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Dai monti di Sarzana

a cura di in data 10 Dicembre 2012 – 10:12

Gerusalemme, il Monte degli Ulivi (2005) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 9 Dicembre 2012 – Ricordo che Flavio Bertone, il popolare “Walter”, il 29 novembre di ogni anno saliva sui monti di Sarzana insieme ai suoi compagni partigiani, per stringersi insieme a loro e commemorare il terribile rastrellamento nazifascista del 1944. Fu senatore e sindaco, ma per lui quella data era sacra, non c’era altro impegno che contasse. Ancora oggi la Val di Magra e la Lunigiana ricordano il 29 novembre, ritornando nei borghi e nei viottoli battuti 67 anni fa da uomini come “Walter”, Paolino Ranieri “Andrea”, Piero Galantini “Federico” e Dario Montarese “Brichè”, i capi della brigata garibaldina “Ugo Muccini”. Grazie alla loro storia commemoriamo migliaia di giovani caduti in nome della libertà, per la dignità e il riscatto dell’Italia. Lo facciamo nella consapevolezza che senza la riscossa partigiana non sarebbe stato possibile gettare le fondamenta della nuova Italia democratica e repubblicana. 

Tra i ribelli di allora pochi sono ancora tra noi. Tra loro Piero Guelfi, il più giovane partigiano della “Muccini”: aveva 17 anni quando salì ai monti. Ho conosciuto Piero tardi, in un’occasione triste, le visite in ospedale a Paolino Ranieri prima della sua scomparsa. Da allora si è consolidato un rapporto di amicizia, nelle riunioni dell’Anpi come nelle camminate che facciamo ad aprile nei sentieri della Resistenza o nelle serate estive del festival “Fino al cuore della rivolta” alle Prade, quando si canta sempre “Dai monti di Sarzana”, come con Ivan Della Mea nel 2008 o con il Nuovo Canzoniere Italiano quest’estate. Abbiamo ricordato insieme il 29 novembre nella stanzetta dell’Anpi di Sarzana, con alle pareti le vecchie foto dei partigiani della “Muccini”. Mi ha regalato una riproduzione, in cui c’è un Walter giovanissimo che imbraccia il suo mitra Sten. Piero (nome di battaglia “Danilo”, glielo diede il partigiano Danilo Colombo perché gli portasse fortuna) ha stampati in mente quei giorni tragici ed eroici. Migliaia di tedeschi e di fascisti accerchiarono le formazioni partigiane da nord e si schierarono nel fondovalle del Magra, tra Santo Stefano e il carrarese: la minaccia era da due direzioni diverse, l’obbiettivo era costringere i ribelli a scendere a valle, per essere sterminati. L’unica possibilità di salvezza per la “Muccini” era di rallentare il nemico, guadagnando il tempo necessario per ripiegare verso il solo valico aperto, le vette delle Apuane. Piero era nel distaccamento “Garbusi”: “abbiamo salvato gli altri -racconta- perché ci siamo resi conto per primi di ciò che stava per accadere: sapevamo che gli abitanti dei borghi della valle avrebbero, in caso di pericolo, messo fuori molti panni bianchi alle finestre. Vedemmo i panni e non scendemmo”. I partigiani si diedero l’obbiettivo di resistere fino all’imbrunire difendendo le creste collinari, e ci riuscirono. Nella notte si nascosero nei boschi a sud di Fosdinovo. I feriti si rifugiarono nei canaloni e si salvarono, perché tedeschi e fascisti non vi si avventuravano. Gli altri 400 andarono a Giucano, “dove mangiammo tanta e buona polenta” preparata dal partigiano “Ciccio”, che fu poi celebre ristoratore, e si avviarono verso il monte Sagro. Guelfi ricorda il freddo e la fame -“ci siamo nutriti per cinque giorni di castagne”- e soprattutto gli spari dei tedeschi sulla “spolverina” (una strada di cava), quando un proiettile lo ferì di striscio al volto. La gran parte della “Muccini”, guidata da “Federico”, passò il fronte e giunse nella Toscana già liberata dagli americani. Piero era con lui. Qui rivide il padre. Lo riconobbe dal fischio con cui lo chiamava. Era irriconoscibile per le fasciature dopo la caduta in un dirupo: era una staffetta notturna della “Muccini” a insaputa del figlio, che comunque lo immaginava. Molti sono i ricordi della figura paterna: il ragazzo Piero decise di diventare partigiano quando lo vide preso a calci dai tedeschi durante un rastrellamento a Carignano, dove erano sfollati. Era un antifascista tutto di un pezzo, che non voleva il figlio con la divisa fascista in casa (“mi vestivo e mi spogliavo nel pianerottolo”) e che nel dopoguerra rifiutò il sostanzioso contributo economico che gli americani avrebbero voluto versare a padre e figlio, in quanto partigiani. E poi i ricordi dei capi della “Muccini”: il comandante Galantini, “ottimo stratega, sempre protettivo verso di me”, il vicecomandante Bertone, “il più coraggioso”, il commissario politico Montarese, che quando veniva “si trascinava dietro il rastrellamento”, come dicevano scherzando i partigiani, e Ranieri, dirigente del Pci e organizzatore della “Muccini”. “Walter” e “Brichè” rimasero nel sarzanese con una settantina di partigiani e ricostituirono una banda. “Andrea” fu ferito e preso prigioniero, fino all’aprile del ’45.

