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Salvare le coste Cinque Terre banco di prova

a cura di in data 5 Febbraio 2014 – 19:59

Repubblica – Il Lavoro – 4 febbraio 2014 – “Salvare le coste con l’agricoltura”, ha scritto Federico Rampini su Repubblica, stimolato da un incontro con i protagonisti della “Fondazione per mantenere Manarola”. Sono i discendenti di quei contadini che, con un lavoro di secoli, hanno reso coltivabili le ripide colline sul mare, costruendo i terrazzamenti: centinaia e centinaia di chilometri di muretti a secco per stabilizzare la terra sui versanti. Ogni famiglia faceva la sua parte, perché da quest’opera dipendeva la produzione agricola e quindi la vita. Ma negli ultimi cinquant’anni è cambiato tutto: i contadini sono andati a fare un lavoro meno duro e più redditizio, e i campi sono stati a poco a poco abbandonati. Ogni anno crolla un tratto di muretti compreso tra il 2 e il 10%. Il paesaggio collinare di Manarola, l’”Anfiteatro”, ancora visibile con il suo splendore negli anni’70, sta scomparendo: restano solo chiazze sparse, sempre più piccole. Se continuasse così sarebbe impossibile sopravvivere nel borgo abitato di Manarola. Senza terrazzamenti, infatti, la massa di terreno precipita verso il mare, come dimostra il tratto costiero tra Manarola e Corniglia. E l’effetto della “bomba d’acqua”, senza il sistema di smaltimento idraulico delle zone coltivate, è terribile: osservando la vallata di Vernazza dopo la tragedia del 2011 si è capito come moltissime frane siano state causate dall’esondazione dei canaletti di scolo non più puliti. “L’abbandono delle terre è la prima causa del dissesto idrogeologico”, ha detto il Presidente del Parco delle Cinque Terre Vittorio Alessandro, che ha aggiunto: “Se non si salvano le terre, il Parco si troverà a gestire un paesaggio di plastica, che tra qualche anno non esisterà più. Sarà il nostro ultimo atto: e si perderà un patrimonio mondiale dell’umanità”. La svolta per la salvezza di questo patrimonio è cominciata con l’impegno dei manarolesi: su 300 residenti oltre 100 hanno versato la quota di adesione alla Fondazione (mediamente 350 euro) e molti altri hanno donato i loro terreni (60.000 ettari, quasi tutti incolti). Si è così costituito un patrimonio di oltre 100.000 euro, che ha consentito di far nascere la Fondazione. Ora servono solo alcuni riconoscimenti formali, poi -spiegano Fabrizio Capellini e Claudio Rollandi, due tra le “anime” della svolta- si comincerà ad operare: pulire i terreni incolti e riattivare il loro uso agricolo, ripristinare il sistema di smaltimento delle acque piovane con i canaletti, ricostruire i tratti di muretto precipitati, ripristinare i tratti di sentiero e i “trenini” che garantiscono l’accessibilità a tutti i terreni della zona. Con l’impegno diretto dei manarolesi e con quello dei giovani disponibili, per i quali verranno organizzate iniziative formative. Certo, servirà l’impegno anche di Stato, Regione, Parco, Comune: leggi, incentivi, finanziamenti per un grande piano di “ritorno alla terra”. E serviranno anche molte risorse private: si cercherà di far leva sull’amore per le Cinque Terre diffuso in tutto il mondo per una grande campagna di fundraising. Ma i manarolesi, intanto, hanno cominciato dando l’esempio. Perché hanno capito che non si può vivere solo di turismo: può valere per una generazione, ma dopo? Perché ci sia turismo deve esserci la Vita dell’uomo, che è possibile solo con la Vita della terra. E’ iniziato un grande laboratorio di autogoverno: la sfida, enorme e appassionante, è quella di connettere nuovi saperi e nuove tecnologie con la sapienza ambientale storica dei contadini del luogo e di mantenere, con un nuovo legame tra giovani e vecchi, il legame sociale e comunitario tipico della zona. La politica ha il dovere di mettersi al servizio di questo laboratorio.

Giorgio Pagano

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