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La crisi dei partiti personali e la riscoperta della politica democratica

a cura di in data 18 Novembre 2012 – 09:57

Alpi Apuane, Pruno (2010) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 18 Novembre 2012 – La crisi dell’Italia dei Valori, il partito di Di Pietro, è davvero profonda. L’ex magistrato, in pochi giorni, è passato dalla proposta dell’alleanza con Grillo, logica conseguenza di mesi di scomposta polemica con il centrosinistra, alla scelta di partecipare alle primarie del centrosinistra stesso, dando indicazione di voto per Bersani o per Vendola. Nel frattempo le cronache ci raccontano ogni giorno le molte e spesso efferate peripezie giudiziarie dell’IdV: lo stesso leader è stato macchiato dall’inchiesta di Report sul suo uso “familiare” delle casse del partito. Senza contare il fenomeno, diffuso da sempre nell’IdV, bonariamente definito del “cambio di casacca”: Scilipoti e De Gregorio sono solo i protagonisti più famosi di un flusso incessante da un partito all’altro che ha caratterizzato gli eletti dell’IdV a ogni livello.

E’ una crisi che suscita molte riflessioni. Innanzitutto sulla crisi dei “partiti personali”, imperniati sul carisma, prima o poi destinato al declino, del leader. Partiti senza storia e senza memoria, senza una cultura e un’ideologia, totalmente estranei rispetto alle grandi famiglie politiche europee (cristianodemocratici e socialisti, liberali e ambientalisti). Un recente sondaggio di Repubblica ligure sull’IdV delinea un’immagine del partito di Di Pietro come forza né di destra né di sinistra e uguale alle altre, tanto più dopo i recenti scandali. In particolare è negativo il giudizio su chi guida l’IdV in Liguria. Insomma, un fallimento su tutta la linea.
Eppure, ecco un’altra riflessione, l’Idv ha attratto in questi anni iscritti e militanti onesti e per bene, impegnati nella battaglia contro la corruzione e per la legalità. Sabato scorso, per citare un esempio che mi ha colpito, ho partecipato a un presidio del Comitato SpeziaxNichi in Corso Cavour e ho incontrato una persona che mi ha confidato: “Ho settant’anni e non ho mai fatto attività politica, qualche mese fa sono stato folgorato da Di Pietro e sono diventato un attivista, ma ora? Dopo quello che è successo me ne ritorno a casa”. Questo esempio, e molti altri che si potrebbero fare, ci dice che in realtà gran parte dell’elettorato dell’IdV, nonostante la percezione che si ha del partito, è di centrosinistra, molto vicino a quelli di Pd e Sel. E che c’è un popolo di centrosinistra molto più unito dei suoi vertici, soprattutto nella domanda di rinnovamento del centrosinistra stesso. A mio parere la risposta da dare deve essere quella di riconoscere l’inadeguatezza di tutti i partiti che lo compongono, che devono gettare il cuore oltre l’ostacolo e costruire un nuovo soggetto politico, aperto e plurale, capace davvero di dare speranza. Ma così non è ancora. Si vedrà quali saranno le alleanze elettorali possibili: a Pd e Sel si affiancheranno probabilmente, in uscita dall’IdV, i “riformisti” di Donadi, e i “radicali” di De Magistris, e forse anche quelli che resteranno nel partito dipietrista. Il domani, però, non potrà che essere quello dell’unità del centrosinistra e del civismo in un’unica forza, che superi la divisione tra riformisti e radicali. Se fosse già così, tecnocrazia e populismo (Monti e Grillo) sarebbero assai meno temibili.
Un’ultima riflessione: rispetto alla caduta impressionante del tasso di moralità del ceto di governo in Lazio e Lombardia, quello che è accaduto in Liguria all’assessore Idv Fusco per il porto di Ospedaletti e per l’appalto del ponte sul Magra è poca cosa. Vedremo che deciderà la magistratura, ma la sentenza il popolo di centrosinistra l’ha già espressa. Non, purtroppo, la sua leadership, che ha preferito “minimizzare”. Eppure il fatto che un imprenditore abbia telefonato dalla casa di un assessore regionale al proprio avvocato per promuovere una causa contro la Regione stessa è un tema che deve interessare la politica: l’interrogativo è sul suo senso e funzione e quindi investe il modello di democrazia prima che il codice penale. E ad esso non possono rispondere i giudici, devono farlo i partiti.

Alpi Apuane, la cascata dell’Acquapendente (2010) (foto Giorgio Pagano)

Dai comportamenti emerge un connubio partiti – istituzioni – imprese che è un problema antico, ma aggravato a causa di partiti via via “statalizzati”, sempre meno radicati nella società e sempre più assimilati alle istituzioni. E’ lì che si misura il potere effettivo di chi fa politica, mentre fuori da lì si recidono i legami sociali e si nega un ruolo alla partecipazione. La prima risposta da dare è quindi quella di separare partiti e istituzioni, affrontando il nodo posto trent’anni fa da Berlinguer. La seconda, connessa, risposta, riguarda la natura dei partiti. Nella seconda Repubblica sono proliferati, come dicevo, i partiti personali, privi di strutture democratiche e per questo incapaci di combattere la caduta dello spirito pubblico. La corruzione è il frutto della drammatica carenza di partiti veri, rispettosi dell’autonomia delle istituzioni ma capaci di indirizzare e controllare gli eletti e se del caso censurarli. Bisogna quindi ricostruire partiti veri, come principale antidoto all’identificazione con le istituzioni e quindi alla corruzione. Operando in tal modo si può dare anche la terza risposta: evitare la commistione della politica con le imprese, che oggi nuoce sia ai partiti e alle istituzioni sia alle imprese. I partiti e le istituzioni, assimilati tra loro, sono infatti sempre meno credibili come difensori della neutralità della politica rispetto alla concorrenza tra i privati. Mentre le imprese sono sempre meno stimolate ad essere competitive nei mercati senza protezioni politiche.
La speranza è che la terza Repubblica sia contrassegnata dalla riscoperta della politica democratica, partecipata dai cittadini. Spetta a tutti i partiti comprendere che è suonata l’ultima campana. L’onere è soprattutto sulle spalle del centrosinistra, l’unica forza rimasta in piedi. Oggi le primarie sono, nonostante quella che il politologo Piero Ignazi definisce “l’eccessiva mediasettizzazione” di Renzi, l’unico argine a tecnocrazia e populismo. Hanno rianimato la politica italiana, e stanno dando un contributo per imboccare un’altra via rispetto alla chiusura in una logica di ceto, che in questi anni ha scavato un abisso profondo tra governanti e governati. Sarebbe bene che anche il centrodestra, ormai boccheggiante, ne prendesse nota e decidesse di contribuire anch’esso al ripristino di un’ordinaria vita democratica nel nostro Paese. Certo le primarie, pur decisive, non bastano. Il ministro Barca, l’unico del Governo Monti di cui spesso condivido idee e iniziative, ha detto nei giorni scorsi: “Mi piacerebbe vedere nel centrosinistra lo stesso entusiasmo speso per un confronto televisivo anche per l’impegno sul territorio, nei luoghi dove i partiti sono spariti da anni: sono questi i veri presidi per capire dove va una società. Le proteste ingovernabili di questi giorni nascono dall’assenza dei partiti”. Giusto: è necessaria una svolta nel modo stesso di fare politica, nel rapporto tra partiti e società. La politica che vincerà sarà quella che andrà alla scoperta dei nuovi bisogni delle persone e che costruirà un nuovo progetto per l’Italia facendo contare le masse operaie e popolari.

Giorgio Pagano

lucidellacitta@gmail.com

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