Per un golfo di pace, lavoro e sostenibilità “Riflettiamo sul progetto Basi Blu” – Sabato 13 aprile ore 17 alla Sala conferenze di Tele Liguria Sud
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La terra in cui il pesce è vita

a cura di in data 6 Luglio 2015 – 10:43
Ilheu das Rolas, la Furna   (foto Giorgio Pagano)

Ilheu das Rolas, la Furna
(foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia, 5 luglio 2015 – A Sao Tomè e Principe nessuno è mai morto per fame. La popolazione ha sofferto l’inferno della schiavitù, oggi è ancora molto povera, ma ha, e ha sempre avuto, i doni della natura. Non abbiamo visto, se non in pochissimi casi, i bambini con la pancia gonfia -triste simbolo di una malnutrizione priva di proteine- che ci sono in molti Paesi africani. Nell’isola la proteina principale è il pesce, per l’80%. E poi verdura e frutta, tra cui la frutta dell’albero del pane, che cresce senza bisogno della minima attenzione, e dà per tutto l’anno un frutto che è anche pane (“fruta pao”). Nelle notti di luna piena i calamari giganti riempiono le spiagge, e le donne devono solo raccoglierli, vivi, dentro a dei secchi di legno. Appena arrivati, io e Claudio siamo stati ospiti a cena di Tiziano, collaboratore dell’Unione europea, e Mariangela, presenza “storica” della Ong Alisei nell’isola, due persone capaci e gentili. Mi ricordavo che, nel romanzo “Equatore”, il nuovo Governatore aveva cenato la prima volta con triglie e banane fritte, una papaya al forno e un caffè, ed ero curioso di vedere come fossero cambiati i tempi. Ci è toccata la corvina, altro pesce di colore rosso, ma molto più grande; poi banane fritte, papaya al forno e caffè! In questi giorni ho mangiato un po’ dappertutto, in trattorie molto povere nei piccoli villaggi, ma il buon pesce grigliato non è mai mancato: il pagaro, l’andala (simile al blue marlin), il tonno, il pesce volante, il pesce vermiglio, la seppia, il polpo… E poi le zuppe di pesce… Domenica scorsa, primo giorno di riposo, siamo andati nell’Ilheu das Rolas (Isolotto delle Tortore), straordinario con le sue spiagge di rena chiara tra le rocce nere (tutto l’arcipelago è di origine vulcanica, tipo le Eolie). Siamo arrivati nel Distretto di Cauè, più povero ancora di quello di Lembà. A Porto Alegre, nella spiaggia su cui si affacciano le baracche, un gruppo di ragazzi si è offerto di accompagnarci nell’isolotto che sta di fronte, con la loro canoa: quella con cui pescano tutti i giorni. Poi, finito il nostro giro dell’isolotto, una camminata di alcune ore che porta al punto esatto in cui passa la linea dell’Equatore, e da lì allo spettacolo della costa oceanica, ci hanno proposto di prepararci, in un piccolo spazio attrezzato con un tavolo davanti alla loro baracca, tonno grigliato con banane lessate e “fruta pao” fritta. Abbiamo accettato, e siamo stati anche generosi con il prezzo (se fossimo andati nell’unico ristorante dell’Ilheu, gestito da una grande catena portoghese, avremmo speso la stessa cifra, quindi…). I ragazzi ci hanno spiegato che nell’Ilheu si vive esclusivamente di pesca. In tutto il Paese è il 30% della popolazione che è impegnato, direttamente e indirettamente, in questo settore. A Sao Tomè e Principe il pesce è dunque vita, non solo perché alimenta ma anche perché dà lavoro.

Neves, il molo non utilizzato  (foto Giorgio Pagano)

Neves, il molo non utilizzato
(foto Giorgio Pagano)

