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Enrico Berlinguer, l’austerità e l’ambientalismo

a cura di in data 3 Luglio 2012 – 09:10
Tino Palmaria e Portovenere

Il Tino, la Palmaria e Portovenere al tramonto, da Lerici (2011) (foto Giorgio Pagano)

Città della Spezia – 1° Luglio 2012 – Il novantesimo anniversario della nascita di Enrico Berlinguer è l’occasione per tornare a parlare della modernità di colui che fu, dal 1969 fino alla “morte sul campo” (1984), il leader del Partito Comunista Italiano. Ha ragione Walter Tocci, direttore del Centro Riforma dello Stato, quando scrive: “Ad una sincera riflessione storica la sua opera politica appare segnata dalle sconfitte, prima il compromesso storico e poi l’alternativa democratica. Qualsiasi uomo politico sarebbe stato dimenticato in seguito a quel doppio smacco e invece più che in altri momenti la sua figura giganteggia di fronte al ceto politico di oggi e continua a dare la misura della qualità della politica”. 

C’è’ un di più di Berlinguer, c’è una persona che va oltre la sua opera, oltre i suoi limiti di “riformatore sconfitto del comunismo”, quel comunismo che si era già dimostrato irriformabile almeno dall’invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968 (ne ho scritto in “Sinistre-cattolici, Berlinguer fa scuola ancora oggi” sul Secolo XIX del 17 giugno 2009, leggibile su www.associazioneculturalemediterraneo.com). Questo di più, scrivevo, è la sua concezione della politica come “sacrificio, abnegazione, servizio, passione civile, impegno di chi crede nelle cose che fa e fa le cose in cui crede”. Questo di più, scrive Tocci, è “l’alterità di Berlinguer”. L’alterità è l’opposto di identità: “se la sua memoria fosse ridotta ad una statua dell’identità comunista sarebbe già stata travolta dalla storia”. Alterità non è neppure da confondersi con diversità: “la diversità è una mera contrapposizione all’altro, l’alterità è andare oltre, è trascendere l’altro”. La diversità è un’aspirazione ad essere diversi, ed è un meccanismo elitario. L’alterità invece è un’aspirazione a un’alternativa di società, non separata dalla dimensione di massa e dalla vita delle persone. La mia generazione divenne in gran parte comunista non perché voleva realizzare in Italia il comunismo sovietico o cinese, ma perché Enrico Berlinguer incarnava, con il suo stile di vita e con tante proposte e suggestioni, un’idea di politica “altra”, alternativa a quella che trasmetteva il potere. Per questo la sua persona è attuale oltre il suo tempo.
Tra queste proposte e suggestioni innovative c’è l”austerità”, lanciata il 15 gennaio 1977 a conclusione di un convegno di intellettuali all’Eliseo di Roma. Da una parte stava l’Occidente con la decadenza della sua civiltà consumistica, dall’altra i Paesi del Sud del mondo, che non sopportavano più il sottosviluppo. Era necessario trovare un ponte di unione tra i due poli. Berlinguer perciò affermava: “L’austerità è il mezzo per contrastare alla radice e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenato, del consumismo più dissennato. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia”. Era la teorizzazione di uno sviluppo “altro”, di un “altro” modo di produrre e di consumare. Un’idea del tutto nuova, perché il pensiero ambientalista e sui limiti dello sviluppo non faceva parte del patrimonio culturale del Pci.
Un’idea che ci parla ancora oggi, 35 anni dopo. Perché molti elementi dell’”austerità” si ritrovano nel più moderno concetto di “sostenibilità”. Allora come oggi si pensava che l’unica ricetta contro la crisi economica fosse quella di rilanciare la crescita tout court e di far leva sull’individualismo consumistico. Berlinguer fu tra i primi ad intuire che il modello di sviluppo occidentale non era sostenibile per l’intero pianeta, pena la sua distruzione. E che non serviva la crescita di per sé, ma uno sviluppo che migliorasse la qualità della vita in modo duraturo: oggi diremmo la “crescita sostenibile”. In questi anni mi sono impegnato affinché nel nostro Paese la sinistra non si smarrisse e ricostruisse sé stessa coniugando laburismo e ambientalismo. L’austerità di Berlinguer è una “lezione” da portare nel futuro, utile a questo lavoro di ricostruzione. E poi “austero” può anche essere un bell’aggettivo, un modo di essere di chi fa politica e della politica. Austero si può collegare a sobrio, mite, parco. Richiama una questione morale della politica che, purtroppo, è ancora di grande attualità.

lucidellacitta2011@gmail.com

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