi di Trindade: dal 1976 ogni anno, quel giorno, si celebra in tutto il Paese la Festa dei Martiri della Libertà.
Verso la fine degli anni ’50 un piccolo gruppo di nazionalisti formò il Movimento di Liberazione di Sao Tomè e Principe (MLSTP), che aveva la propria base nel vicino Gabon. Il processo verso l’indipendenza fu favorito dalla caduta della dittatura di Marcelo Caetano in Portogallo, nell’aprile 1974. Insieme alle altre colonie portoghesi (Angola, Mozambico, Guinea e Capo Verde) Sao Tomè e Principe fu tra gli ultimi territori al mondo a ottenere l’indipendenza: la folle e anacronistica lotta del Portogallo per mantenere le colonie durò infatti molto a lungo, anche perché supportata dai finanziamenti e dalle armi della Nato. I rappresentanti del nuovo Governo portoghese incontrarono il MLSTP ad Algeri e stipularono l’accordo per l’indipendenza dell’arcipelago, ufficializzata il 12 luglio 1975. Come primo Presidente della Repubblica fu eletto il segretario del MLSTP, Manuel Pinto da Costa.

Ed è stato proprio Pinto da Costa, rieletto nuovamente Presidente della Repubblica, il protagonista delle manifestazioni per i quarant’anni dell’Indipendenza. Alla mezzanotte dell’11 luglio è stata accesa la “fiamma della Patria”, che ha percorso circa 10 chilometri dal Distretto di Me-Zochi, quello di cui è capoluogo Trindade, fino a Piazza dell’Indipendenza a Sao Tomè, la capitale. Qui il Presidente ha posato la torcia nel monumento all’indipendenza nazionale. La mattina del 12 luglio c’è stata la tradizionale sfilata, con le Forze Armate (presenti anche contingenti militari di due Paesi che appoggiarono i nazionalisti saotomensi, Gabon e Guinea Equatoriale), gli agricoltori, i pescatori… Poi ha preso la parola Manuel Pinto da Costa.

Ho voluto leggere il discorso del 1975, e confrontarlo con quello dei giorni scorsi. Ho anche chiesto a chi c’era com’era la piazza di quarant’anni fa. Era strapiena, migliaia di saotomensi commossi si concentrarono nella loro piazza storica, per vedere e vivere la nascita del nuovo Paese. Il discorso del giovane Presidente trasmise il sentimento e la determinazione del popolo: fu una giornata vissuta all’insegna dell’unità, della fraternità, della solidarietà, della speranza e fiducia nel futuro, del patriottismo e dell’orgoglio dell’identità saotomense. Invece il 12 luglio 2015, a somiglianza degli ultimi vent’anni, l’affluenza dei cittadini è stata scarsa. Non è mancata, nel discorso di Pinto da Costa, l’autocritica: “ Non è stato un cammino facile né esente da errori, ma è necessario sottolineare oggi che partimmo praticamente da zero, con un’eredità coloniale le cui conseguenze negative perdurarono durante molti anni. Ereditammo le terre e le aziende agricole, base della nostra economia, abbandonate. Una amministrazione pubblica smantellata. Un Paese senza quadri formati, senza risorse finanziarie. Dovemmo costruire uno Stato a partire dal nulla. Abbiamo avuto 15 anni di regime a partito unico. Abbiamo fatto un cambiamento per la democrazia pluralista 25 anni fa. Questo è un percorso che ci deve inorgoglire. E’ un patrimonio della nostra storia che dobbiamo valorizzare. Non possiamo continuare a vivere di malinconia. Né di un passato che non torna né di quello che avremmo potuto fare ma non abbiamo fatto. Non possiamo fare della nostra storia un alibi permanente per la situazione in cui si trova il Paese né per giustificare il fatto che Sao Tomè e Principe non si avvia nella direzione del progresso. Dobbiamo essere capaci di riconoscere gli errori commessi con umiltà perché tutti li commettono e, a partire da lì, oltrepassare il passato, guardare in faccia il presente e costruire, con speranza, il futuro”. Il Presidente ha riconosciuto che la povertà non è stata vinta, ma ha valorizzato i progressi significativi nei settori della salute e dell’educazione, e il fatto di avere una democrazia stabile. E ha insistito sulle grandi potenzialità del “capitale umano giovane e generoso” e della “posizione geostrategica del Paese nel golfo di Guinea, con un mercato alla sua portata di più di 300 milioni di consumatori”. Le vocazioni restano, per Pinto da Costa, quelle indicate già nel discorso “socialista” del 1975: l’agricoltura, il mare e la pesca, i servizi, il turismo, i possibili investimenti industriali. Senza le nazionalizzazioni del periodo 1975-1992, con il pieno riconoscimento del ruolo del privato.