Nel nostro “Piano Integrato di Sviluppo Sostenibile e Inclusivo”, non potremo, quindi, che dare un ruolo centrale alla pesca. Il nostro Distretto, Lembà, tra l’altro, in questo settore è il secondo per importanza nel Paese. Avevamo discusso il tema, prima di partire, con alcuni imprenditori delle due reti, la ligure e la toscana, di cooperazione e attività internazionali che hanno siglato un protocollo di intesa con lo Stato di Sao Tomè e Principe (si legga, su questo punto, “Expo non solo vetrina ma partenariato”, Il Secolo XIX, 5 giugno 2015, in www.associazioneculturalemediterraneo.com), e avevamo qualche idea in testa. I due incontri che abbiamo avuto nei giorni scorsi con Joao Gomes Pessoa Lima, Direttore Generale della Pesca, nel Ministero dell’Economia e della Cooperazione internazionale, sono stati molto fruttuosi, e ci hanno spinto ad approfondire le idee che avevamo elaborato. Ecco le parole del Direttore: “E’ necessario un piano di sviluppo, una strategia che superi la disorganizzazione attuale, e anche abitudini consolidate, con la necessaria opera di sensibilizzazione ed educazione”. Oggi la pesca è un’attività artigianale, svolta con mezzi rudimentali: le canoe come quella che ci ha portato nell’Ilheu das Rolas, quelle che potete vedere nella foto in alto nel primo articolo di questa rubrica, domenica scorsa. E’ una pesca di sussistenza individuale: non ci sono locali di conservazione e vendita, il pesce è comprato dalle donne che aspettano i pescatori insieme ai loro bambini in spiaggia per poi venderlo a loro volta. Ma è chiaro che, in queste condizioni, gran parte del pescato viene buttato via. Servirebbero cooperative di pescatori, ma l’associazionismo è ancora debole (anche se a Neves esistono sia l’associazione dei pescatori che quella delle “palaié”, le donne che vendono il pesce, ed entrambe sono state per noi, come dirò, interlocutrici preziose;) e servirebbero piccoli locali di conservazione e vendita, come quello di Santa Catarina, che non ci è parso però che funzionasse molto. L’altro problema è che la popolazione dalla indipendenza (1975) a oggi è più che raddoppiata; è quindi cresciuta la pressione sul mare, con conseguente depauperamento del patrimonio ittico. I pescatori stanno spingendosi sempre più al largo ma, con mezzi così inadatti, molti di loro ci rimettono la vita. Servirebbero aree marine protette, con il fermo biologico, la stretta delle maglie delle reti per evitare di pescare i pesci più piccoli… Ma come fare? “E’ un problema enorme -racconta Pessoa- perché la gente ha bisogno di lavoro e di pescato”. “Subito dopo l’indipendenza -prosegue- si cercò di passare alla pesca industriale, ma mancava il personale per manutenere e far funzionare gli impianti”, realizzati dai Paesi socialisti, amici dei Paesi liberatisi dalla colonizzazione portoghese. Fu un fallimento totale. Ma ancora oggi il problema rimane: per esempio, proprio a Neves, c’è un moderno impianto per la pesca industriale, realizzato dalla cooperazione spagnola nel 2012, ancora inutilizzato: nella foto in basso potete vedere il molo deserto, alle cui spalle sta un grande edificio con camere frigorifere, anch’esso fermo. Il Governo, spiega Pessoa, cerca un partner privato per la gestione. Il ragionamento, in sostanza, potrebbe essere questo: affidare l’impianto di Neves a una società mista pubblico-privata (il partner potrebbe essere un privato italiano interessato alla pesca sostenibile e non solo al profitto), che dovrebbe anche assumere una parte dei pescatori artigianali, diminuendo così la pressione sulle fasce costiere e facilitando la riproduzione del pesce. In ogni caso i pescatori artigianali avrebbero bisogno di condizioni migliori: a partire dalle latrine in spiaggia, come ha chiesto una “palaiè” nell’assemblea aperta che abbiamo organizzato mercoledì scorso nella Camara Distrital. E poi piccole strutture di conservazione e vendita in ogni villaggio. Oggi c’è un accordo dello Stato con l’Unione europea, che consente a 40 barche spagnole di pescare al largo ciò che vogliono (i controlli non ci sono), versando allo Stato molto poco. Andando nella direzione indicata da Pessoa ed elaborata in qualche modo anche da noi, il numero di queste barche dovrebbe ridursi. E comunque le tasse dovrebbero un po’ aumentare, per queste flotte, altrimenti lo Stato non avrà mai i soldi per realizzare le tante infrastrutture necessarie. Dopo le riunioni al Ministero abbiamo incontrato le associazioni dei pescatori e delle “palaiè” di Neves, e convenuto che su questa prospettiva si deve lavorare. Alberto e Filomena, i due presidenti, hanno fondati dubbi, sulla base dell’esperienza, che un privato straniero assuma i pescatori locali e voglia collaborare con il “sistema locale” della pesca. Ma ritengono che la strada vada tentata: lo Stato dovrebbe garantire non solo le assunzioni in loco ma anche il ruolo delle “palaiè” nella vendita. Hanno pienamente ragione.

Naturalmente questi sono solo i primi spunti per la grande discussione partecipata che faremo in tutto il Distretto nei prossimi mesi, con le istituzioni e con chi di pesce lavora. Perché il Piano dovrà essere il Piano “di Lembà”, non “per Lembà”. L’Italia, Liguria e Toscana in testa, potrebbe fare la sua parte. Non è un caso, ha voluto sottolineare Pessoa, che il settore della pesca sia stato inserito dal nuovo Governo, per la prima volta, nel Ministero della Cooperazione internazionale.

Giorgio Pagano

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