Palestina, la tomba provvisoria di Yasser Arafat a Ramallah (2005) (foto Giorgio Pagano)

Piero divenne socialista grazie agli insegnamenti del partigiano professor Nino Merli; lo fu fino all’avvento di Craxi, poi lasciò il Psi nel nome dell’unità della sinistra che Craxi non voleva. “Ma ai monti le differenze politiche non contavano, prevaleva l’unità”, spiega. È stato un ottimo tipografo, dal ’37 (aveva 7 anni) fino al 2000. Ma rilega ancora, è un vero maestro del mestiere. Lo alterna al “mestiere” di educatore, perché lo chiamano di continuo nelle scuole a raccontare la Resistenza.
Quando racconta il 29 novembre 1944, ne parla come di una data di riflusso e di ripiegamento della lotta partigiana. Ma poi, ricorda, il movimento si riprese, fino alla vittoria di aprile. E ciò fu possibile grazie anche alla resistenza epica di quella giornata, che fece fallire il disegno nazifascista di annientare la “Muccini”. Nonostante i morti, i feriti, gli sbandati, ciò non avvenne. Come ha scritto Giulivo Ricci nel suo libro “Storia della brigata garibaldina Ugo Muccini” grazie a quella resistenza epica “il 29 novembre rappresentò e rappresenta oggi nel ricordo il momento supremo della dedizione e del sacrificio e, sempre in questo senso, si poté e si può parlare di vittoria partigiana sulla tracotanza degli avversari, infinitamente superiori in uomini e in mezzi”.
Certo, la distanza tra le aspettative della Resistenza e la realtà odierna è abissale, ci diciamo sempre con Piero. Ma la Resistenza ci insegna ancora molte cose, a cominciare da quella che lo storico Enzo Collotti chiama “rieducazione morale”, che era nei voti dei combattenti per la libertà. Un risveglio di coscienza collettiva che fu poi decisivo per la spinta alla ricostruzione del Paese. Anche oggi bisogna ricostruire dalle macerie, e chi le ha provocate è sempre “in campo”. E allora bisogna tornare a quello spirito di rinnovamento che guidò la società italiana nel ’43-’45, attingendo ai valori della Resistenza e della Costituzione repubblicana, che di quella stagione è rimasta la conquista più alta e più duratura. La Resistenza e la Costituzione sono la via per ricostruire il rapporto tra cittadini e istituzioni. Per far tornare, come allora, i cittadini protagonisti, e non solo spettatori, come vorrebbero il populismo e il leaderismo che hanno trionfato in questi anni. Ecco perché il patrimonio di esperienze collettive di Piero Guelfi e dei ribelli di ieri deve essere parte integrante di una memoria sempre presente nel nostro modo di essere cittadini di oggi. E’ una memoria che infonde speranza.

lucidellacitta2011@gmail.com

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