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Indovina chi viene a pranzo

a cura di in data 22 Aprile 2014 – 09:17
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Israele,Tabgha: Chiesa del Primato, costruita nel luogo in cui, secondo i Vangeli, Cristo apparve ai suoi discepoli dopo la Resurrezione per affidare a Pietro la guida spirituale della Chiesa (2011) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 13 aprile 2014 – Nella mia “nuova vita” associativa e civica mi capita di vivere di continuo nuove “avventure”, che mi aiutano a capire dove sta andando la società e che cosa si può fare per migliorarla, e che costituiscono per me una fonte preziosa sia di conoscenza sia di arricchimento interiore. Una delle “avventure” più recenti mi ha portato ad occuparmi di un tema di grande interesse sociale: che cosa si può fare per migliorare la possibilità di invecchiare rimanendo attivi e per potenziare la solidarietà tra generazioni, o almeno per attenuare il conflitto, potenziale o latente, tra giovani e anziani? L’occasione mi è stata fornita dal progetto “Indovina chi viene a pranzo”, un laboratorio sull’invecchiamento attivo voluto dal Distretto Socio-Sanitario 18, comprendente i Comuni di Spezia, Lerici e Portovenere, pensato e gestito dall’associazione Auser. Giovanna Nevoli, dell’Auser, e Stefano Bianco e Elena Stefanini, facilitatori di gruppo e “coprogettisti” insieme a Giovanna, mi hanno invitato qualche giorno fa a un pranzo speciale: nei locali del Centro Anziani del Canaletto, con un gruppo di anziani del Centro (a proposito, complimenti per la cucina!), un gruppo di studenti, la classe 4 della sezione A dell’Istituto Tecnico Fossati – Da Passano, 22 studenti, 16 femmine e 6 maschi, e le loro due insegnanti Marcella D’Imporzano e Paola Viasco. Il laboratorio prevedeva alcuni incontri separati, con gli anziani e con gli studenti, e poi l’incontro comune a pranzo, seguito dalla discussione pomeridiana con un “testimone”, cioè il sottoscritto. L’obbiettivo: fare incontrare l’esperienza dell’anziano con quella dello studente intorno a argomenti e valori riguardanti l’etica, valorizzando la responsabilità intergenerazionale. Avevo letto i resoconti degli incontri, conoscevo bene gli anziani -perché molti frequentavano già il Centro quando ero Sindaco, e quindi un “habitué”- e per motivi diversi pure le insegnanti, molto in gamba entrambe; le ragazze e i ragazzi, invece, li ho conosciuti a pranzo, e mi hanno fatto un’ottima impressione, in generale e anche riguardo alla consapevolezza sui temi in discussione.

La vecchiaia è una bella età se riesce a conservare le virtù delle età precedenti: la curiosità insaziabile dell’infanzia, le aspirazioni infinite e le rivolte dell’adolescenza, la coscienza delle responsabilità dell’età adulta. E’ davvero un bel mix! Naturalmente so bene quanto sia difficile raggiungerlo. Negli incontri precedenti gli anziani avevano detto che “spesso si sentono inutili”, e i giovani avevano ammesso che a volte “gli anziani sono visti come persone da assistere, non come una risorsa”. Non potrebbe essere che così, perché la società contemporanea svaluta l’esperienza del passato: le conoscenze acquisite dagli anziani appaiono come un’ignoranza del nuovo, e l’anziano, un tempo rispettato, è diventato “il vecchietto arretrato”. Ma le cose stanno in un modo affatto diverso: il ruolo dell’anziano come custode della storia, delle tradizioni e delle abilità pratiche è fondamentale nella “società della conoscenza”. Rappresenta un collegamento vitale con il nostro passato e può dare al giovane un senso di identità e di prospettiva storica. Pensiamo solamente al “ritorno alla terra” o al recupero di tanti mestieri artigiani: sono obbiettivi fondamentali per la “nuova economia” di cui c’è bisogno (e anche, mi riferisco all’attività agricola, per la salvezza del territorio) ma sono raggiungibili solamente con l’utilizzo dei saperi antichi e quindi con la “staffetta” giovani-anziani. Su questo punto, nella discussione, abbiamo convenuto tutti, gli studenti in primis: “il futuro -hanno detto- deve essere un collegamento nuovo tra generazioni”. Con reti di aiuto reciproco e con una trasmissione del sapere reciproca: dagli anziani ai giovani e viceversa, si pensi soprattutto al campo delle tecnologie digitali.

Israele, Monte Tabor: Basilica della Trasfigurazione, costruita nel luogo in cui la tradizione cristiana ambienta l'episodio della trasfigurazione di Gesù  (2011)    (foto Giorgio Pagano)

Israele, Monte Tabor: Basilica della Trasfigurazione, costruita nel luogo in cui la tradizione cristiana ambienta l’episodio della trasfigurazione di Gesù (2011) (foto Giorgio Pagano)

E’ stata una giornata che mi ha fatto riflettere su come la pratica intergenerazionale possa arricchire le relazioni tra le persone e contrastare gli stereotipi negativi, sia quello dell’isolamento degli anziani sia quello dell’egoismo dei giovani. E su quanto sia importante organizzare attività comuni, trascorrere del tempo insieme, condividere sia pure per poco uno stesso spazio. Perché non cominciare a pensare, per il futuro, a condividere questi spazi in modo permanente, per esempio costruendo scuole e centri anziani nello stesso edificio? O realizzando le “Case della solidarietà”, con servizi sociali comuni a tutte le generazioni? Ma l’idea più interessante è quella di un “Servizio civile di solidarietà” per tutti i giovani: far vivere ai giovani esperienze di cittadinanza attiva nei centri e servizi per gli anziani favorirebbe enormemente lo scambio tra generazioni e sarebbe vivificante per gli uni e per gli altri. I governi, nazionale e regionali, dovrebbero pensarci seriamente.
Naturalmente si è discusso anche di etica, a partire non da una “lezione” ma da un “racconto di vita”, la mia. Sicuramente attraverso le storie di vita si possono avvicinare le persone tra loro, e suscitare riflessioni coinvolgenti. Che hanno portato a rievocare storie ben più importanti e significative: non solo quella dei deportati sopravvissuti nei campi di sterminio nazisti incontrati in classe o della staffetta partigiana nonna di una studentessa, ma anche quella dei tanti anziani presenti con alle spalle una vita intera di fatiche e privazioni. Alcuni temi sono emersi con forza. Per esempio l’elogio del dubbio, inteso come accettazione del fatto che esistono opinioni diverse e che il dialogo e la ricerca della condivisione non possono che far bene. Ancora: l’importanza della partecipazione e dell’impegno civico, o politico in senso lato del termine, che accomuna gli anziani nostalgici della “buona” politica di un tempo e i ragazzi spesso impegnati in attività di volontariato. Soprattutto è emersa la centralità del tema della speranza: “non bisogna mai perdere la speranza, specialmente nei momenti brutti della vita”, è stato il leitmotiv di vecchi e ragazzi. Io ho concluso così: “La speranza è una virtù, difficile ma incancellabile. Vivere veramente è sperare”.

Testo integrale della testimonianza a “Indovina chi viene a pranzo”

lucidellacitta2011@gmail.com

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