Sao Tomè, murale che raffigura le piante commestibili e medicinali   (foto Giorgio Pagano)

Sao Tomè, murale che raffigura le
piante commestibili e medicinali
(foto Giorgio Pagano)

I quarant’anni di indipendenza sono stati celebrati anche con alcune conferenze nelle diverse città. Interessante è stato il convegno “Indipendenza, cultura e sviluppo”, tenutosi il 2 luglio nella capitale, relatrice Fernanda Pontifice, rettore dell’Università di Sao Tomè e Principe. La Pontifice, che partecipò ai movimenti giovanili per l’indipendenza, ha indicato la “mancanza di coesione nazionale” come “uno dei principali fattori di stagnazione e arretratezza del Paese negli ultimi quarant’anni”. E ha insistito sulla frustrazione per “una povertà che non è solo monetaria ma è povertà spirituale, che grava su buona parte della nostra popolazione”. Il problema, è stato affermato nel dibattito, è molto antico, per alcuni anteriore all’indipendenza nazionale. Ecco l’opinione di Maria das Neves, Vicepresidente dell’Assemblea Nazionale: “C’erano problemi già nella lotta per l’indipendenza, c’erano fratture che oggi stiamo pagando, dovute alla mancanza di coesione nazionale. C’era la lotta per l’indipendenza nazionale, ma sono d’accordo con il libro di Guadalupe Ceita (uno dei primi combattenti, che poi ruppe con da Costa): nella stessa diaspora non c’era coesione… è quello che constatiamo oggi, senza questa coesione non ce la faremo a conquistare un’indipendenza totale… abbiamo l’indipendenza politica ma manca l’indipendenza economica, e per la mancanza di coesione non ce la facciamo a far sì che il Paese decolli per raggiungere lo sviluppo”. Tesi analoghe ha sostenuto Jose Cassandra, Presidente del Governo della Regione Autonoma di Principe.

Questo dibattito si capisce meglio studiando la storia delle divisioni nell’originario gruppo nazionalista, e poi della scena politica post 1975, molto frammentata, con governi di coalizione di breve durata. Fin dalla fase “socialista” fu forte il contrasto tra il Presidente della Repubblica Pinto da Costa e il Primo Ministro Miguel Trovoada. Nelle prime elezioni democratiche (1991) fu Trovoada a prevalere e a essere eletto Presidente, con il suo Pcd (Partito della convergenza democratica) che superò il Mlstp di Pinto da Costa, poi diventato Psd (Partito socialdemocratico). Salto qualche anno per venire agli anni più recenti: nel 2011 Pinto da Costa fu rieletto, dopo vent’anni, Presidente della Repubblica; nel 2010 era diventato Primo Ministro Patrice Trovoada, figlio di Miguel, poi messo in minoranza in Parlamento nel 2012, anche dai seguaci del Presidente. Ma Trovoada è stato rieletto trionfalmente Primo Ministro nel 2014, a capo dell’Adi (Azione democratica indipendente): con 33 seggi su 55 il Primo Ministro può governare, per la prima volta negli anni della democrazia, con un’ampia maggioranza.

Aggiungo, di mio, qualche impressione. Sao Tomè e Principe ha grandi problemi ma anche grandi potenzialità. Guardate la foto in alto: è una delle tante spiagge tropicali dell’arcipelago, circondate da una vegetazione lussureggiante. Per arrivarci sono passato in mezzo a una piantagione di palme da cocco, facendo bene attenzione a che i frutti non mi cadessero in testa. La foto in basso è di un murale a Sao Tomè, che raffigura le tante piante commestibili e medicinali esistenti nell’isola: gli studi recenti sulla biodiversità hanno rivelato una complessità di habitat tale da lasciare i ricercatori internazionali a bocca aperta. Sao Tomè è davvero uno degli ultimi paradisi sulla terra: non a caso nel 2014 è stato considerato dall’emittente americana CNN una delle dieci destinazioni turistiche da sogno. Ma non c’è solo il turismo, sia balneare che rurale. Ci sono l’agricoltura, la pesca, le industrie alimentari connesse (oggi inesistenti)… Banalizzo per farmi capire: uno Stato più grande, o una multinazionale, o uno sceicco potrebbero acquistare questo piccolo Stato, farne una sorta di “Dubai dell’Atlantico” e migliorare un po’, in cambio, la vita dei suoi abitanti. Sarebbe un nuovo colonialismo, meno oppressivo ma distruttivo dell’identità dei luoghi. Il colonialismo è stato il più vasto e perdurante crimine della storia dell’umanità. Il primo e più efferato criminale, anche se non il solo, è stato l’Occidente, che, per nulla pentito, persiste. Arraffa terre, petrolio, ricchezze naturali. Nella Repubblica Centrafricana la guerra civile in corso non è una semplice deflagrazione dell’odio etnico: Francia (collegata ai musulmani) e Cina (collegata ai cristiani) stanno combattendo per interposta persona un conflitto per il controllo dei giacimenti petroliferi. Anche in Congo, dietro l’immagine di facciata di una guerra etnica, c’è il rapporto tra i diversi signori della guerra che vigilano su pezzi di territorio e le diverse società straniere che sfruttano le ricchezze minerarie del Paese. E poi c’è il fenomeno del land grabbing, la corsa all’accaparramento di terre. Il Mozambico, per esempio, è uno dei Paesi interessati al fenomeno. La concessione di terre coltivate agli investitori stranieri passa anche attraverso la promessa della fornitura di servizi sanitari e civili, spesso non mantenuta. Nel 2009 il Governo ha firmato un accordo con Brasile e Giappone per sviluppare il progetto agricolo “Prosavana”, che destinerebbe ben 14 milioni di ettari del Mozambico settentrionale alla produzione di soia su scala industriale. Un progetto che sta provocando ampie reazioni di protesta tra i 4 milioni di mozambicani che coltivano queste terre, ora espropriate.

L’Africa è anche questa. Sao Tomè appartiene a un’Africa diversa, ma il problema della lotta, o comunque della vigilanza, contro gli interessi neocoloniali c’è anche qui. Il Paese ha certamente bisogno di investimenti stranieri, ma responsabili socialmente e sostenibili ecologicamente: Sao Tomè non deve tornare una terra di conquista. Le Reti internazionali ligure e toscana, con le loro imprese, stanno lavorando con questa nuova logica, anche a Sao Tomè. Però è fondamentale che si muova qualcosa dentro Sao Tomè, nella sua società civile. Ecco perché le nuove forme associative di produzione del cacao che stanno favorendo un nuovo ciclo di economia agricola nel Paese -ne ho scritto domenica scorsa- sono così importanti. E dovrebbero estendersi alla pesca, al turismo, a tutta l’economia saotomense.

Il nostro Piano del Distretto di Lembà, nel suo piccolo, vuole contribuire a questo scatto di autogoverno dei saotomensi. Abbiamo incontrato tutte le associazioni in una grande assemblea comune, poi i pescatori e le palaié di Neves, i pescatori e le palaié di Santa Catarina, gli agricoltori… Ora stiamo distribuendo questionari in tutti i villaggi, anche in quelli più sperduti. Dovunque il nostro messaggio è questo: non faremo un Piano costruito sulla vostra testa, ma condiviso con voi; non servono progetti qualsiasi ma progetti di cui siate protagonisti; sarà ovviamente importante che i progetti si realizzino, ma comunque sarà decisivo che impariate a lavorare assieme, a creare coesione sociale, a formare cooperative e piccole imprese, a costruire forme di vita comunitaria nei villaggi, a rafforzare le istituzioni locali, a superare individualismo e assistenzialismo. Se il motore di una barca va cambiato, non bisogna più chiedere il dono dello Stato o della cooperazione internazionale. Meglio provare a fare una cooperativa di pescatori, con il supporto dello Stato e della cooperazione internazionale. Come diceva John Maynard Keynes: “La difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie”.

Giorgio Pagano

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